Commento all’art. 19 l.r. n. 14/2017

di Maurizio De Gennaro e Francesca Martini

Art. 19

Modifica dell’articolo 11 bis della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”

1. Il comma 1 dell’articolo 11 bis della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è così sostituito:

“1. L’aggiornamento del quadro conoscitivo predisposto dal comune, ai sensi dell’articolo 17, comma 5, lettera f), per il piano degli interventi (PI) e per ogni sua variante è trasmesso alla Giunta regionale ai fini del monitoraggio e dello svolgimento delle attività dell’osservatorio di cui all’articolo 8.”.

L’articolo 19 della legge in commento modifica l’articolo 11 bis della l.r. n. 11/2004, che disciplina l’aggiornamento del quadro conoscitivo predisposto dal Comune. Tale articolo, inserito nella disciplina del governo del territorio dalla l.r. n. 30/2010, poneva, in capo ai Comuni, l’obbligo di trasmettere alla Giunta regionale il quadro conoscitivo predisposto per il piano degli interventi (PI) e per ogni sua variante. L’invio del quadro conoscitivo era finalizzato ad attività di monitoraggio.

Con la nuova formulazione, l’aggiornamento del quadro conoscitivo, che è una delle componenti essenziali del PI ai sensi dell’articolo 17, co. 5, lett. f), l.r. n. 11/2004, deve essere trasmesso alla Giunta regionale ai fini del monitoraggio e dello svolgimento delle attività dell’Osservatorio di cui all’articolo 8 della l.r. n. 11/2004. Come noto, infatti, l’Osservatorio raccoglie, gestisce ed elabora le informazioni e i dati forniti dal sistema informativo di cui all’articolo 10 della medesima legge (Quadro conoscitivo e basi informative). Il legislatore, in tal modo, ha voluto rafforzare la collaborazione tra enti e creare un unico punto di raccolta delle informazioni provenienti dai diversi sistemi informativi.

Tale integrazione si rende necessaria ed è in coerenza con le strategie della Regione relativamente al completamento e al potenziamento degli strumenti di conoscenza e documentazione delle azioni di programmazione regionale a supporto delle scelte delle politiche in materia di pianificazione territoriale, urbanistica e paesaggistica.

Commento all’art. 18 l.r. n. 14/2017

di Maurizio De Gennaro e Francesca Martini

Art. 18

Modifica dell’articolo 10 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”

1 Dopo il comma 2 dell’articolo 10 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è aggiunto il seguente:

“2 bis. La Giunta regionale svolge attività di monitoraggio delle previsioni degli strumenti urbanistici comunali e della loro attuazione, anche mediante la rilevazione sistematica di indicatori appositamente individuati. A tal fine:

a) definisce le tipologie, i parametri di valutazione e i valori di riferimento degli indicatori;

b) conclude specifici protocolli d’intesa con gli enti locali definendo le modalità di interscambio dei dati e le forme di integrazione delle reti e dei sistemi informativi.”.

L’articolo 18 della legge in commento apporta un’integrazione all’articolo 10 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, aggiungendo il comma 2 bis, con il quale attribuisce alla Giunta regionale il compito di svolgere attività di monitoraggio delle previsioni degli strumenti urbanistici comunali e della loro attuazione, effettuando la rilevazione sistematica di indicatori appositamente individuati.

Nell’ambito delle attività di coordinamento degli Enti Locali, la Giunta regionale, a tal fine, definisce le tipologie, i parametri di valutazione e i valori di riferimento degli indicatori definendo le modalità di interscambio e integrazione dei dati e le forme di integrazione delle reti e dei sistemi informativi.

La nuova disposizione, dunque, rafforza il valore del quadro conoscitivo che costituisce il sistema integrato delle informazioni e dei dati necessari alla comprensione delle tematiche svolte dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica. I dati e le informazioni territoriali, dunque, sono una componente fondamentale per la valutazione dello stato del territorio e dei processi evolutivi che lo caratterizzano, nonché il riferimento indispensabile per la definizione degli obiettivi e dei contenuti di una pianificazione urbanistica attenta alla tutela del territorio e degli ecosistemi naturali. Il complesso delle informazioni e dei dati raccolti sono gestititi ed elaborati, ai sensi del nuovo comma 2, dell’articolo 8, l.r. n. 11/2004 dall’Osservatorio della pianificazione.

L’importanza delle informazioni territoriali era già stata riconosciuta dal legislatore regionale sin dall’originaria formulazione dell’articolo 2 della l.r. n.. 11/2004 che individua, quale strumento per la tutela del paesaggio e del territorio, la realizzazione di un sistema informativo territoriale unificato ed accessibile, che consenta di disporre di elementi conoscitivi raffrontabili. A tal fine, con gli Atti di indirizzo, approvati con deliberazione n. 3178 del 8 ottobre 2004 e successivamente modificati, sono stati definiti, ai sensi dell’articolo 50, co. 1, lett. f) i contenuti essenziali del quadro conoscitivo.

Appare significativo evidenziare che i contenuti dell’integrazione dell’articolo 18 della l.r. n. 14/2017 sono in coerenza con il processo di innovazione tecnologica della Pubblica Amministrazione, da tempo avviato dalla Regione del Veneto in attuazione del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. n. 82/2005 e s.m.i) che prevede lo sviluppo della rete dei dati/informazioni territoriali necessari per il supporto alle scelte e decisioni delle politiche territoriali.

Commento all’art. 17 l.r. n. 14/2017

di Maurizio De Gennaro e Francesca Martini

Art. 17

Modifica dell’articolo 8 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”

1. Il comma 2 dell’articolo 8 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è così sostituito:

“2. L’osservatorio, in collaborazione con gli enti locali, raccoglie, gestisce ed elabora le informazioni e i dati forniti dal sistema informativo di cui all’articolo 10, ne promuove la conoscenza e la diffusione, verifica il costante aggiornamento delle banche dati territoriali, collabora con gli enti e le strutture locali competenti per l’elaborazione delle politiche urbanistiche e territoriali. A tali fini l’osservatorio promuove la più ampia collaborazione con l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e con l’ARPAV.”.

2. Dopo il comma 2 dell’articolo 8 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è aggiunto il seguente:

“2 bis. L’osservatorio redige una relazione annuale sullo stato del consumo di suolo, nei suoi diversi aspetti quantitativi e qualitativi, sui processi trasformazione territoriale in atto più rilevanti, sull’entità del patrimonio edilizio dismesso, inutilizzato e sottoutilizzato e sulle aree degradate inutilizzate e sottoutilizzate su cui prioritariamente intervenire con programmi di rigenerazione urbana sostenibile. L’osservatorio fornisce, inoltre, alla Giunta regionale i dati necessari per l’attuazione delle misure e delle disposizioni regionali finalizzate a contenere il consumo di suolo e a promuovere i processi di rigenerazione urbana sostenibile.”.

A seguito delle novità introdotte dal Capo I della legge in commento, il legislatore ha avvertito la necessità di modificare anche alcuni articoli della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 al fine di renderli coerenti con le nuove disposizioni. Tali innovazioni sono state inserite nel Capo II, recante “Modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e relative disposizioni transitorie applicative”.

L’articolo 17 della legge in commento, che modifica l’articolo 8 della l.r. n. 11/2004, provvedendo alla sostituzione del comma 2 e all’integrazione del suo contenuto, introduce alcune importanti novità alla disciplina dell’Osservatorio della pianificazione territoriale e urbanistica che annovera, tra le proprie finalità, quella di diffondere la conoscenza delle dinamiche territoriali del Veneto e di agevolare le valutazioni degli effetti degli strumenti di pianificazione.

Il nuovo comma 2 prevede che l’Osservatorio raccolga, gestisca ed elabori le informazioni e i dati forniti dal sistema informativo di cui all’articolo 10 della medesima legge (Quadro conoscitivo e basi informative) e ne promuova la conoscenza e la diffusione. A tali fini l’osservatorio promuove la più ampia collaborazione con l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e con l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (ARPAV).

Particolare rilievo assumono le funzioni assegnate all’Osservatorio dal comma 2 bis: esse, infatti, sono strettamente correlate alla disciplina regionale sul contenimento di consumo del suolo e all’obiettivo di ridurre progressivamente la copertura artificiale del territorio regionale. L’osservatorio, infatti, quale strumento strategico per il monitoraggio degli effetti e dell’attuazione delle varie normative e discipline, deve redigere una relazione annuale sullo stato del consumo di suolo nei suoi diversi aspetti quantitativi e qualitativi, anche al fine di consentire alla Regione di raggiungere gli obiettivi individuati all’articolo 3 della l.r. n. 14/2017, al cui commento per brevità si rinvia.

Considerata l’ampiezza e l’importanza delle funzioni assegnate all’Osservatorio, le attività di trasformazione e tutela del territorio da parte di tutti i soggetti coinvolti non potrà prescindere dall’analisi e dalla valutazione dei dati forniti dall’Osservatorio che, come noto, collabora con gli enti e le strutture locali competenti per l’elaborazione delle politiche urbanistiche e territoriali, nonché con ISPRA e ARPAV.

La modifica e l’integrazione dell’art. 8 della l.r. n. 11/2004 pertanto si informano alle le strategie della Regione in materia di monitoraggio e controllo del territorio, garantendo la massima interoperabilità di implementazione delle banche dati che popolano il Sistema Informativo Territoriale (SIT) e integrando le funzionalità dell’Infrastruttura Dati Territoriali (IDT) relativamente alla gestione, documentazione e diffusione delle informazioni territoriali, secondo modalità user-friendly.

Commento all’art. 16 l.r. n. 14/2017

di Patrizia Petralia

Art. 16

Norma finanziaria

1. Agli oneri derivanti dall’applicazione dell’articolo 10 quantificati in euro 50.000,00 per l’esercizio 2017, si fa fronte con le risorse allocate nella Missione 08 “Assetto del territorio ed edilizia abitativa” Programma 01 “Urbanistica e assetto del territorio” Titolo 1 “Spese correnti”.

2. Per gli esercizi successivi si provvede nei limiti degli stanziamenti annualmente autorizzati dalle rispettive leggi di bilancio, ai sensi di quanto disposo dall’articolo 4 della legge regionale 29 novembre 2001, n. 39 “Ordinamento del bilancio e della contabilità della Regione”.

La norma finanziaria in commento fa riferimento esclusivo agli oneri derivanti dall’applicazione dell’articolo 10 e quantifica l’impegno di spesa per l’esercizio 2017, in euro 50.000, cui si fa fronte con le risorse che sono state assegnate alla Missione 08 “Assetto del territorio ed di edilizia abitativa”, Programma 08.01 “Urbanistica ed assetto del territorio”, che è parte del Documento di Economia e Finanza Regionale (DEFR) 2017-2019 previsto dall’art. 36, co. 3 d.lgs. n. 118/2011.

La Missione 08 del Documento è tutta indirizzata a realizzare il difficile equilibrio tra esigenze insediative e di sviluppo infrastrutturale e sostenibilità ambientale delle trasformazioni e con l’ormai indispensabile contenimento di consumo di suolo agricolo e naturale, col fine ultimo di garantire sicurezza del territorio, tutelare il paesaggio e in ultima analisi migliorare la qualità di vita dei cittadini.

Tendenzialmente il Programma 08.01, con riguardo ad urbanistica e programmazione, considera prioritario promuovere e sostenere il riuso e la rigenerazione di aree già interessate da processi di edificazione, orientando gli interventi edilizi verso ambiti già urbanizzati, degradati o dismessi.

Le azioni regionali vengono indirizzate a migliorare le relazioni fra lo spazio rurale, urbano e rete ecologica, attraverso la valorizzazione del suolo non edificato, la tutela delle superfici agricole per garantirne la fruibilità alle future generazioni, qualificando il paesaggio e preservando la resilienza del territorio agli eventi estremi.

Al finanziamento per gli esercizi successivi, in base al comma 2, si provvederà con futuri stanziamenti, ai sensi di quanto dispone l’articolo 4 della legge regionale n. 39 del 2001 “Ordinamento del bilancio e della contabilità della Regione”.

Commento all’art. 15 l.r. n. 14/2017

di Patrizia Petralia

Art. 15

Clausola valutativa

1. Entro due anni dall’entrata in vigore della presente legge, e successivamente con cadenza triennale, la Giunta regionale invia alla competente commissione consiliare una relazione sullo stato di attuazione del presente Capo, indicando in particolare:

a) i programmi di rigenerazione urbana sostenibile approvati ai sensi dell’articolo 7 e gli eventuali finanziamenti del fondo regionale di cui all’articolo 10;

b) gli accordi di programma per interventi di interesse regionale approvati ai sensi dell’articolo 11;

c) gli interventi di demolizione finanziati dal fondo regionale di cui all’articolo 10;

d) il numero dei comuni che hanno previsto nel PI le misure e gli interventi finalizzati alla riqualificazione edilizia ed ambientale di cui all’articolo 5;

e) gli ambiti urbani degradati e le relative schede individuati ai sensi dell’articolo 6, suddivisi per comuni;

f) i progetti relativi agli interventi di cui agli articoli 5 e 6, suddivisi per comuni;

g) il numero dei comuni che hanno adeguato i propri strumenti urbanistici ai sensi dell’articolo 13, comma 10;

h) una stima della consistenza qualitativa e quantitativa della superficie naturale e seminaturale, con particolare riferimento a quella agricola, recuperata o ripristinata a seguito degli interventi previsti dal presente Capo;

i) i piani e i progetti di cui all’articolo 9, comma 2, lettera f), che si sono fregiati dello stemma e del logo della Regione.

2. La disposizione in commento ha il fine di prevedere forme di verifica periodica dello stato di attuazione della legge successivamente alla sua entrata in vigore. Una disposizione che di solito non si legge perché non la si ritiene di interesse per l’applicazione nell’immediato della legge, ma che assume significato a distanza di anni dall’entrata in vigore della disposizione.

L’art. 15 prevede che, entro due anni dall’entrata in vigore della legge, quindi a giugno 2019, e successivamente con cadenza triennale, la Giunta regionale invii alla competente commissione consiliare, la Seconda Commissione, una relazione con cui dà informazione circa i programmi di rigenerazione urbana sostenibile approvati, gli accordi di programma assunti ai sensi dell’art. 11, gli interventi di riqualificazione urbana e di rigenerazione urbana sostenibile, gli ambiti urbani degradati con le loro schede suddivisi per Comuni e il numero di Comuni che hanno previsto nei loro PI le misure e gli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale e che hanno adeguato i propri strumenti urbanistici ai provvedimenti regionali di programmazione e di controllo del contenimento del consumo del suolo. Inoltre, la clausola prevede che relazione contenga la stima della consistenza qualitativa e quantitativa della superficie recuperata o ripristinata all’uso naturale, i piani ed i progetti che hanno ottenuto lo stemma ed il logo della Regione perché riconosciuti “di particolare qualità e rilevanza, rappresentativi di una specifica cultura urbanistica e architettonica del Veneto”, secondo parametri assunti con l’atto di indirizzo regionale di cui al comma 2 lettera e) dell’art. 46 della l.r. n. 11 del 2004 (“legge urbanistica regionale”).

In passato, nella legislazione veneta, le clausole valutative sono state poco utilizzate e solo dagli anni 2000 in poi inserite nelle leggi di più recente approvazione. L’inserimento ormai consolidato nella legislazione di maggior rilievo ed impatto sul territorio e sull’assetto economico e sociale è certamente segno di crescente sensibilità al processo di miglioramento della qualità della legislazione e di valutazione delle politiche che le leggi avviano. Con l’approvazione dei nuovi Statuti regionali, dopo le riforme costituzionali del 1999, la valutazione, attraverso tali clausole, delle politiche degli esecutivi regionali, ha acquisito una nuova connotazione: non più un mero controllo delle politiche degli organi dell’esecutivo, bensì un contributo importante alla funzione legislativa e di indirizzo dei Consigli.

La rivalutata funzione di verifica degli effetti reali delle leggi sulla società civile trova ragione nella considerazione che un Consiglio regionale più consapevole degli effetti e delle conseguenze delle proprie leggi e delle politiche da esse attivate, viene messo realmente in grado di confrontarsi con il contesto sociale ed economico del territorio della regione. Questa nuova lettura della funzione di controllo dei Consigli ha trovato collocazione all’interno di molti Statuti. Nello Statuto Veneto, in particolare, l’art. 23 comma 2 prevede che “Le leggi e il Regolamento stabiliscono gli strumenti e le modalità per verificare preventivamente l’impatto e la fattibilità dei progetti di legge e per valutare gli effetti realizzati nell’applicazione delle leggi.” E tale ultima finalità è lo scopo perseguito dalla clausola valutativa dell’articolo 15, che impegna l’esecutivo a raccogliere tutti i dati indicati nella norma e renderli fruibili in primo luogo alla competente Commissione consiliare ma anche al Presidente e agli stessi componenti della Giunta, agli uffici regionali, agli enti locali; dati che, ad avviso di chi scrive, potrebbe essere opportuno rendere pubblici, pur in forma sintetica, anche ai soggetti privati interessati alla materia.

Le importanti informazioni che l’articolo in commento richiama, tuttavia, non devono restare mero adempimento burocratico, un “gioco di società” che impegna gli uffici di Regione e Comuni e poi lascia indifferenti i politici. Una sfida così importante come quella lanciata con la l.r. n. 14/2017, richiede uno sforzo che deve andare oltre le procedure formali e indirizzare soprattutto la politica a verificare come gli interventi pubblici previsti nel testo di legge e nei suoi provvedimenti attuativi, abbiano trovato una loro traduzione concreta nella realtà, decidendo eventuali interventi normativi, a dimostrazione della capacità di riuscire a contemperare i problemi dell’ambiente con quelli dell’economia, di superare la nota antinomia tra i bisogni di sviluppo e la difesa del territorio, in ultima analisi, a dar prova di essere in grado di dare adeguate risposte alle esigenze delle collettività locali.

Oltre alla ricognizione, che è ovviamente preliminare alla valutazione degli effetti prodotti dalla attuazione della legge, essenziale e delicata sarà la fase successiva della analisi di tutti i dati rilevati per trarre dalle informazioni gli elementi di giudizio che poi potranno dare impulso politico agli eventuali interventi modificativi o integrativi della normativa. Infatti, solo una informazione corretta e completa potrà efficacemente reindirizzare l’attività della amministrazione della regione e degli enti locali, orientandole ad assumere provvedimenti che permettano di ridurre, anno dopo anno, il consumo del suolo e che restituiscano ai nostri centri urbani più degradati quegli aspetti architettonici “all’italiana”, in senso non solo estetico ma anche di fruibilità sociale, che il mondo ci invidia.

Commento all’art. 14 l.r. n. 14/2017

di Enrico Gaz

Art. 14

Procedure per l’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali

1. Per le finalità di cui al comma 10 dell’articolo 13:

a) i comuni non dotati di piano di assetto del territorio (PAT), in deroga al divieto di cui all’articolo 48, comma 1, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, approvano la variante al piano regolatore generale secondo la procedura di cui all’articolo 50, commi 6, 7 e 8 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61;

b) i comuni dotati di PAT, in deroga a quanto previsto dall’articolo 14 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 e dall’articolo 3 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30 “Collegato alla legge di stabilità regionale 2017”, approvano la variante urbanistica secondo la procedura di cui ai commi 2, 3, 4 e 5.

2. Entro otto giorni dall’adozione, la variante al PAT è depositata e resa pubblica presso la sede del comune per trenta giorni consecutivi, decorsi i quali chiunque può formulare osservazioni entro i successivi trenta giorni. Dell’avvenuto deposito è data notizia con le modalità di cui all’articolo 32, della legge 18 giugno 2009, n. 69 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”. Il comune può attuare ogni altra forma di pubblicità ritenuta opportuna.

3. Nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, il consiglio comunale decide sulle stesse e contestualmente approva la variante semplificata.

4. Copia integrale della variante approvata è trasmessa, a fini conoscitivi, all’ente competente all’approvazione del PAT, ed è depositata presso la sede del comune per la libera consultazione.

5. La variante diventa efficace quindici giorni dopo la sua pubblicazione nel sito internet del comune.

L’effettiva messa a regime dell’impianto disegnato dalla legge pone un suo fulcro nodale ed avanzato nel recepimento pianificatorio. Saranno infatti gli strumenti urbanistici comunali che, in via derivata, faranno propri i canoni dispositivi delineati a livello regionale, mirandoli alle esigenze e alle specificità dell’assetto locale. L’articolo sin dalla titolazione fa riferimento esclusivo ai soli piani comunali. Questa apposita attività deliberativa di tipo inclusivo, finalizzata al concreto adeguamento della pianificazione urbanistica vigente, vede dunque esclusa la dimensione provinciale la cui programmazione resta estranea agli obblighi qui considerati, i quali interagiscono unicamente con la strumentazione a base municipale.

La scelta appare il frutto di una precisa decisione operativa sposata dal legislatore regionale nel comprensibile intento di promuovere una attuazione spedita della nuova disciplina. A questo fine si sono sottratte le modalità esecutive al rigoroso rispetto dei diversi livelli di pianificazione nel governo del territorio, secondo l’ordine tracciato dall’art. 3 della l.r. n. 11 del 2004 (cioè la vigente legge urbanistica veneta). La norma appena richiamata afferma, in effetti, che “il governo del territorio si attua attraverso la pianificazione, urbanistica e territoriale del comune, della provincia e della Regione” e che “i diversi livelli di pianificazione sono tra loro coordinati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e coerenza; in particolare, ciascun piano indica il complesso delle direttive per la redazione degli strumenti di pianificazione di livello inferiore”.

L’opzione promossa dall’articolo in commento, al di là della portata tecnico-urbanistica, favorisce la marginalizzazione del ruolo riservato alla pianificazione provinciale, tanto più se si considera che tra i contenuti tipici del PTCP si ritrovano molte delle aree tematiche valorizzate dalla presente legge, a cominciare – ad esempio – dalla protezione della biodiversità tramite il recepimento “dei siti interessati da habitat naturali e da specie floristiche e faunistiche di interesse comunitario” di cui parla la lett. b) dell’art. 22.1 della l.r. n. 11 del 2004 oppure dalle “strategia di tutela e di valorizzazione del patrimonio agro-forestale e dell’agricoltura specializzata in coerenza con gli strumenti di programmazione del settore agricolo e forestale” menzionate alla successiva lett. d). Senza dire, poi, che lo stesso Statuto regionale riconosce alla provincia montana di Belluno forme e condizioni particolari di autonomia proprio in materia di governo del territorio (si veda il comma 5 dell’art. 15 dello Statuto), ragion per cui il salto a piè pari dell’ambito provinciale traduce una marcata direzione di segno differente. Sullo sfondo, resta in ogni caso azionabile, a fronte di eventuali conflitti tra i diversi atti locali di programmazione, la possibilità di ricorrere allo strumento di risoluzione ora dato dall’art. 11 ter della citata l.r. n. 11 del 2004 (ed aggiunto dal comma 1 dell’art. 63 della recente legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30) il quale, con la superiore regia regionale, consente nella semplice sede della conferenza di servizi di variare gli strumenti di pianificazione comunale e provinciale al fine di garantirne il coordinamento “se sussistano disposizioni della pianificazione incoerenti o contrastanti tra loro” (cfr. il primo comma della norma).

Gli obblighi di adeguamento previsti dall’articolo in esame inquadrano il loro adempimento entro una volta temporale che si ricava dalle precedenti disposizioni di riferimento (artt. 4 e 13 della legge), vale a dire nell’arco cronologico dato dai centoottanta giorni successivi all’entrata in vigore della legge e stabiliti per il provvedimento applicativo della Giunta regionale (lett. a) del comma 2 dell’art. 4) nonché dagli ulteriori diciotto mesi (dalla pubblicazione sul BUR di tale provvedimento) per l’aggiornamento dei piani comunali (comma 10 del precedente art. 13). In buona sostanza, entro la cornice massima di due anni dall’entrata in vigore (integrati dai venti quattro mesi derivanti dalla sommatoria dei due periodi di legge) si prospetta il completamento delle procedure di ricezione, pena il ricorso da parte del Presidente della Regione all’esercizio dei poteri sostitutivi (si veda il comma 11 dell’art. 13).

Ben conscia che molti Comuni veneti, pur a più di tredici anni dalla promulgazione della l.r. n. 11/2004, sono tuttora sforniti di P.A.T., la norma differenzia le procedure applicabili dalle municipalità a seconda che siano o meno dotate di piano di assetto del territorio, focalizzandone la tipologia in due distinte lettere del comma 1 dell’articolo.

Si potrebbe discutere sulla ragionevolezza dell’aver inquadrato due diverse procedure, invece di premiare una semplificazione unitaria del percorso deliberativo di ricezione. Quel che è certo è che, alla prova dell’impatto pratico, la distinzione –concepita per rispondere all’ovvia esigenza di prendere in considerazione entrambe le categorie di pianificazione comunale presenti- si rivela non solo nominalistica. Come si vedrà, dal punto di vista dei contenuti procedurali vengono in rilievo termini e sequenze che in parte divergono sensibilmente, con riverberi concreti – in special modo di tipo temporale – non trascurabili.

Principiando dai Comuni privi di PAT, l’articolo in commento si vede costretto ad introdurre per essi l’ennesima deroga al divieto imposto dal primo comma dell’art. 48 della l.r. 11/04, secondo cui “fino all’approvazione del primo piano di assetto del territorio (PAT), il comune non può adottare varianti allo strumento urbanistico generale vigente”. Come noto, l’art. 48 in parola, nato nella sua versione originaria come norma di sette commi, si è via via irrobustito sino a raggiungere, per effetto di una alluvionale serie di novellazioni e variazioni, i ventidue commi complessivi, ciascuno dei quali deputato a specificare tempi e condizioni di una pluralità di deroghe concepite per assicurare una minimale elasticità modificativa ai datati PRG. Ad esse ora sommiamo anche le procedure applicative della legge sul consumo del suolo e questo – ad onor del vero – va salutato con sicuro favore perché sarebbe stato paradossale esentare dall’adeguamento i vecchi piani generali, notoriamente più benevoli verso le nuove iniziative costruttive, inducendo una sorta di conseguenza premiale a vantaggio degli strumenti meno aggiornati. Per altro verso, inoltre, questo avrebbe pesantemente frustrato e contraddetto quello stesso effetto promozionale dell’approdo ai piani di assetto che costituisce la ragione prima delle limitazioni fissate a suo tempo con il menzionato art. 48.

Per questi comuni, la lettera a) del primo comma dell’articolo rispolvera il procedimento semplificato introdotto – attraverso una modificazione dell’art. 50 della l.r. n. 61/85 – dalla l.r. n. 21/98 per alcuni tipi di varianti parziali. Al tempo, detta modificazione fu accolta con plauso generale perché consentiva senza il coinvolgimento della Regione di gestire “in casa”, cioè nel solo contesto dell’amministrazione comunale, un nutrito elenco di varianti minori, dette “mini-varianti” o “varianti leggere”, riducendo di molto i tempi e gli incombenti relativi.

Ora, quella medesima procedura viene riproposta pari pari per varianti di ben diversa caratura e, potenzialmente, di incidenza territoriale tutt’altro che leggera, dato che saranno chiamate ad interiorizzare nella disciplina locale direttive precise e vincolanti sulla quantità del suolo trasformabile ed altre similari prescrizioni di corredo. È però del tutto condivisibile la preferenza cristallizzata per tale modalità, dal momento che, nonostante i contenuti “pesanti”, gli adeguamenti in questione si muoveranno entro un percorso di piena sicurezza attuativa: detto altrimenti, non si ha riguardo – com’era nel caso del quarto comma dell’art. 50 – a libere varianti promosse su autonomo impulso comunale ma a varianti ad oggetto predefinito – ove la Regione circoscrive in partenza l’esatto perimetro dello spazio deliberativo – e soprattutto a varianti dovute, stante le potestà presidenziali sostitutive prima accennate.

Il richiamo dei soli commi 6, 7 e 8 dell’art. 50 fa chiaramente intendere che il rinvio all’art. 50 è di natura squisitamente procedurale per cui esso non potrà intendersi esteso anche ai presupposti sostanziali enucleati dalle disposizioni connesse. In altre parole, il ricorso alla procedura di cui si discute sarà sempre possibile in sede di adeguamento alla legge sul consumo del suolo anche se le previsioni interessano – ad esempio – porzioni territoriali “circostanti gli edifici vincolati ai sensi dell’articolo 1 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, per una fascia non inferiore a metri lineari 200 dai confini dell’edificio, delle sue pertinenze ed eventuali aree a parco”, aree nelle quali sarebbe vietata ai sensi del quarto comma dell’art. 50 la procedura in questione.

Sotto il profilo della scansione degli atti, i commi 6 e 7 dell’art. 50 prevedono: l’adozione del consiglio comunale; il deposito entro cinque giorni presso la segreteria del Comune e della provincia; la messa a disposizione del pubblico per dieci giorni; la possibilità di presentare osservazioni nei successivi venti giorni ed infine l’approvazione del consiglio comunale entro trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle osservazioni.

Per i Comuni dotati di PAT l’articolo in commento consente una diversa deroga espressa, riferita al procedimento usuale scandito all’art. 14 della l.r. n. 11 del 2004, vale a dire il procedimento di normale assunzione del piano di assetto. Nonostante l’assenza di un riferimento esplicito, va ritenuto che la deroga sia riferibile anche ai Comuni dotati di PATI e, quindi, al procedimento specificato per essi all’art. 16 della medesima l.r. n. 11/04, stante la filiazione di detta procedura dallo schema ordinario suggellato all’art. 14 e, specialmente, stante il disposto del quinto comma dell’art. 16 citato, a mente del quale “qualora le varianti riguardino il territorio di un solo comune e non incidano sui contenuti intercomunali del piano, ovvero si rendano necessarie ai soli fini dell’adeguamento alle prescrizioni del PTRC o del PTCP, o riguardino opere di competenza regionale ai sensi dell’articolo 2, comma 2, lettera a) della legge regionale 7 novembre 2003, n. 27 , possono essere approvate anche con le procedure previste all’articolo 14 dal comune nel cui territorio ricade la variante proposta”.

Per quanto riguarda, poi, l’area veneziana la deroga riguarda in modo espresso anche il peculiare regime di regolamentazione delle funzioni urbanistiche della Città metropolitana previsto dall’art. 3 della l.r. n. 30/16, con la conseguenza che la procedura semplificata che si passa ad esporre può dirsi indistintamente applicabile sull’intero territorio regionale.

Spetta ai commi 2 e 3 della norma articolarne lo sviluppo come segue: adozione della variante ed entro otto giorni (non cinque come per l’art. 50 sopra illustrato) deposito della stessa presso la sede del comune; esposizione al pubblico per trenta giorni consecutivi (non più dieci); presentazione di osservazioni entro i successivi trenta giorni (non più venti); approvazione finale da parte del consiglio comunale nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni.

A parte l’identità di questo ultimo termine sono quindi notevoli le dissimiglianze tra le due procedure nella tempistica di riferimento, nettamente sbilanciata verso una più spiccata matrice acceleratoria dell’iter definito dalla l.r. n. 61/85.

Possono, infine, risultare utili due ultime notazioni pratiche rispettivamente sulla pubblicazione e conoscibilità delle varianti e sulla loro entrata in vigore.

Quanto al primo profilo, il comma 4 dispone che oltre al deposito per la libera consultazione in Comune la variante debba essere trasmessa all’ente che approva il PAT nonché – ai sensi del comma 10 del precedente art. 13- sempre alla Regione. Analoga statuizione sul doveroso invio alla struttura regionale competente viene enunciata dal comma 8 dell’art. 50 della l.r. n. 61/85.

Quanto al secondo profilo non è superfluo sottolineare la difforme misura temporale di entrata in vigore dei due tipi di varianti di adeguamento: mentre per i Comuni non dotati di PAT la variante “acquista efficacia trascorsi trenta giorni dalla pubblicazione nell’albo” comunale, come dettato dal comma 8 sempre dell’art. 50, per i Comuni dotati di PAT la variante diventa efficacia quindici giorni dopo la pubblicazione sul sito comunale, come stabilisce il comma 5 del presente articolo. Ci troviamo quindi in presenza di un significativo dimezzamento del termine di cui l’operatore dovrà – di necessità – tenere adeguato conto.

Commento all’art. 13 l.r. n. 14/2017

di Roberto Travaglini

Art. 13

Disposizioni transitorie

1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 12, fino all’emanazione del provvedimento di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a):

a) non è consentito consumo di suolo;

b) non è consentita l’introduzione nei piani territoriali ed urbanistici di nuove previsioni che comportino consumo di suolo.

2. In deroga alla limitazione di cui al comma 1, lettera a), sono consentiti gli interventi negli ambiti inedificati nella misura del 30 per cento della capacità edificatoria complessivamente assegnata dal Piano di assetto del territorio di cui all’articolo 13 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 o, per i comuni che non ne sono ancora dotati, dal Piano regolatore generale e, comunque, non oltre la capacità massima assegnata.

3. I Piani degli interventi (PI) che hanno formalmente avviato la procedura di formazione ai sensi dell’articolo 18, comma 1, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, alla data di entrata in vigore della presente legge, possono concludere il procedimento di formazione del piano in deroga alla limitazione di cui al comma 1, lettera b).

4. Sono fatti salvi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge relativi:

a) ai titoli abilitativi edilizi, comunque denominati, aventi ad oggetto interventi comportanti consumo di suolo;

b) ai piani urbanistici attuativi, comunque denominati, la cui realizzazione comporta consumo di suolo.

5. Per i procedimenti in corso di cui al comma 4 si intendono:

a) nel caso dei titoli abilitativi edilizi, i procedimenti già avviati con la presentazione allo sportello unico della domanda di permesso di costruire ovvero delle comunicazioni o segnalazioni, comunque denominate, relative ai diversi titoli abilitativi, corredate dagli eventuali elaborati richiesti dalla vigente normativa;

b) nel caso dei piani urbanistici attuativi, i procedimenti già avviati con la presentazione al comune della proposta corredata dagli elaborati necessari ai sensi dell’articolo 19, comma 2, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11. Sono comunque fatti salvi i piani urbanistici attuativi per i quali siano già stati approvati gli ambiti di intervento.

6. Sono, altresì, fatti salvi gli accordi tra soggetti pubblici e privati, di cui all’articolo 6 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia già stata deliberata dalla giunta o dal consiglio comunale la dichiarazione di interesse pubblico, nonché gli accordi di programma di cui all’articolo 7 della medesima legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, relativamente ai quali entro la medesima data la conferenza decisoria abbia già perfezionato il contenuto dell’accordo.

7. I piani di assetto del territorio (PAT) già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge possono concludere il procedimento di formazione del piano secondo le disposizioni vigenti al momento della loro adozione.

8. Qualora il provvedimento di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a), non sia emanato nel termine indicato, la percentuale di cui al comma 2 è incrementata di un ulteriore 20 per cento.

9. Gli ambiti di urbanizzazione consolidata, di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e), sono individuati con provvedimento della giunta o del consiglio comunale e sono trasmessi in Regione entro il termine previsto dal comma 5 dell’articolo 4. I comuni, in sede di adeguamento della strumento urbanistico generale ai sensi del comma 10 confermano o rettificano detti ambiti.

10. Entro diciotto mesi dalla pubblicazione nel BUR del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a), i comuni approvano la variante di adeguamento allo strumento urbanistico generale secondo le procedure semplificate di cui all’articolo 14 e, contestualmente alla sua pubblicazione, ne trasmettono copia integrale alla Regione.

11. Trascorsi i termini di cui al comma 10 senza che il comune abbia provveduto, il Presidente della Giunta regionale esercita i poteri sostitutivi secondo le procedure di cui all’articolo 30 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11.

12. Fino a quando i comuni o la Regione non provvedono rispettivamente ai sensi dei commi 10 e 11, continuano ad applicarsi i commi 1, 2, 4, 5, 6 e 8, fermi restando, qualora più restrittivi, i limiti definiti dal provvedimento di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a).

13. Per le finalità di cui agli articoli 5 e 6, i comuni non ancora dotati di PAT possono adottare, in deroga al divieto di cui all’articolo 48, comma 1, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, una variante al piano regolatore generale con la procedura di cui all’articolo 50, commi 6, 7 e 8, della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 “Norme per l’assetto e l’uso del territorio”.

14. Nei comuni non dotati di PAT si applica l’articolo 18, commi 7 e 7 bis, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, e il termine quinquennale di decadenza decorre dall’entrata in vigore della presente legge.

Sommario: 1. Il comma 12. Il comma 23. Il comma 3 4. Il comma 45. Il comma 56. Il comma 67. Il comma 7 8. Il comma 89. Il comma 910. Il comma 1011. Il comma 1112. Il comma 1213. Il comma 1314. Il comma 14.

1. Il comma 1

L’art. 13 della l.r. n. 14/2017 delinea un complesso regime transitorio riguardo alla disciplina del contenimento del consumo di suolo, cercando di coniugare l’efficacia sin dall’entrata in vigore del provvedimento legislativo di almeno alcune misure di carattere provvisorio, con la tutela di situazioni giuridiche soggettive qualificate dall’aspettativa di poter attuare interventi consentiti dalla vigente strumentazione urbanistica.

Il comma 1 della disposizione in commento, fatto salvo quanto previsto dall’articolo precedente, al cui commento si rinvia, statuisce che dall’entrata in vigore della l.r. n. 14/2017 (ovvero a partire dal 24 giugno 2017) e fino all’emanazione del provvedimento di cui all’art. 4, co. 2, lett. a)[1] – prevista entro 180 giorni (ovvero entro il 21 dicembre 2017)[2]:

  1. non è consentito consumo di suolo, ovvero non sono consentiti interventi qualificabili come fonte di tale consumo ai sensi del combinato disposto della definizione di cui all’art. 2, co. 1, lett. c), letta in combinazione con quelle riportate nelle lett. a), b), d) ed e) della medesima disposizione;
  2. non è consentito introdurre nei piani territoriali, così come in quelli urbanistici, previsioni comportanti consumo di suolo nella medesima accezione sopra richiamata.

Se la disciplina transitoria si limitasse al descritto comma 1, il nuovo provvedimento legislativo regionale avrebbe un’indubbia, quanto univoca, efficacia riguardo al contenimento del consumo di suolo, che verrebbe inibito sia nel caso fosse già previsto dagli strumenti territoriali ed urbanistici vigenti, sia in quanto contenuto di nuove previsioni pianificatorie.

2. Il comma 2

Il richiamato contemperamento tra le esigenze di adeguata efficacia delle misure contenitive del consumo di suolo con quelle di tutela delle situazioni giuridiche soggettive qualificate di quanti sono titolati, in base alla strumentazione urbanistica vigente, a realizzare interventi comportati consumo di suolo, è perseguito a partire dal comma 2 della norma in commento.

Tale comma, con riferimento al medesimo arco temporale considerato dal comma 1[3], consente – pur comportando consumo di suolo – “gli interventi negli ambiti inedificati nella misura del 30 per cento della capacità edificatoria complessivamente assegnata dal Piano di assetto del territorio … o, per i comuni che non ne sono ancora dotati, dal Piano regolatore generale e, comunque, non oltre la capacità massima assegnata”.

Va evidenziato che la disposizione in esame fa in primo luogo riferimento ad una percentuale (30%) della “capacità edificatoria complessivamente assegnata dal Piano di assetto del territorio”, espressione che impone alcune riflessioni interpretative, unitamente ad una considerazione critica quanto alla relativa coerenza sistematica.

Constatato che di “capacità edificatoria” la l.r. n. 11/2004 parla esclusivamente nell’art. 36, relativamente alla compensazione urbanistica[4], si rileva che l’espressione equivalente “potenzialità edificatoria” viene utilizzata dall’art. 7 (Varianti verdi per la riclassificazione delle aree edificabili) della l.r. 16 marzo 2015, n. 4[5].

Come si ricava dalla Circolare 11 febbraio 2016, n. 1, approvata con DGR 2 febbraio 2016, n. 99, recante istruzioni per l’applicazione dell’art. 7 della l.r. n. 4/2015, la potenzialità/capacità edificatoria è entità definita dal PI, tant’è che la c.d. “variante verde” è variante al Piano degli interventi.

Pertanto, quando la norma ora in commento parla di “30 per cento della capacità edificatoria complessivamente assegnata dal Piano di assetto del territorio” non può che riferirsi alla capacità edificatoria che in virtù di tale “assegnazione” operata dal PAT risulta, poi, definita nel PI.

C’è solo da chiedersi perché il legislatore sia ricorso a tale contorsione espressiva (capacità edificatoria assegnata dal PAT) e non abbia, invece, fatto più semplicemente ed univocamente riferimento alla capacità edificatoria prevista (o definita) dal/nel PI.[6]

Ciò detto, ad avviso di scrive la previsione in commento, con il pur comprensibile obiettivo di “graduare” le misure contenitive del consumo di suolo nella prima fase di vigenza del nuovo provvedimento legislativo, assume a riferimento un parametro – la capacità edificatoria – poco pertinente con l’ambito materiale costituito dal consumo di suolo.

Quest’ultimo si “combatte”, o quanto meno si “contiene”, non tanto limitando la capacità edificatoria, quanto il suolo naturale e seminaturale consumabile.

In sostanza, il legislatore avrebbe fatto meglio – risultando più coerente con l’intera finalità del Capo I della l.r. n. 14/2017 – se avesse riferito la percentuale (30%) alla superficie agricola trasformabile prevista dal PI vigente[7] e che potrebbe corrispondere a tutta, o solo ad una parte, della SAT contemplata nel PAT[8].

La norma si occupa anche dei Comuni privi del PAT, prescrivendo che la percentuale (30%) sia riferita al vigente PRG.

Oscura, almeno per chi scrive, appare la condizione “di chiusura”, secondo cui, ferma restando la percentuale (30%) riferita alla “capacità edificatoria complessivamente assegnata” dal PAT o, in sua assenza, dal PRG, gli interventi negli ambiti inedificati sono consentiti “non oltre la capacità massima assegnata”.

Se quest’ultima è l’entità di cui calcolare il relativo 30%, non si capisce come questo limite possa concorrere (la norma usa l’espressione “e, comunque”) con l’entità complessiva (che ne è il 100%)!

Infine, anche l’espressione “ambiti inedificati” non appare di agevole interpretazione, atteso che non se ne rinviene la presenza né all’interno della l.r. n. 11/2004, né tra le definizioni riportate nell’art. 2 della l.r. n. 17/2016.

3. Il comma 3

La disposizione, introdotta con un emendamento al testo licenziato dalla II^ Commissione consiliare, deroga al divieto di introdurre negli strumenti urbanistici, a far data dal 24 giugno 2017, nuove previsioni comportanti consumo di suolo, consentendo la conclusione del procedimento formativo a quei PI che l’abbiano formalmente avviato a tale data.

Per considerare avviata la procedura di formazione del PI la norma in commento richiama l’art. 18, co. 1, della l.r. n. 11/2004, in base al quale “Il sindaco predispone un documento in cui sono evidenziati, secondo le priorità, le trasformazioni urbanistiche, gli interventi, le opere pubbliche da realizzarsi nonché gli effetti attesi e lo illustra presso la sede del comune nel corso di un apposito consiglio comunale”.

Pur in assenza di ulteriori precisazioni sul punto, si ritiene che per il concretizzarsi della fattispecie in esame sia necessario lo svolgimento della seduta consiliare nel corso della quale il sindaco abbia illustrato il documento “programmatico”.

4. Il comma 4

Il comma in rubrica fa salvi i procedimenti relativi alla formazione, perfezionamento ed efficacia dei titoli edilizi (permessi di costruire, segnalazioni certificate di inizio attività, comunicazioni di inizio lavori asseverate, comunicazioni di inizio lavori) e dei piani urbanistici attuativi che abbiano già avuto inizio (e quindi risultino in corso) alla data di entrata in vigore della l.r. n. 14/2017 (ovvero al 24 giugno 2017), ancorché riguardino interventi comportanti, a norma dell’art. 2, co. 1, lett. c), consumo di suolo.

5. Il comma 5

La disposizione indica gli elementi costitutivi delle fattispecie indicate al comma precedente, chiarendo che nel caso dei titoli edilizi diretti il relativo procedimento si deve considerare in corso “con la presentazione allo sportello unico della domanda di permesso di costruire ovvero delle comunicazioni o segnalazioni, comunque denominate, relative ai diversi titoli abilitativi, corredate dagli eventuali elaborati richiesti dalla vigente normativa[9], mentre nel caso di piani urbanistici attuativi il relativo procedimento dev’essere ritenuto in corso “con la presentazione al comune della proposta corredata dagli elaborati necessari ai sensi dell’articolo 19, comma 2”, della l.r. n. 11/2004[10].

Con un’aggiunta introdotta dal Consiglio regionale in occasione dell’approvazione finale del provvedimento, il comma in esame si completa con un ulteriore periodo che recita “Sono comunque fatti salvi i piani urbanistici attuativi per i quali siano già stati approvati gli ambiti di intervento”.

Si tratta di una disposizione che lascia alquanto perplessi, sol che si consideri il disposto dell’art. 17, co. 2, della l.r. n. 11/2004, finalizzato a disciplinare i contenuti del PI, secondo cui “Il PI in coerenza e in attuazione del piano di assetto del territorio (PAT) sulla base del quadro conoscitivo aggiornato provvede a: …. b) individuare le aree in cui gli interventi sono subordinati alla predisposizione di PUA o di comparti urbanistici e dettare criteri e limiti per la modifica dei perimetri da parte dei PUA …”.

Orbene, se non è revocabile in dubbio che la norma testé riprodotta demanda al PI l’individuazione delle aree (ovvero degli ambiti) per intervenire nelle quali è necessario il previo strumento urbanistico attuativo, c’è da chiedersi in che cosa di ulteriore, rispetto all’approvazione del PI recante la predetta individuazione, si traduca l’approvazione degli ambiti di intervento di cui parla il secondo periodo dell’art. 13, co. 5, della l.r. n. 14/2017.

Non essendo in grado di fornire una risposta a tale domanda – perché la vigente disciplina in materia non sembra offrirne alcuna – la conseguenza di questo inopinato emendamento approvato dal Consiglio regionale sembrerebbe, ad una prima lettura, comportare la “salvezza” di tutti i PUA, sebbene non ancora avviati nel relativo procedimento di formazione (ai sensi del primo periodo dello stesso comma 5), in quanto comunque definiti dal PI nei rispettivi ambiti d’intervento.

Effetto paradossale, che minerebbe alla radice ogni coerenza logica del provvedimento legislativo in esame, e che impone, pertanto – oltre ad una “cautelare” neutralizzazione sul piano applicativo – un tempestivo chiarimento, quanto meno in via interpretativa, ancorché la formulazione letterale della norma raccomandi un intervento correttivo da parte dello stesso legislatore.

6. Il comma 6

In questo ulteriore comma, la l.r. n. 14/2017 si preoccupa di “fare salvi”, ovvero di non vanificare, due peculiari tipologie di accordi – quelli pubblico-privati dell’art. 6[11] della l.r. n. 11/2004 e quelli pubblico-pubblico dell’art. 7[12] della medesima legge regionale sul governo del territorio – finalizzati a definire contenuti della pianificazione urbanistica generale, ma non ancora tradottisi in interventi per i quali sia stato almeno avviato il procedimento avente ad oggetto il perfezionamento del corrispondente titolo edilizio o del piano urbanistico attuativo (nel caso degli accordi ex art. 6), oppure il programma avente ad oggetto l’intervento, l’opera pubblica o di interesse pubblico (nel caso degli accordi di programma ex art. 7).

Relativamente agli accordi pubblico-privati, va evidenziato come, nel corso dell’approvazione definitiva del testo legislativo, le parole “già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge” – presenti nel testo approvato dalla II^ Commissione consiliare – siano state sostituite con “per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia già stata deliberata dalla giunta o dal consiglio comunale la dichiarazione di interesse pubblico”.

La descritta modifica introduce nella fattispecie procedimentale disciplinata dall’art. 6 della l.r. n. 11/2004 un elemento – la dichiarazione di pubblico interesse dell’accordo – che la norma da ultimo richiamata non identifica, limitandosi a stabilire che le proposte di progetti e le iniziative oggetto dell’accordo debbono essere “di rilevante interesse pubblico”.

È, pur tuttavia, prassi diffusa e condivisa che nell’iter formativo dell’accordo pubblico-privato – accordo, a sua volta di natura endoprocedimentale rispetto al procedimento di formazione dello strumento urbanistico – si abbia un passaggio deliberativo attestante la sussistenza di quell’interesse pubblico prevalente, richiesto dalla disposizione legislativa a fondamento della legittimità dell’accordo medesimo.

Si tratta dell’accertamento e della conseguente attestazione di sussistenza di un presupposto legale dell’accordo, che ne precede la sottoscrizione, a sua volta prodromica all’adozione del piano al quale accede e del quale costituisce parte integrante ex art. 6, co. 3, della l.r. n. 11/2004[13].

Ne consegue che la modifica introdotta in sede di approvazione finale della l.r. n. 14/2017 ha esteso la portata “derogatoria” della fattispecie in commento, facendo salvi non soltanto gli accordi già sottoscritti alla data del 24 giugno 2017, ma anche quelli che, pur non essendolo, sono già stati oggetto, alla medesima data, di una dichiarazione di pubblico interesse.

Quanto all’organo comunale competente a dichiarare il pubblico interesse dell’accordo, la norma in commento menziona alternativamente la giunta ed il consiglio comunale, anche se un’adeguata tecnica legislativa avrebbe dovuto portare all’individuazione di un solo organo, in base al riparto di competenze desumibile dal combinato disposto degli artt. 42 e 48 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL). Considerato che la materia dei piani urbanistici[14] è attribuita al Consiglio comunale, si è propensi a ritenere che quest’ultimo avrebbe dovuto essere l’unico organo cui riservare la dichiarazione di pubblico interesse degli accordi ex art. 6 della l.r. n. 11/2004.

Quanto agli accordi di programma di cui al successivo art. 7 della legge regionale sul governo del territorio, la norma in commento fa salvi -sottraendoli alla disciplina transitoria di contenimento del consumo di suolo – quelli che al 24 giugno 2017 abbiano già registrato il perfezionamento dei contenuti dell’accordo nella conferenza decisoria (il riferimento implicito è alla fase procedimentale contemplata nell’art. 7, co. 4, della l.r. n. 11/2004).

7. Il comma 7

Anche la disposizione in rubrica costituisce il frutto dell’accoglimento di un emendamento presentato in occasione della votazione finale del provvedimento legislativo in commento.

In esito ad essa il PAT già adottati alla data del 24 giugno 2017 possono concludere il relativo iter formativo – e quindi giungere alla definitiva approvazione – sulla base della disciplina vigente al momento dell’adozione.

Questo significa che non vengono “condizionati” dalle misure “contenitive” del consumo di suolo dettate dal comma 1, lett. b), dell’art. 13 della l.r. n. 14/2017.

Va da sé, peraltro, che la traduzione operativa delle previsioni strutturali del PAT dovrà, al contrario, confrontarsi con la disciplina configurata nella l.r. n. 14/2017, sia in ordine ai contenuti del PRG divenuto PI ai sensi dell’art. 48, co. 5 bis, della l.r. n. 11/2004, sia in relazione ad un “nuovo” PI.

8. Il comma 8

Il comma stabilisce che laddove il provvedimento di Giunta – chiamato a fissare la quantità massima di consumo di suolo ammesso nel territorio regionale e la relativa ripartizione per ambiti comunali o sovracomunali omogenei – entro il 21 dicembre 2017 (180 giorni dall’entrata in vigore della l.r. n. 14/2017), termine prorogabile di ulteriori 60 giorni (e quindi fino al 19 febbraio 2018) a fronte della richiesta di parere prevista dall’art. 4, co. 4, la percentuale fissata dall’art. 13, co. 2 (“30 per cento della capacità edificatoria complessivamente assegnata dal Piano di assetto del territorio di cui all’articolo 13 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 o, per i comuni che non ne sono ancora dotati, dal Piano regolatore generale”) è incrementata di un ulteriore 20 per cento.

Si rinvia al commento del comma 2 per le considerazioni concernenti la portata “derogatoria” che caratterizza entrambi i commi e sul discutibile riferimento al parametro della capacità edificatoria.

9. Il comma 9

Anche questo comma è frutto dell’accoglimento di un emendamento in sede di votazione finale del nuovo testo legislativo.

Viene configurato l’obbligo a carico di ciascun Comune – anche qui con alternativa competenza in capo alla giunta o al consiglio comunale[15] – di individuare con apposito provvedimento “Gli ambiti di urbanizzazione consolidata, di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e)” e di renderli noti alla Regione unitamente alle informazioni territoriali da inserire nella scheda informativa che la Regione trasmette ai Comuni entro il 27 giugno 2017 e che deve essere restituita alla Regione entro i successivi 60 giorni (quindi, al massimo entro il 25 agosto 2017).

Tale incombenza si rende necessaria in quanto, nella definizione degli “ambiti di urbanizzazione consolidata” di cui all’art. 2, co. 1, lett. e) della l.r. n. 14/2017, vengono considerate appartenervi anche le “parti del territorio oggetto di un piano urbanistico approvato”, con ciò discostandosi da quanto indicato nell’Atto di indirizzo di cui all’art. 50, co. 1, lett. f) (“contenuti essenziali del quadro conoscitivo, della relazione illustrativa, delle norme tecniche del piano di assetto del territorio e del piano degli interventi”) della l.r. n. 11/2004, approvato con DGR n. 3811, del 9 dicembre 2009.

Quest’ultimo, infatti, considera “aree di urbanizzazione consolidata”, oltre alle zone di completamento e alle aree destinate a servizi (zone F), anche gli “gli ambiti di piano attuativo con la relativa convenzione già stipulata”, mentre nella definizione contenuta nella l.r. n. 14/2017 il riferimento è al “piano urbanistico approvato”.

Visto che l’approvazione del PUA costituisce una fase cronologicamente e proceduralmente antecedente a quella del convenzionamento, ciò comporta – come evidenziato anche nel commento al precedente art. 2 – che sono affrancate dal regime di contenimento del suolo anche quelle aree di trasformazione soggette a PUA che, sebbene non ancora convenzionate, e quindi non identificate nel PAT come “aree di urbanizzazione consolidata” a norma dell’art. 13, co. 1, lett. o), della l.r. n. 11/2004, costituiscono “ambiti di urbanizzazione consolidata” ai sensi dell’art. 2, co. 1, lett. e), della l.r. n. 14/2017, in quanto oggetto di PUA già approvato.

Di questa, certamente non apprezzabile dicotomia, si è del resto reso conto lo stesso legislatore, laddove, in chiusura della più volte ricordata definizione di “ambiti di urbanizzazione consolidata”, si è visto costretto a precisare che gli stessi “non coincidono necessariamente con quelli individuati dal piano di assetto del territorio (PAT) ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera o), della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11”.

Di qui, per l’appunto, l’esigenza di farne oggetto di apposita individuazione e conseguente trasmissione informativa alla Regione, nel quadro della raccolta dati propedeutica al provvedimento di competenza della Giunta regionale e finalizzato a definire la quantità massima di consumo di suolo ammesso nel territorio regionale e la sua ripartizione per ambiti comunali o sovracomunali omogenei.

Infine, proprio in considerazione del fatto che le due entità – le aree di urbanizzazione consolidata indicate nel PAT e gli ambiti di urbanizzazione consolidata individuati a norma della l. r. n. 14/2017 – possono non coincidere, l’art. 13, co. 9 stabilisce che i Comuni “in sede di adeguamento dello strumento urbanistico generale ai sensi del comma 10 confermano o rettificano detti ambiti”.

10. Il comma 10

La disposizione in rubrica fissa in 18 mesi dalla pubblicazione sul BUR del provvedimento con il quale la Giunta regionale determina la quantità massima di consumo di suolo ammesso nel territorio regionale e la relativa ripartizione per ambiti comunali o sovracomunali omogenei, il termine entro il quali i singoli Comuni sono chiamati ad approvare la variante di adeguamento allo strumento urbanistico generale utilizzando le procedure semplificate di cui al successivo art. 14, al cui commento si rinvia.

Ricostruendo la tempistica assegnata alla Giunta, il termine dato ai Comuni potrebbe giungere a compimento tra il 19 giugno 2019 e il 19 agosto 2019 (18 mesi dopo il 21 dicembre 2017, ovvero dopo il 19 febbraio 2018).

11. Il comma 11

La norma definisce le conseguenze del mancato rispetto, da parte dei comuni, del termine fissato nel comma precedente, stabilendo che “il Presidente della Giunta regionale esercita i poteri sostitutivi secondo le procedure di cui all’articolo 30 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11”, poteri sostitutivi disciplinati dai commi 6 e seguenti di tale disposizione.[16].

12. Il comma 12

La disposizione stabilisce che nell’attesa delle varianti di adeguamento operate dai Comuni spontaneamente ai sensi del comma 10, ovvero a seguito dell’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Presidente della Giunta regionale ai sensi del comma 11, continuano a trovare applicazione i commi 1, 2, 4, 5, 6 e 8, al cui commento si rinvia, “fermi restando, qualora più restrittivi, i limiti definiti dal provvedimento di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a)[17].

13. Il comma 13

La disposizione in rubrica consente ai Comuni ancora privi di PAT di adottare, in deroga al divieto sancito dall’art. 48, co. 1, della l.r. n. 11/2004, una variante al PRG, utilizzando la procedura “semplificata” di cui all’art. 50, commi 6, 7 e 8, della l.r. 27 giugno 1986, n. 61[18].

14. Il comma 14

L’ultimo comma dell’art. 13 della l.r. n. 14/2017 introduce una disposizione chiaramente finalizzata a spronare i Comuni ancor privi di PAT a dotarsene.

In primo luogo, viene innovativamente estesa anche ai PRG costituenti l’unico strumento urbanistico generale del quali tali Comuni sono dotati, la disciplina dettata dal comma 7 dell’art. 18 della l.r. n. 11/2004, nel testo riformulato dall’art. 23 della l.r. n. 14/2017, che con riferimento ai PI prevede che “Decorsi cinque anni dall’entrata in vigore del piano decadono le previsioni relative alle aree di trasformazione o espansione soggette a strumenti attuativi non approvati, a nuove infrastrutture e ad aree per servizi per le quali non siano stati approvati i relativi progetti esecutivi, nonché i vincoli preordinati all’esproprio di cui all’articolo 34. In tali ipotesi si applica l’articolo 33 fino ad una nuova disciplina urbanistica delle aree, da adottarsi entro il termine di centottanta giorni dalla decadenza, con le procedure previste dai commi da 2 a 6; decorso inutilmente tale termine, si procede in via sostitutiva ai sensi dell’articolo 30”[19].

Ne consegue che, diversamente da quanto contemplato dalla disciplina tradizionale dei PRG contenuta nella l.r. n. 61/1985 e risultante dal superamento dello strumento di coordinamento temporale costituito dai PPA[20] – anche le previsioni contenute nei PRG, relative alle aree di trasformazione o di espansione soggette a strumenti attuativi non approvati, a nuove infrastrutture e ad aree per servizi per le quali non siano stati approvati i relativi progetti esecutivi, nonché i vincoli preordinati all’esproprio, decadono decorsi 5 anni.

Ovviamente, quest’ultimo termine non viene fatto decorrere dall’originario acquisto di efficacia del PRG, bensì dal 24 giugno 2017, data di entrata in vigore della l.r. n. 14/2017.

Il comma in esame estende ai PRG tuttora efficaci nei Comuni ancora privi del PAT anche la disposizione di cui all’art. 18, co. 7 bis, della l.r. n. 11/2004, introdotto dal già citato art. 23 della l.r. n. 14/2017.

Anche a tali fattispecie – e, quindi, con riferimento al PRG, anziché al PI – vale la regola secondo cui “Per le previsioni relative alle aree di espansione soggette a strumenti attuativi non approvati, gli aventi titolo possono richiedere al comune la proroga del termine quinquennale. La proroga può essere autorizzata previo versamento di un contributo determinato in misura non superiore all’1 per cento del valore delle aree considerato ai fini dell’applicazione dell’IMU. Detto contributo è corrisposto al comune entro il 31 dicembre di ogni anno successivo alla decorrenza del termine quinquennale ed è destinato ad interventi per la rigenerazione urbana sostenibile e per la demolizione. L’omesso o parziale versamento del contributo nei termini prescritti comporta l’immediata decadenza delle previsioni oggetto di proroga e trova applicazione quanto previsto dal comma 7.

 

[1] Con il quale la Giunta regionale è chiamata a stabilire “la quantità massima di consumo di suolo ammesso nel territorio regionale … e la sua ripartizione per ambiti comunali o sovracomunali omogenei”.

[2] Invero, sempre l’art. 4, ai commi 3 e 4, stabilisce che “3. Il provvedimento di cui al comma 2, lettera a), è adottato dalla Giunta regionale sentito il Consiglio delle autonomie locali (CAL) di cui all’articolo 16 dello Statuto; fino all’istituzione del CAL, tale parere è espresso dalla Conferenza Regione-Autonomie locali di cui all’articolo 12 della legge regionale 3 giugno 1997, n. 20 “Riordino delle funzioni amministrative e principi in materia di attribuzione e di delega agli enti locali.

  1. Il decorso del termine di centottanta giorni di cui al comma 2 è sospeso per l’acquisizione dei pareri della competente commissione consiliare e del CAL di cui al comma 3, entrambi da rendersi entro sessanta giorni dal ricevimento della proposta di provvedimento della Giunta regionale, decorsi i quali si prescinde dai pareri”.

Ne consegue che il termine di 180 giorni, fissato dal comma 2, può protrarsi “fisiologicamente” fino a 240 giorni (ovvero fino al 19 febbraio 2018).

[3] Dall’entrata in vigore della l.r. n.14/2017 fino all’emanazione del provvedimento della Giunta regionale di cui all’art. 4, comma 2, lett. a), ovvero dal 24 giugno al 21 dicembre 2017, con “fisiologica” protrazione al 19 febbraio 2018.

[4]Con le procedure di cui agli articoli 7, 20 e 21 sono consentite compensazioni che permettano ai proprietari di aree ed edifici oggetto di vincolo preordinato all’esproprio di recuperare adeguata capacità edificatoria, anche nella forma del credito edilizio di cui all’articolo 36, su altre aree e/o edifici, anche di proprietà pubblica, previa cessione all’amministrazione dell’area oggetto di vincolo”.

[5] Il comma 1 dell’art. 7 così recita “Entro il termine di centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, e successivamente entro il 31 gennaio di ogni anno, i comuni pubblicano nell’albo pretorio, anche con modalità on-line, ai sensi dell’articolo 32 della legge 18 giugno 2009, n. 69 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile” , un avviso con il quale invitano gli aventi titolo, che abbiano interesse, a presentare entro i successivi sessanta giorni la richiesta di riclassificazione di aree edificabili, affinché siano private della potenzialità edificatoria loro riconosciuta dallo strumento urbanistico vigente e siano rese inedificabili”.

[6] Non ci sembra, invece, avere fondamento altra interpretazione della disposizione ora in esame, che fa riferimento al “limite quantitativo massimo della zona agricola trasformabile in zone con destinazione diversa da quella agricola, avendo riguardo al rapporto tra la superficie agricola utilizzata (SAU) e la superficie territoriale comunale (STC)”, costituente uno dei contenuti del PAT, previsto dall’art. 13, lett. f), della l.r. n.11/2004 e per la cui traduzione applicativa è stato adottato dalla Giunta regionale, da ultimo, l’Atto di indirizzo approvato con DGR 25 novembre 2008, n. 3650. Infatti, non avendo le previsioni del PAT carattere conformativo del regime dei suoli, l’edificabilità (ovvero la capacità/potenzialità edificatoria) non può che discendere dal successivo PI.

[7] Il carattere transitorio della disposizione, destinata a trovare applicazione prima della variante di adeguamento dello strumento urbanistico comunale alla quantità definita per ambiti comunali o sovracomunali omogenei dalla Giunta regionale a norma dell’art. 4, comma 2, lett. a), consiglia di non rapportare la percentuale (30%) ad un elemento materiale, il consumo di suolo, la cui quantificazione, comune per comune, sarà frutto dell’attività di analisi disciplinata dall’art. 4, comma 5.

[8] A quest’ultimo dato sembra riferirsi la Scheda informativa costituente l’allegato A della l.r. n.14/2017, laddove impiega, ad avviso di chi scrive in modo improprio, la nozione di “Capacità edificatoria prevista dallo strumento urbanistico comunale vigente”, peraltro riferendola alla “Superficie territoriale” e differenziandola tra quella totale prevista dal PAT e quella già trasformata o interessata da procedimenti in corso, che non possono che porsi “a valle” del PI.

[9] Per quanto attiene alla documentazione/elaborati richiesti è opportuno fare riferimento ai moduli unificati, coma da ultimo approvati dalla Conferenza unificata il 4 maggio 2017, con Accordo tra Governo, Regioni ed Enti locali, pubblicato unitamente ai moduli di istanza di permesso di costruire, di SCIA alternativa al permesso di costruire, di SCIA, di CILA e di CIL, nel Supplemento ordinario n. 26 della Gazzetta Ufficiale n. 128, del 5 giugno 2017.

All’atto della predisposizione del presente commento, gli ultimi moduli unificati approvati dalla Regione Veneto sono quelli oggetto del Decreto del Direttore della Direzione della Pianificazione territoriale n. 97, del 31 dicembre 2016, pubblicato sul BUR n. 9, del 20 gennaio 2017.

Gli adeguamenti da parte delle Regioni ai moduli statali sopra menzionati debbono avvenire entro il 20 giugno 2017, mentre i Comuni sono tenuti ad adeguarli a loro volta entro il 30 giugno 2017.

[10] La disposizione recita “In funzione degli specifici contenuti, il piano urbanistico attuativo è formato dagli elaborati necessari individuati tra quelli di seguito elencati:

  1. a) l’estratto del piano di assetto del territorio e del piano degli interventi nonché, qualora attinenti alle tematiche svolte, gli estratti di altri strumenti di pianificazione;
  2. b) la cartografia dello stato di fatto riportante il perimetro dell’intervento;
  3. c) la planimetria delle infrastrutture a rete esistenti;
  4. d) la verifica di compatibilità geologica, geomorfologica e idrogeologica dell’intervento;
  5. e) i vincoli gravanti sull’area;
  6. f) l’estratto catastale e l’elenco delle proprietà;
  7. g) il progetto planivolumetrico e l’eventuale individuazione dei comparti;
  8. h) l’individuazione delle aree da cedere o vincolare;
  9. i) lo schema delle opere di urbanizzazione e delle infrastrutture a rete;
  10. j) la relazione illustrativa che, nel caso dei programmi integrati, precisa la rappresentazione del programma in termini economico-sintetici con particolare riguardo ai benefici derivanti ai soggetti pubblici e agli altri soggetti attuatori, nonché il piano finanziario di attuazione;
  11. k) le norme di attuazione;
  12. l) il prontuario per la mitigazione ambientale;
  13. m) la convenzione o gli atti unilaterali d’obbligo;
  14. n) il capitolato e il preventivo sommario di spesa.
[11] Art. 6 – Accordi tra soggetti pubblici e privati.

1.   I comuni, le province e la Regione, nei limiti delle competenze di cui alla presente legge, possono concludere accordi con soggetti privati per assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico.

2.Gli accordi di cui al comma 1 sono finalizzati alla determinazione di alcune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale ed urbanistica, nel rispetto della legislazione e della pianificazione sovraordinata, senza pregiudizio dei diritti dei terzi.

3.L’accordo costituisce parte integrante dello strumento di pianificazione cui accede ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione. L’accordo è recepito con il provvedimento di adozione dello strumento di pianificazione ed è condizionato alla conferma delle sue previsioni nel piano approvato.

4.Per quanto non disciplinato dalla presente legge, trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 11, commi 2 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” e successive modificazioni.”

[12] Art. 7 – Accordo di programma.

1.   Per la definizione e la realizzazione di programmi d’intervento o di opere pubbliche o di interesse pubblico, che richiedono l’azione integrata e coordinata di comuni, province, Regione, amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici o privati, può essere promossa la conclusione di accordi di programma ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” e successive modificazioni. I rapporti con i privati sono disciplinati da un atto unilaterale d’obbligo o da una convenzione da allegare all’accordo di programma.

  1. Qualora l’accordo di programma comporti varianti agli strumenti urbanistici, lo stesso è approvato ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e successive modificazioni, come specificato e integrato da quanto previsto dai commi 3, 4, 5, 6 e 7.
  2. Verificata la possibilità di un consenso unanime dei soggetti interessati in sede di conferenza di servizi, la proposta di accordo di programma, entro i cinque giorni successivi, è depositata presso la segreteria del comune per dieci giorni. Dell’avvenuto deposito è dato avviso sull’albo pretorio del comune e della provincia interessati e mediante affissione di manifesti. Fino a venti giorni dopo la scadenza del periodo di deposito chiunque può presentare osservazioni.
  3. Entro i trenta giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 3, il comune provvede all’istruttoria delle osservazioni e convoca tutte le amministrazioni e i soggetti pubblici interessati che si esprimono definitivamente sull’accordo, anche sulla base delle osservazioni presentate.
  4. L’accordo di programma è sottoscritto dai rappresentanti delle amministrazioni e dai soggetti pubblici che partecipano all’accordo. Ove l’accordo di programma comporti variante al piano di assetto del territorio (PAT), è necessaria l’adesione della provincia e l’accordo è approvato dal presidente della provincia. Ove comporti variante al piano degli interventi (PI), l’accordo è approvato dal sindaco.
  5. L’adesione del sindaco deve essere ratificata dal consiglio comunale entro trenta giorni dalla sottoscrizione dell’accordo di programma a pena di decadenza. L’accordo di programma acquista efficacia trascorsi quindici giorni dalla sua pubblicazione:
  6. a) nell’albo pretorio del comune qualora comporti varianti al piano degli interventi (PI);
  7. b) nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto (BUR) qualora comporti varianti al piano di assetto del territorio (PAT).
  8. Qualora l’accordo di programma non venga realizzato nei termini previsti l’eventuale variante urbanistica decade”.

[13] Per certi versi, si può affermare che la dichiarazione di pubblico interesse introdotta dalla norma in commento segue il modello ed assolve alla medesima funzione attribuita nel previgente Codice dei contratti pubblici ad analoga dichiarazione dell’amministrazione aggiudicatrice nei confronti di proposte oggetto di finanza di progetto (art. 153, commi 16 e 19, del D. Lgs. 163/2006), ricevute in relazione ad interventi non inseriti negli strumenti di programmazione dell’amministrazione, ovvero, nel caso di inserimento nell’elenco annuale, non fatti oggetto di specifico bando entro 6 mesi da tale inserimento. Peraltro, nel nuovo Codice dei contratti pubblici la corrispondente disposizione (art. 183, comma 15, del D. Lgs. 50/2016) non prevede più la formale valutazione del “pubblico interesse” della proposta di intervento.

[14] Quanto meno della pianificazione urbanistica generale, atteso che la sopravvenuta legislazione statale ha attributo alla Giunta comunale la competenza approvativa dei PUA (art. 5, comma 13, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106).

[15] Si richiamano in proposito le considerazioni sviluppate in commento al precedente comma 6.

[16] Art. 30 – Annullamento dei provvedimenti comunali e poteri sostitutivi.

6.   Quando il comune, con riferimento alla formazione o alla variazione degli strumenti di pianificazione urbanistica, non adotti o non compia, entro i termini previsti dalla legge, atti o adempimenti cui è espressamente obbligato, il presidente della provincia esercita i poteri sostitutivi promuovendo d’ufficio, ove possibile, la convocazione dell’organo comunale competente per la deliberazione dell’atto previsto oppure assegnando un termine al comune per il compimento dell’atto o dell’adempimento. Decorso inutilmente il nuovo termine, il presidente della provincia nomina un commissario ad acta. All’atto dell’insediamento il commissario, preliminarmente all’emanazione del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se, anteriormente alla data dell’insediamento medesimo, l’amministrazione abbia provveduto ancorché in data successiva al termine assegnato.

  1. Quando la provincia, nella formazione, adozione o variazione degli strumenti territoriali non adotti o non compia, entro i termini previsti, tutti gli atti o adempimenti cui è tenuta, il Presidente della giunta regionale, esercita il potere sostitutivo secondo la disciplina prevista dal comma 6.
  2. Il Presidente della Giunta regionale, nei casi di particolare gravità e previa notifica di un nuovo termine al comune e alla provincia, nomina un commissario ad acta per il compimento dell’atto o dell’adempimento previsto a seguito dell’inerzia della provincia nell’esercizio dei propri poteri sostitutivi nei confronti del comune.
  3. L’ente nei cui confronti è nominato il commissario ad acta assume tutte le spese inerenti all’espletamento dell’incarico conferito al commissario, ivi comprese quelle relative alla difesa processuale degli atti adottati, in quanto all’ente medesimo imputabili.
  4. Qualora il comune nel procedimento di formazione o di variazione degli strumenti di pianificazione urbanistica, non possa deliberare su piani urbanistici in presenza delle condizioni che comportino l’obbligo di astensione previsto dall’articolo 78 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e successive modificazioni, il Difensore civico regionale, su istanza del comune interessato, se ritiene sussistano ragioni di interesse pubblico, può nominare un commissario ad acta per adottare il provvedimento in via sostitutiva.

[17] Si tratta del provvedimento con cui la Giunta regionale determina la quantità massima di consumo di suolo ammesso nel territorio regionale e la relativa ripartizione per ambiti comunali o sovracomunali omogenei

[18]Art. 50 (Varianti parziali)

6. Le varianti parziali di cui al comma 4 sono adottate dal consiglio comunale ed entro cinque giorni sono depositate a disposizione del pubblico per dieci giorni presso la segreteria del comune e della provincia; dell’avvenuto deposito è data notizia mediante avviso pubblicato all’albo del comune e della provincia e mediante l’affissione di manifesti, nonché attraverso altre eventuali forme di pubblicità deliberate dal comune. Nei successivi venti giorni chiunque può presentare osservazioni alla variante adottata.

  1. Il consiglio comunale entro trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle osservazioni, approva la variante apportando le eventuali modifiche conseguenti all’accoglimento delle osservazioni pertinenti e la trasmette alla Regione per la pubblicazione.
  2. La variante approvata viene inviata alla struttura regionale competente e acquista efficacia trascorsi trenta giorni dalla pubblicazione nell’albo pretorio del comune interessato”.

[19]Art. 33 – Aree non pianificate

1. Si intendono aree non pianificate quelle per le quali sia intervenuta la decadenza di cui all’articolo 18, comma 7.

  1. Nelle aree non pianificate esterne al perimetro dei centri abitati, fino alla approvazione di un nuovo piano degli interventi o di una sua variante che le riguardi, sono consentiti i soli interventi ammessi per la zona agricola limitatamente alla residenza.
  2. Nelle aree non pianificate interne al perimetro dei centri abitati, fino alla approvazione di un nuovo piano degli interventi o di una sua variante che le riguardi, sono consentiti i soli interventi di cui alle lettere a), b), c), d), dell’articolo 3 del decreto del presidente della repubblica n. 380 del 2001”.

[20] Ex art. 13 della legge 27 gennaio 1977, n. 10; art. 17, comma 1, lett. b), e artt. 19-21 della l.r.27 giugno 1985, n. 61, abrogati dall’art. 49, comma 1, lett. e), della l.r. n.11/2004.

Commento all’art. 12 l.r. n. 14/2017

di Roberto Travaglini

Art. 12

Disposizioni finali

1. Sono sempre consentiti sin dall’entrata in vigore della presente legge ed anche successivamente, in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a):

a) gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata;

b) gli interventi di cui agli articoli 5 e 6, con le modalità e secondo le procedure ivi previste;

c) i lavori e le opere pubbliche o di interesse pubblico;

d) gli interventi di cui al Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55 “Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante”;

e) gli interventi di cui all’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, e, comunque, tutti gli interventi connessi all’attività dell’imprenditore agricolo;

f) l’attività di cava ai sensi della vigente normativa;

g) gli interventi di cui alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche”, le cui premialità sono da considerarsi alternative e non cumulabili con quelle previste dal presente Capo;

h) gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), nei piani di area e nei progetti strategici di cui alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11.

2. Ai fini della realizzazione degli interventi di cui al comma 1, lettera b), sono consentite eventuali varianti allo strumento urbanistico comunale.

2 bis. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche agli interventi commerciali che restano disciplinati dalla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 “Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto”, e dai relativi regolamento e provvedimenti attuativi, ove rechino una disciplina più restrittiva.

Sommario: 1. Il comma 1 – 2. (segue) gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata3. (segue) gli interventi di cui agli articoli 5 e 6, con le modalità e secondo le procedure ivi previste4. (segue) i lavori e le opere pubbliche o di interesse pubblico 5. (segue) gli interventi di cui al Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55 “Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive”6. (segue) gli interventi di cui all’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 e, comunque, tutti gli interventi connessi all’attività dell’imprenditore agricolo7. (segue) l’attività di cava ai sensi della vigente normativa8. (segue) gli interventi di cui alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 – c.d. Piano casa9. (segue) gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), nei piani di area e nei progetti strategici di cui alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 1110. Il comma 211. Il comma 2-bis.

1. Il comma 1

L’art. 12, come si evince dalla formulazione del relativo comma 1, assolve alla funzione di indicare gli interventi e le attività che “sono sempre consentiti sin dall’entrata in vigore” della l.r. 14/2017 (ovvero dal 24 giugno 2017) e restano consentiti anche dopo che il provvedimento della Giunta regionale previsto dall’art. 4, co. 2, lett. a), avrà indicato i limiti del suolo consumabile in ciascun Comune del Veneto, potendo derogare a detti limiti.

La portata della disposizione è, pertanto, quella di individuare una serie di interventi e/o attività che – sebbene costituenti consumo di suolo secondo la definizione datane dall’art. 2, lett. c) (di seguito, nel commento, si vedrà, peraltro, che non è sempre così) – il legislatore ritiene di sottrarre alla disciplina del contenimento del consumo di suolo dettata con il provvedimento legislativo in esame.

2. (segue) gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata

La prima fattispecie, la cui descrizione è riportata in rubrica, si caratterizza per la duplice circostanza che si tratta di interventi (già) previsti dallo strumento urbanistico generale (PRG per i Comuni ancora privi del PAT, PI per quelli che ne sono già dotati) e che ricadono negli ambiti di urbanizzazione consolidata.

Quest’ultima espressione va interpretata ricorrendo alla relativa definizione, contenuta nell’art. 2, lett. e), secondo cui costituiscono ambiti di urbanizzazione consolidata “l’insieme delle parti del territorio già edificato, comprensivo delle aree libere intercluse o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa, delle dotazioni di aree pubbliche per servizi e attrezzature collettive, delle infrastrutture e delle viabilità già attuate, o in fase di attuazione, nonché le parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato e i nuclei insediativi in zona agricola. Tali ambiti di urbanizzazione consolidata non coincidono necessariamente con quelli individuati dal piano di assetto del territorio (PAT) ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera o), della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11”.

Nel rinviare al commento all’art. 2 riportato nel presente volume per gli opportuni approfondimenti della definizione sopra riprodotta, appare utile sottolineare in questa sede che dal combinato disposto delle ulteriori definizioni di “superficie naturale e seminaturale” (art. 2, lett. a) e “consumo di suolo” (art. 2, lett. c) si ricava che può aversi consumo di suolo anche all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata, ma esclusivamente con riferimento alle relative superfici che risultino “utilizzate, o destinate, a verde pubblico o ad uso pubblico”, oppure “costituenti continuità ambientale, ecologica e naturalistica con le superfici esterne della medesima natura”.

Orbene, gli interventi aventi ad oggetto quest’ultime superfici beneficiano della disciplina “derogatoria” dettata dalla lettera a) della norma in commento, mentre la gran parte delle superfici comprese negli ambiti di urbanizzazione consolidata, non rientrando tra quelle la cui impermeabilizzazione dà luogo a consumo di suolo, sono realizzabili a prescindere dalla predetta norma.

3. (segue) gli interventi di cui agli articoli 5 e 6, con le modalità e secondo le procedure ivi previste

Gli articoli richiamati riguardano, rispettivamente, la “riqualificazione edilizia ed ambientale” (art. 5) e la “riqualificazione urbana” (art. 6), ai cui commenti, ovviamente, si rinvia.

In questa sede preme sottolineare come gli interventi di riqualificazione urbana siano localizzati “negli ambiti urbani degradati” (art. 6, co. 1), espressione che giusta la definizione riportata nell’art. 2, lett. g), indica “le aree ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata, assoggettabili agli interventi di riqualificazione urbana di cui all’articolo 6”.

Ciò comporta, analogamente a quanto rilevato per gli interventi di cui alla precedente lettera a), che anche per quelli di riqualificazione urbana l’eventualità che possano dar luogo a consumo di suolo ai sensi della l.r. n. 14/2017 è piuttosto marginale, in quanto legata al solo coinvolgimento di superfici “utilizzate, o destinate, a verde pubblico o ad uso pubblico”, oppure “costituenti continuità ambientale, ecologica e naturalistica con le superfici esterne della medesima natura”.

Anche in queste remote occasioni, peraltro, la norma che qui si commenta ne sancisce l’irrilevanza, consentendo egualmente la realizzazione di tali interventi comportanti consumo di suolo.

Diversa è la situazione nel caso degli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale, potendo riguardare singoli edifici e/o opere incongrui, degradati, da migliorare nella relativa qualità edilizia, la cui collocazione non necessariamente coincide con ambiti di urbanizzazione consolidata.

Da ultimo, va evidenziato che la norma in rubrica, mentre sottrae alla disciplina “contenitiva” del consumo di suolo gli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale, così come quelli di riqualificazione urbana, non estende analogo regime agli interventi di rigenerazione urbana sostenibile di cui all’art. 7 della l.r. n. 14/2017.

Tale differenziazione si giustifica solo parzialmente con la circostanza che a norma dell’art. 4, co. 2, lett. b), per la concreta applicazione dell’art. 7 la Giunta regionale è chiamata a dettare “i criteri di individuazione e gli obiettivi di recupero degli ambiti urbani di rigenerazione, nel rispetto delle specifiche finalità di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), nonché gli strumenti e le procedure atti a garantire l’effettiva partecipazione degli abitanti alla progettazione e gestione dei programmi di rigenerazione urbana sostenibile”.

Infatti, come in precedenza evidenziato, la disciplina speciale delineata dall’articolo che qui si commenta opera anche in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale di cui all’art. 4, co. 2, lett. a), lo stesso provvedimento che, a norma della sopra riprodotta lett. b), del medesimo art. 4, è chiamato a definire criteri di individuazione e obiettivi di recupero degli ambiti di rigenerazione urbana sostenibile.

Va, peraltro, sottolineato come anche nel caso degli interventi di rigenerazione urbana sostenibile di cui all’art. 7, così come già visto in relazione a quelli di riqualificazione urbana dell’art. 5, il contesto “di riferimento” sia essenzialmente costituito dalla “città costruita”, vista la definizione degli “ambiti urbani di rigenerazione” riportata nell’art. 2, co. 1, lett. h), che li identifica ne “le aree ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata, caratterizzati da attività di notevole consistenza, dismesse o da dismettere, incompatibili con il contesto paesaggistico, ambientale od urbanistico, nonché le parti significative di quartieri urbani interessate dal sistema infrastrutturale della mobilità e dei servizi”.

4. (segue) i lavori e le opere pubbliche o di interesse pubblico

Per l’individuazione della portata delle espressioni impiegate dall’elencazione in rubrica è necessario fare innanzi tutto riferimento alle definizioni contenute nell’art. 3 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).

Secondo la lett. ll) della norma da ultimo richiamata sono “appalti pubblici di lavori” i contratti aventi ad oggetto almeno l’esecuzione delle “attività di cu all’allegato I”, mentre secondo la successiva lett. nn), sono “lavori di cui all’allegato I, le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione urbanistica ed edilizia, sostituzione, restauro, manutenzione di opere”.

A sua volta, la lett. pp) definisce come “opera, il risultato di un insieme di lavori, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica. Le opere comprendono sia quelle che sono il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile, sia quelle difesa e di presidio ambientale, di presidio agronomico e forestale, paesaggistica e di ingegneria naturalistica”.

Nell’art. 3 del Codice dei contratti pubblici non si rinviene, al contrario, la definizione di “opere di intesse pubblico”, espressione che compare esclusivamente all’art. 186 (Privilegio sui crediti), norma compresa nella Parte IV (Partenariato pubblico privato e contraente generale ed altre modalità di affidamento), Titolo I (Partenariato pubblico privato).

Tale collocazione appare, peraltro, coerente con gli assunti giurisprudenziali secondo cui “La categoria dell’ «interesse pubblico», quale connotazione di un’opera, di una attività o di una funzione, ha carattere aperto e/o indeterminato, non essendo vincolata ad alcuna espressa qualificazione legislativa né alla pertinenza soggettiva dell’iniziativa: essa si presta quindi ad abbracciare qualunque intervento che, a prescindere dalla sua appartenenza tipologica, risulti rispondere, nel concreto contesto sociale ed economico in cui deve essere realizzato, ad una finalità rilevante ed utile per la collettività (e non solo per il soggetto che se ne faccia promotore). Anche un intervento funzionale al raggiungimento di scopi di carattere lucrativo può astrattamente soddisfare esigenze di carattere pubblico e/o di pubblica utilità”.[1]

Va, altresì, ricordato che la nozione di “edifici di interesse pubblico” è contenuta nell’art. 14 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, e concorre a delineare la fattispecie del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici.

Riguardo a quest’ultima disposizione, la giurisprudenza ha recentemente affermato che “Ai fini dell’adozione di un permesso di costruire in deroga ex art. 14 t.u. edilizia non è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico dell’edificio o del suo utilizzo, ma è sufficiente che coincida con gli effetti benefici per la collettività che dalla deroga potenzialmente derivano, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità del caso[2].

5. (segue) gli interventi di cui al Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55 “Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive”

La previsione in rubrica consente sin dall’entrata in vigore della l.r. n. 14/2017 e, successivamente, anche in deroga ai limiti relativi al consumo di suolo, stabiliti per ambiti comunali o sovracomunali omogenei dalla Giunta regionale con il provvedimento di cui all’art. 4, co. 2, lett. a), gli interventi di edilizia produttiva previsti dagli artt. 2, 3 e 4 della l.r. n. 55/2012.

Il Capo I della citata legge regionale detta “procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive”, espressione, quest’ultima, mutuata dall’art. 1, co. 1, lett. i), del DPR 7 settembre 2010, n. 160 “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive”, secondo cui sono attività produttive “le attività di produzione di beni e servizi, incluse le attività agricole, commerciali e artigianali, le attività turistiche e alberghiere, i servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari e i servizi di telecomunicazioni, di cui alla lettera b), comma 3, dell’articolo 38 del decreto-legge[3].

L’art. 2 della l.r. n. 55/2012 riguarda gli interventi di edilizia produttiva che non configurano variante allo strumento urbanistico generale[4], l’art. 3 gli interventi di edilizia produttiva realizzabili in deroga allo strumento urbanistico generale[5], l’art. 4 si riferisce agli interventi di edilizia produttiva in variante allo strumento urbanistico generale[6], mentre l’art. 4-bis riguarda le attività produttive con caratteristiche riconosciute di “eccellenza” in base a parametri da definirsi a cura della Giunta regionale, che peraltro non vi ha ancora provveduto.

Preme in questa sede evidenziare che il richiamo operato dall’art. 4 della l.r. n. 55/2012 all’art. 8 del DPR 160/2010, fa sì che la fattispecie oggetto della norma regionale vada integrata con la disposizione statale e, in particolare, con la relativa condizione di applicabilità costituita dalla circostanza che “lo strumento urbanistico non individua aree destinate all’insediamento di impianti produttivi o individua aree insufficienti[7].

In merito alla predetta condizione, la giurisprudenza ha sottolineato “il carattere eccezionale e derogatorio della procedura disciplinata dall’art. 5, la quale non può essere surrettiziamente trasformata in una modalità “ordinaria” di variazione dello strumento urbanistico generale: pertanto, perché a tale procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche l’assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua (e, quindi, insufficiente) in ordine all’insediamento da realizzare[8].

Purtuttavia, nel caso in cui l’intervento da realizzare consista in un ampliamento dell’insediamento produttivo esistente, la citata condizione sembra doversi intendere del tutto superflua, atteso che in tal caso “l’area da destinare all’ampliamento della relativa attività non può essere rinvenuta altrove, ma deve evidentemente trovarsi in stabile e diretto collegamento con quella dell’insediamento principale e da ampliare[9].

Appare utile sottolineare che la formulazione della fattispecie derogatoria riguardante gli interventi oggetto di SUAP, presente nell’art. 12, co. 1, lett. d), della l.r. n. 14/2017, è diversa da quella licenziata dalla II^ Commissione consiliare il 16 febbraio 2017, che quanto agli interventi degli artt. 4 e 4-bis della l.r. n. 55/2012, li limitava ai soli “ampliamenti delle attività esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.

6. (segue) gli interventi di cui all’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 e, comunque, tutti gli interventi connessi all’attività dell’imprenditore agricolo

La lettera in rubrica sottrae alla disciplina del contenimento del consumo di suolo innanzi tutto “gli interventi edilizi in funzione dell’attività agricola, siano essi destinati alla residenza che a strutture agricolo-produttive” (così recita l’art. 44, co. 1, della l.r. n. 11/2004), strutture, quest’ultime, definite nell’apposito Atto di indirizzo previsto dall’art. 50, co. 1, lett. d), n. 3, della l.r. n. 11/2004[10].

Si rammenta che gli interventi di cui al citato art. 44, a norma del relativo comma 2, sono consentiti, sulla base di un piano aziendale, esclusivamente all’imprenditore agricolo titolare di un’azienda agricola con requisiti minimi fissati dalla stessa disposizione di legge.

Quanto all’ulteriore, almeno in apparenza, fattispecie degli “interventi connessi all’attività agricola”, deve comunque trattarsi di interventi significativi in relazione alla disciplina del contenimento del consumo di suolo (ed in particolare della sua definizione, riportata nell’art. 2, co. 1, lett. c), della l.r. n. 14/2017), che parla di “impermeabilizzazione del suolo”, di “interventi di copertura artificiale”, di “scavo o rimozione”, tali da compromettere “le funzioni eco-sistemiche e le potenzialità produttive” del suolo.[11]

In chiusura si evidenzia che in base all’art. 2, co. 1, lett. e), rientrano nella nozione di ambito di urbanizzazione consolidata – al cui interno, salvo le eccezioni indicate all’art. 2, co. 1, lett. a), non è dato registrare superfici naturali e/o seminaturali la cui trasformazione possa dal ruolo a consumo di suolo – anche i “nuclei insediativi in zona agricola”.

7. (segue) l’attività di cava ai sensi della vigente normativa

L’attività di cava è attualmente disciplinata dalla legge regionale 7 settembre 1982, n. 44, anche se giacciono in II^ Commissione consiliare due diverse proposte di legge, una di iniziativa del consigliere Maurizio Conte (PDL 28, presentato il 10 luglio 2015) ed altra di iniziativa della Giunta regionale (PDL 153, presentato il 3 giugno 2016), per superare la normativa ormai risalente a quasi 35 anni fa.

Secondo l’art. 13 della l.r. n. 44/1982 “Costituiscono aree di potenziale escavazione le parti del territorio comunale definite zona E ai sensi del dm 2 aprile 1968, n. 1444 dallo strumento urbanistico generale approvato e non escluse dall’attività di cava ai sensi della presente legge”.

Considerato che a norma dell’art. 2, co. 1, lett. a), rientrano nella nozione di “superficie naturale e seminaturale” anche le aree “destinate all’attività agricola”, che a norma della successiva lett. b), del medesimo articolo debbono considerarsi “superficie agricola” anche “i terreni qualificati come tali dagli strumenti urbanistici”, e che la lett. c) della medesima disposizione definisce “consumo di suolo” “: l’incremento della superficie naturale e seminaturale interessata da interventi di impermeabilizzazione del suolo, o da interventi di … scavo … che ne compromettano le funzioni eco-sistemiche e le potenzialità produttive” è evidente che in assenza della previsione derogatoria qui in commento nuovi interventi costituenti esercizio dell’attività di cava avrebbero dovuto risentire del blocco temporaneo di cui all’art. 13, co. 1, della l.r. n. 14/2017 ed essere successivamente subordinati al rispetto dei limiti definiti dal provvedimento emesso dalla Giunta regionale in attuazione dell’art. 4, co. 2, lett. a), e dalle conseguenti varianti di adeguamento dello strumento urbanistico comunale.

8. (segue) gli interventi di cui alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 – c.d. Piano casa

Con la previsione in rubrica vengono affrancati dalle misure di contenimento del consumo di suolo, sia nel periodo transitorio, sia, successivamente, a regime, gli interventi previsti e consentiti dalla l.r. n. 14/2009 e successive modifiche “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche”, meglio nota come “Piano casa”.

Si tratta degli interventi di ampliamento (art. 2 della l.r. n. 14/2009), di demolizione e ricostruzione con ampliamento (art. 3), anche in zona agricola (art. 3-bis), di rimozione e smaltimento dell’amianto (art. 3-ter), di demolizione e ricostruzione, in zona territoriale omogenea propria e non dichiarata pericolosa dal punto di vista idraulico, di edifici ricadenti in aree ad alta pericolosità idraulica o idrogeologica (art. 3-quater), aventi ad oggetto attrezzature all’aperto, a servizio degli insediamenti turistici e ricettivi (art. 4) di installazione di impianti solari e fotovoltaici (art. 5).

Va sottolineato che la norma in esame precisa che le “premialità” che accedono alla disciplina del c.d. “Piano casa” sono da considerarsi alternative e non cumulabili con quelle previste dalle disposizioni del Capo I della l.r. n. 14/2017 (bonus volumetrici o superficiari previsti nei casi di riqualificazione edilizia ed ambientale ex art. 5 e di riqualificazione urbana ex art. 6).

Com’è noto, l’art. 19 della l.r. 4 aprile 2019, n. 14 “Veneto 2050: Politiche per la riqualificazione urbana e la rinaturalizzazione del territorio”, ha disposto, a far data dal 6 aprile 2019 (giorno successivo alla pubblicazione sul BUR n. 32/2019), l’abrogazione di buona parte delle norme della l.r. n. 14/2009 (fanno eccezione gli artt. 5 e 10).

A sua volta, l’art. 17, comma 1, della stessa l.r. 14/2019, stabilisce che “Gli interventi per i quali la segnalazione certificata di inizio lavori o la richiesta del permesso di costruire siano stati presentati, ai sensi della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, entro il 31 marzo 2019[12], continuano ad essere disciplinati dalla medesima legge regionale”.

Si pone, pertanto, il problema se l’affrancamento dalla disciplina del contenimento del consumo di suolo degli interventi previsti dalla legge regionale sul “Piano casa” – affrancamento disposto dalla norma che qui si commenta – possa trovare applicazione, una volta abrogata la l.r. n. 14/2009, nei confronti degli interventi disciplinati dagli artt. 6 (interventi edilizi di ampliamento), 7 (interventi di riqualificazione del tessuto esistente), 8 (interventi in zona agricola) e 9 (interventi su edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica) della l.r. n. 14/2019, che sostituiscono e mettono “a regime” quelli di carattere “straordinario” introdotti nel 2009.

La risposta appare necessariamente negativa, atteso il puntuale riferimento che la norma in commento fa alla l.r. 14/2009, che ne escludere il carattere “dinamico” o “mobile”.

D’altra parte, la questione riveste una portata piuttosto modesta, atteso che gli interventi di cui agli artt. 6 e 7 della l.r. n. 14/2019 possono essere realizzati nei soli “ambiti di urbanizzazione consolidata” individuati dai comuni ai sensi della l.r. n. 14/2017 (ed al cui interno non si dà luogo a consumo di suolo) e nella zona agricola, ma in quest’ultimo caso, a norma dell’art. 8, limitatamente alla prima casa di abitazione (e relative pertinenze) ed esclusivamente in aderenza o sopra elevazione.

Ne consegue che potranno determinare consumo di suolo (e, conseguentemente, doverne rispettare i limiti fissati dai comuni nei relativi strumenti urbanistici adeguati alla DGR 668/2018) solo gli interventi di cui agli artt. 6 e 7 della l.r. 14/2019 riguardanti edifici in zona agricola, esterni ai “nuclei insediativi” ivi presenti – che a norma dell’art. 2, comma 1, lett. e), della l.r. n. 14/2017, fanno parte degli ambiti di urbanizzazione consolidata – nella sola ipotesi di incremento volumetrico in aderenza.

Quanto agli interventi di demolizione di edifici ubicati in aree di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata (P3) e ricostruiti altrove[13], egualmente potranno determinare consumo di suolo e, conseguentemente, doverne rispettare i limiti fissati dai comuni in attuazione della DGR 668/2018, qualora la ricostruzione abbia luogo all’esterno degli ambiti di urbanizzazione consolidata di cui all’art. 2, comma 1, lett. e), della l.r. n. 14/2017.

9. (segue) gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), nei piani di area e nei progetti strategici di cui alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11

A tal proposito si ricorda che il Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e disciplinato, quanto ai contenuti, dall’art. 24 e quanto al procedimento di formazione, efficacia e varianti, dall’art. 25 della l.r. n. 11/2004.

A loro volta i Piani d’area costituivano, a norma dell’art. 3 della l.r. 27 giugno 1985, n. 61, strumento di specificazione del PTRC, e quelli vigenti alla data di entrata in vigore della l.r. n. 11/2004, sono considerati parte integrante del PTRC a norma dell’art. 48, co. 2, di quest’ultima legge regionale.

Infine, dei piani strategici si occupa l’art. 26 della l.r. n. 11/2004, in base al quale “Il piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) può prevedere che le opere, gli interventi o i programmi di intervento di particolare rilevanza per parti significative del territorio siano definiti mediante appositi progetti strategici”.

10. Il comma 2

Il comma 2 della disposizione in commento stabilisce che per la realizzazione degli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale (art. 5) e di riqualificazione urbana (art. 6) “sono consentite eventuali varianti allo strumento urbanistico comunale”.

Tale precisazione appare di difficile interpretazione e, comunque, collocata in un contesto non coerente.

Cominciando da quest’ultimo rilievo, appare evidente che con la norma testé riprodotta non si è inteso delineare un regime derogatorio alla disciplina del contenimento del consumo di suolo per gli interventi di cui agli artt. 5 e 6, poiché tale regime è già sancito dal comma 1, lett. b).

Ciò detto, risulta privo di ogni sistematicità l’inserimento di un connotato disciplinare proprio degli interventi sopra richiamati in sede diversa dagli articoli che ne disciplinano il contenuto.

Ma la difficoltà interpretativa nasce soprattutto dal confronto con tali disposizioni, poiché:

  • secondo l’art. 5, co. 2, “Fermo restando il rispetto del dimensionamento del piano di assetto del territorio (PAT), il piano degli interventi (PI) … definisce le misure e gli interventi finalizzati al ripristino, al recupero e alla riqualificazione nelle aree occupate dalle opere di cui al comma 1 e prevede misure di agevolazione che possono comprendere il riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata, premialità in termini volumetrici o di superficie e la riduzione del contributo di costruzione”;
  • secondo l’art. 6, co. 2, “Fermo restando il rispetto del dimensionamento del piano di assetto del territorio (PAT), il piano degli interventi (PI) individua il perimetro degli ambiti urbani degradati da assoggettare ad interventi di riqualificazione urbana e li disciplina in una apposita scheda, precisando: i fattori di degrado, gli obiettivi generali e quelli specifici della riqualificazione, i limiti di flessibilità rispetto ai parametri urbanistico-edilizi della zona, le eventuali destinazioni d’uso incompatibili e le eventuali ulteriori misure di tutela e compensative, anche al fine di garantire l’invarianza idraulica e valutando, ove necessario, il potenziamento idraulico nella trasformazione del territorio.”, mentre il successivo comma 3 stabilisce che “Il PI può prevedere il riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata, premialità in termini volumetrici o di superficie e la riduzione del contributo di costruzione”.

Appare curioso che dopo aver configurato, negli articoli ad esse dedicati ed al cui commento si rinvia, sia la riqualificazione edilizia ed ambientale, sia la riqualificazione urbana, come rispettose del PRC (PAT e PI) riguardo ai contenuti menzionati nelle sopra riprodotte sedi disciplinari, venga poi stabilito, nella norma recante disposizioni finali, che per la realizzazione dei tali interventi “sono consentite eventuali varianti allo strumento urbanistico comunale”.

Inoltre, come già evidenziato nel commento del comma 1, lett. b), anche nel comma 2 ora in esame si omette qualsiasi richiamo alla rigenerazione urbana sostenibile, di cui all’art. 7, per la realizzazione dei cui interventi, pertanto, non “sono consentite eventuali varianti allo strumento urbanistico comunale”.

Fermi restando i rilievi di carattere sistematico sopra formulati, il personale convincimento di chi scrive è che la disposizione riportata al comma 2 sia del tutto superflua e, per la non esaustività delle fattispecie in essa espressamente richiamate, perfino fuorviante.

Infatti, il rapporto di necessaria coerenza tra la pianificazione urbanistica generale e gli strumenti (titolo edilizio diretto, PUA) a disposizione per l’attuazione degli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale, nonché di riqualificazione urbana, fa sì che il quadro di riferimento “a monte” possa essere adeguato, ricorrendo ad opportune varianti, ogni qual volta esse appaiano utili e funzionali alla più efficace realizzazione degli obiettivi di pubblico interesse sottesi a tali interventi.

Si tratta, peraltro, della normale dialettica che contraddistingue il rapporto tra la pianificazione generale e la concreta attuazione delle relative previsioni.

Ma se questo è l’ovvio contenuto del comma 2, a maggior ragione non può che riguardare anche, se non soprattutto, gli stessi interventi di rigenerazione urbana sostenibile, di cui all’art. 7 della l.r. n. 14/2017, attesa la scala territorialmente più ampia e la maggiore complessità funzionale che li contraddistingue rispetto agli interventi dei precedenti artt. 5 e 6 della stessa legge in commento.

Anche in relazione agli interventi di rigenerazione urbana sostenibile, in sostanza, sembra inevitabile doversi riconoscere la possibilità di variare preventivamente la strumentazione urbanistica “a monte”, così da potervi incardinare, in un quadro di coerenza, i singoli episodi di rigenerazione.

Il tutto senza dimenticare che – – come meglio evidenziato nel commento all’art. 7 -l’approvazione dei programmi di rigenerazione urbana sostenibile avviene mediante accordo di programma ex art. 32 della l.r. n. 35/2001, strumento cui è associata, ove ne ricorra la necessità, “la variazione integrativa agli strumenti urbanistici senza necessità di ulteriori adempimenti”.

11. Il comma 2-bis

L’art. 57, comma 1, della legge regionale 29 dicembre 2017, n. 45 “Collegato alla legge di stabilità regionale 2018”, ha aggiunto il comma 2-bis alla norma che qui si commento, stabilendo che “Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche agli interventi commerciali che restano disciplinati dalla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 “Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto”, e dai relativi regolamento e provvedimenti attuativi, ove rechino una disciplina più restrittiva”.

Nel primo esame dell’originaria formulazione dall’articolo qui in commento si era sottolineato come l’assenza di un’esplicita menzione degli interventi disciplinati dalla l. r. n. 50/2012 e dai relativi provvedimenti attuativi (in primis il Regolamento regionale 21 giugno 2013, n. 1) tra quelli che l’art. 11 consente anche in deroga ai limiti al consumo di suolo dovesse essere interpretata nel senso che tali interventi sono ammessi soltanto se non comportano consumo di suolo nell’accezione datane dall’art. 2, lett. c) e se sono compatibili con le previsioni degli strumenti urbanistici adeguati al provvedimento della Giunta regionale di cui all’art. 4, co. 2, lett. a), della l.r. n. 14/2017 (cfr.: DGR n. 668/2018).

Ad avviso di chi scrive il nuovo comma 2-bis conferma tale interpretazione, ancorché la relativa collocazione nell’art. 11 appaia quanto meno “originale”.

Infatti, se la finalità dell’art. 11 è l’individuazione di una serie di interventi e/o attività che – sebbene costituenti consumo di suolo – il legislatore ritiene di sottrarre alla disciplina del relativo contenimento, non può che risultare pleonastica la precisazione secondo cui tale disciplina si applica anche agli interventi commerciali di cui alla l.r. n. 50/2012 e relativi provvedimenti di attuazione, proprio perché detti interventi non sono menzionati tra quelli che l’art. 11 consente “in deroga” ai limiti del consumo di suolo.

Inoltre, stante la descritta portata dell’art. 11, è altrettanto ovvio che la normativa sugli insediamenti commerciali possa (anzi, per il principio di specialità, debba) continuare a trovare applicazione laddove rechi una disciplina sul consumo di suolo “più restrittiva” di quella scaturente dalla l.r. n. 14/2017 e dalla relativa attuazione disposta con la DGR 668/2018 e tradotta nelle conseguenti varianti di adeguamento degli strumenti urbanistici comunali.

Sul punto, anche la Direzione Industria Artigianato Commercio e Servizi della Regione Veneto, con nota prot. n. 7369/70.00.04, datata 9 gennaio 2018, si è limitata a constatare che la portata del nuovo art. 11, comma 2-bis, della l.r. 14/2017 è quella di chiarire che le normative sul consumo di suolo e sulla attività commerciali “trovano entrambe applicazione e che nei casi di incompatibilità trova applicazione la normativa maggiormente restrittiva, in quanto preordinata al più efficace perseguimento delle finalità del contenimento del consumo di suolo”.

Rinviando agli autorevoli commenti della l.r. n. 50/2012 e del regolamento n. 1/2013[14], ci si limita qui a ricordare che l’art. 21 della legge fissa il principio della necessaria coerenza tra la localizzazione delle medie e delle grandi strutture di vendita e le previsioni dello strumento urbanistico comunale adeguato al regolamento, privilegiando in ogni caso il loro insediamento nei centri storici.

A sua volta, l’art. 2 del regolamento stabilisce che il Piano degli Interventi favorisce la localizzazione delle medie e delle grandi strutture di vendita all’interno del centro urbano[15], anche attraverso interventi di riqualificazione urbanistica di aree o strutture dismesse e degradate, le cui caratteristiche (degrado edilizio, degrado urbanistico e degrado socio-economico) corrispondono a quelle indicate nei punti 1), 2) e 3) dell’art. 2, comma 1, lett. g; della l.r. n. 14/2017, recante la definizione di “ambiti urbani degradati”, identificati nelle “aree ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata, assoggettabili agli interventi di riqualificazione urbana[16]

Da quanto sopra discende che l’aspetto di maggiore criticità nel rapporto tra la disciplina del contenimento del consumo di suolo (l.r. n. 14/2017) e quella delle attività commerciali (l.r. n. 50/2012 e regolamento n. 1/2013) è rappresentato dal rapporto esistente tra l’accordo di programma per interventi regionali, normato dall’art. 11 della l.r. n. 14/2017, e l’accordo di programma cui l’art. 26 della l.r. n. 50/2012 subordina gli interventi riguardanti le grandi strutture di vendita indicate nel comma 1 di tale disposizione, qualora localizzati al di fuori dei centri storici.

Nel rinviare all’aggiornamento del commento alla prima delle citate norme per una più compiuta analisi di tale rapporto, ci si limita a sottolineare la non coincidenza, nonostante l’identica denominazione, tra l’accordo di programma cui fa riferimento l’art. 11 della legge sul consumo di suolo e l’accordo di programma previsto dall’art. 26 della l.r. n. 50/2012 per l’autorizzazione, anche in variante urbanistica, delle grandi strutture di vendita a rilevanza regionale.

Il primo è quello disciplinato dall’art. 32 della l.r. n. 35/2001, dalle disposizioni applicative contenute nella DGR n. 2493, del 14 dicembre 2010, nonché dall’art. 6 della l.r. n. 11/2004; il secondo è quello disciplinato dall’art. 34 del d.P.R. n. 267/2000, cui fa rinvio anche l’art. 7 della l.r. n. 11/2004.

Di qui la personale convinzione che, nonostante l’identica denominazione, i due istituti non debbano essere tra lo confusi ed identificati, con conseguente autonomia delle relative discipline sostanziali e procedurali.

Il che comporta, sempre a giudizio di chi scrive, che l’art. 11 della l.r. n. 14/2017 non possa essere invocato tout court per l’approvazione in deroga ai limiti di consumo di suolo di interventi concernenti grandi strutture di vendita – ancorché quelle sole dell’art. 26, comma 1, della l.r. n. 50/2012, localizzate al di fuori dei centri storici – ma esclusivamente riguardo agli “interventi che, pur in presenza di iniziative commerciali, abbiano una marcata valenza strategica di livello regionale[17].

Infine, non va trascurato che l’art. 11, della l.r. n. 14/2017, nel consentire agli accordi di programma ivi richiamati di derogare ai limiti di consumo di suolo, subordina tale possibilità alle seguenti condizioni:

  1. a) impossibilità di localizzare gli interventi che ne costituiscono l’oggetto all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata,
  2. b) riconoscimento, ad opera della Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare, della sussistenza dell’interesse regionale alla trasformazione urbanistico-edilizia prevista dall’accordo, il tutto, sulla base dei criteri che la stessa Giunta regionale è chiamata a stabilire ai sensi dell’art. 4, comma 2, lett. f), della l.r. n. 14/2017.

Nell’assenza, che a tutt’oggi perdura, del provvedimento giuntale da ultimo richiamato, la deroga prevista dall’art. 11 della l.r. n. 14/2017 non può in alcun modo operare.

 

[1] TAR Campania, Salerno, 31 gennaio 2017, n. 183.

Secondo il Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 marzo 2017, n. 1017, “La realizzazione di un complesso produttivo da parte di un privato non può qualificarsi come “opera pubblica o di interesse pubblico”, essendo tali categorie giuridiche riservate ad iniziative teleologicamente tese alla soddisfazione diretta ed immediata di interessi pubblici (quali scuole, ospedali, caserme, strade), laddove il predetto complesso è ontologicamente funzionale allo scopo lucrativo della società istante ed ha solo indirette e mediate ricadute positive per la collettività (incremento delle prospettive occupazionali, cui peraltro possono far fronte speculari esternalità negative, quali l’aumento dei livelli di inquinamento e del traffico veicolare, specie pesante)”.

[2] Cons. Stato, Sez. IV, 5 giugno 2015, n. 2761. La fattispecie riguarda il recupero di un importantissimo manufatto veneziano, il c.d. “Fontego dei Tedeschi”. In relazione alla qualifica di edificio di interesse pubblico di cui all’art. 14 del DPR 380/2001 si è discusso se vi rientrassero unicamente edifici ed impianti realizzati dalla stessa Amministrazione o anche opere eseguite da parte di privati, purché comunque soddisfacessero il requisito dell’interesse generale. Ad un iniziale orientamento restrittivo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 marzo 1988 n. 2) è seguita una tendenziale “apertura” estesasi fino a ricomprendere tra gli edifici di interesse pubblico tutte le strutture atte a soddisfare — per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale — bisogni di rilevanza collettiva, anche se realizzate da privati (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2013 n. 6163).

A sua volta, il Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2014, n. 4518, confermando la pronuncia del TAR Veneto, Sez. II, 7 febbraio 2002, n. 766, ha precisato che “Ai fini del rilascio di un permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 DPR. 380/2001, per “edificio di interesse pubblico” deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di rilevanza pubblica. In tale categoria può rientrare, pertanto, anche la realizzazione di una struttura alberghiera ed il suo ampliamento”.

[3] Si tratta del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in attuazione del cui art. 38 è stato approvato il DPR 160/2010.

[4] Sono soggetti al procedimento unico di cui all’art. 7 del DPR 160/2010 e si identificano:

negli ampliamenti di attività produttive che si rendono indispensabili per adeguare le attività ad obblighi derivanti da normative regionali, statali o comunitarie, fino ad un massimo del 50 per cento della superficie esistente e comunque non oltre 100 mq. di superficie coperta;

nelle modifiche ai dati stereometrici di progetti già approvati ai sensi della normativa in materia di sportello unico per le attività produttive, ferme restando le quantità volumetriche e/o di superficie coperta approvate.

[5] Sono soggetti al procedimento unico di cui all’art. 7 del DPR 160/2010 e consistono negli interventi che comportano ampliamenti di attività produttive in difformità dallo strumento urbanistico purché entro il limite massimo dell’80 per cento del volume e/o della superficie netta/lorda esistente e, comunque, in misura non superiore a 1.500 mq.. Nel caso in cui l’ampliamento sia realizzato mediante il mutamento di destinazione d’uso di fabbricati esistenti, gli stessi devono essere situati all’interno del medesimo lotto sul quale insiste l’attività da ampliare o, comunque, costituire con questa un unico aggregato produttivo.

[6] La norma riguarda gli interventi non rientranti nelle casistiche di cui ai precedenti artt. 2 e 3, e che vengono assoggettati al procedimento di cui all’art. 8 del DPR 160/2010. Se ne ricava che sono soggetti all’art. 4, in particolare, gli interventi che danno vita ad un nuovo insediamento, nonché quelli aventi ad oggetto ampliamenti eccedenti le dimensioni consentite dall’art. 3.

[7] Così anche la Circolare regionale 1, del 20 gennaio 2015, approvata in pari data con DGR 20/2015.

[8] Così Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 27; analogamente Cons. Stato, Sez. IV, 15 luglio 2011, n. 4308.

[9] Così TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 24 marzo 2011, n. 773, TAR Lombardia, Milano, Sez.II, 28 dicembre 2009, n. 6222; analogamente TAR Puglia, Lecce, 26 febbraio 2014, n. 660, secondo cui “l’insufficienza delle aree sussiste anche nel caso di ampliamento di un impianto produttivo quando le aree contigue risultino avere una diversa destinazione urbanistica” dovendosi verificare la stessa insufficienza con riferimento alla esigenza di funzionamento e di sviluppo di quel determinato impianto”; TAR Veneto, Sez. II, 11 luglio 2008, n. 1993; contra TAR Veneto, Sez. II, 31 ottobre 2007, n. 3494.

[10] Atto di indirizzo approvato con DGR 8 ottobre 2004, n. 3178, modificato con le DGR 25 novembre 2008, n. 3650, 16 febbraio 2010, n. 329 e 15 maggio 2012, n. 856

Vi si legge, in particolare, che “A solo titolo esemplificativo, rientrano nel novero delle strutture agricolo-produttive, come individuate dalla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, le seguenti tipologie strutturali:

strutture e manufatti per l’allevamento di animali o per la coltivazione, la protezione o la forzatura delle colture;

strutture per il ricovero di macchine ed attrezzature agricole, officine di manutenzione e magazzini utensili per lo svolgimento dell’attività agricola aziendale;

manufatti ed impianti per il deposito e/o la conservazione delle materie prime (mangimi, lettimi, foraggi, imballaggi, fertilizzanti, prodotti veterinari e fitosanitari, ecc.);

manufatti ed impianti per la sosta, la prima lavorazione, la trasformazione, la conservazione o la valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali;

strutture ed impianti per l’esposizione, la promozione, la degustazione e la vendita dei prodotti aziendali;

strutture ed impianti aziendali per attività di ricezione con finalità ricreative, culturali e didattiche, comunque in rapporto di connessione e complementarietà rispetto alle attività aziendali;

locali da adibire ad uffici, mense, spogliatoi, servizi da utilizzarsi esclusivamente da parte di dipendenti dell’impresa agricola;

opere ed impianti aziendali destinati all’approvvigionamento idrico ed energetico, alla regimazione delle acque, alla bonifica e alla viabilità;

opere ed impianti destinati allo stoccaggio e/o trattamento delle deiezioni zootecniche e dei residui delle attività di trasformazione aziendali.

[11]Si ricorda, altresì, che l’art. 2135, secondo comma, del codice civile, offre la definizione di attività connesse a quelle agricole, dovendo così intendersi le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, “dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e ospitalità”.

[12] Termine così ridefinito dall’art. 28 della l.r. n. 43/2018.

[13] In ZTO propria o in zona agricola, in quest’ultima ipotesi solo nel caso di edifici residenziali ed in presenza di un edificato già consolidato e qualora non ostino specifiche norme di tutela degli strumenti urbanistici o territoriali.

[14] Cfr. “Il commercio nel Veneto – commentario alla legge regionale del Veneto 28 dicembre 2012, n. 50”, a cura di Bruno Barel e Giorgia Vidotti.

[15] Che a norma dell’art. 3, comma 1, lett. m) della l.r. n. 50/2012 è la “porzione di centro abitato, individuato ai sensi dell’articolo 3, comma 1, punto 8), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 “Nuovo codice della strada”, caratterizzata dal tessuto urbano consolidato, con esclusione delle zone produttive periferiche e delle zone prive di opere di urbanizzazione o di edificazione”.

[16] Laddove l’iniziativa commerciale non si traduca in un intervento di recupero e riqualificazione urbanistica di aree o strutture dismesse e degradate, l’art. 2, comma 11, lett. b.2), del regolamento n. 1/2013 richiede che l’iniziativa consolidi polarità commerciali esistenti, cioè ricada in aree in cui sono presenti altre attività commerciali di medie o grandi strutture di vendita, purché la relativa variante urbanistica non comporti il consumo di suolo agricolo.

[17] Così, letteralmente, B. Barel, Commento all’art. 26, in ““Il commercio nel Veneto – commentario alla legge regionale del Veneto 28 dicembre 2012, n. 50”, cit., pag. 165.

Commento all’art. 11 l.r. n. 14/2017

di Antonella Ballarin

Art. 11

Accordi di programma per interventi di interesse regionale

1. Gli accordi di programma approvati ai sensi del combinato disposto di cui dell’articolo 32 della legge regionale 29 novembre 2001, n. 35 e dell’articolo 6, comma 2, della legge regionale 16 febbraio 2010, n.11, possono consentire una deroga ai limiti di consumo di suolo qualora conseguano ad interventi che non sia possibile localizzare all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata e la Giunta regionale, sulla base dei criteri di cui all’articolo 4, comma 2, lettera f), sentita la competente Commissione consiliare, ne abbia riconosciuto l’interesse regionale alla trasformazione urbanistico-edilizia.

2. La deroga prevista al comma 1 va motivata in funzione dei limiti strettamente necessari per il buon esito dell’intervento e prevede adeguate misure di mitigazione e interventi di compensazione ecologica degli effetti del superamento dei limiti di consumo di suolo.

Sommario: 1. Analisi normativa2. Aggiornamento a seguito delle modifiche apportate con la l.r. n. 45/2017.

1. Analisi Normativa

La disposizione in commento consente di derogare ai limiti di consumo di suolo mediante accordi di programma, nell’ipotesi in cui gli interventi o programmi di intervento oggetto di accordo non possano essere localizzati negli ambiti di urbanizzazione consolidata e sempre che per tali interventi la Giunta regionale ne riconosca l’interesse regionale alla trasformazione urbanistico-edilizia, sulla base di criteri previamente adottati, sentita la Commissione consiliare competente.

Questa norma di deroga si aggiunge, peraltro, ad altre deroghe contenute negli articoli 12 e 13, e si intreccia, altresì, con diverse altre disposizioni contenute nella legge regionale, al cui commento si rinvia.

Come è noto ed in generale, l’uso dello strumento dell’accordo è particolarmente significativo nella realizzazione delle politiche regionali in quanto duttile ed efficace per la semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa, oltre che funzionale al metodo della concertazione sia per la individuazione delle strategie che per la condivisione delle forme di intervento nel rispetto delle diverse competenze.

La norma in parola richiama gli accordi di programma nel combinato disposto di cui all’art. 32 della l.r. n. 35/2001 e all’art. 6, co. 2, della l.r. n. 11/2010.

Con riferimento agli accordi dell’art. 32 della l.r. n. 35/2001, si tratta di accordi operativi da tempo ed utilizzati per realizzare opere e interventi di interesse regionale. Per tale tipo di accordi la Giunta regionale ha approvato uno schema procedimentale con la delibera n. 2943 del 14 dicembre 2010 che, all’allegato A, individua la scansione delle diverse azioni riguardanti detti accordi, al fine di evitare una certa difformità nei procedimenti amministrativi soprattutto legati alle valutazioni ambientali e urbanistiche.

Di altro genere, invece, il richiamo al comma 2 dell’articolo 6 che si inserisce nell’ambito della disciplina riguardante il trasferimento alle province della materia urbanistica, e si preoccupa di mantenere in capo alla regione l’esercizio delle competenze urbanistiche per quei piani e progetti di interesse regionale sottoposti ad accordi di programma ai sensi dell’art. 32 della l.r. 29 novembre 2001, n. 35 o relativamente ai progetti strategici previsti dall’art. 26 l.r. n. 11 del 2004.

Nella formulazione del comma 2 ritroviamo, quindi, come in un gioco di parole, il richiamo agli accordi dell’articolo 32 e, forse di più interesse, il richiamo ai progetti strategici, di cui faremo un cenno più avanti.

Secondo la norma, l’accesso allo strumento dell’accordo, che consente di poter superare tutte le limitazioni sul consumo del suolo che si produrranno in futuro ed i divieti immediati sia pure di carattere transitorio, è vincolato alle condizioni che il legislatore ha posto e che si concretizzano , come detto, nella necessaria presenza dell’interesse regionale alla trasformazione urbanistico-edilizia ed al fatto che non sia possibile localizzare l’intervento all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata.

Tra le due condizioni poste, la prima valutazione che deve essere fatta per poter accedere all’accordo è la verifica della localizzazione dell’opera nell’ambito della urbanizzazione consolidata; tale previsione si pone perfettamente in linea con l’obiettivo di risparmio di suolo previsto dalla presente legge (e di derivazione comunitaria), che andrà attuato non solo in termini di mancato utilizzo dello stesso ma anche mediante il riutilizzo dell’esistente attraverso quei processi già noti di riconversione, rigenerazione e riqualificazione dei tessuti urbani, anche degradati.

Detti processi li troviamo, peraltro, meglio specificati, all’art. 3, co. 2, laddove si prevede che: “…la pianificazione territoriale e urbanistica privilegia gli interventi di trasformazione urbanistico-edilizia all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata che non comportano consumo di suolo, con l’obiettivo della riqualificazione e rigenerazione, sia a livello urbanistico-edilizio che economico-sociale, del patrimonio edilizio esistente, degli spazi aperti e delle relative opere di urbanizzazione, assicurando adeguati standard urbanistici, nonché il recupero delle parti del territorio in condizioni di degrado edilizio, urbanistico e socio-economico, o in stato di abbandono, sotto utilizzate o utilizzate impropriamente.”; e li ritroviamo ancora, in maniera più puntuale, agli articoli successivi da 5 a 9.

Sulla previsione della verifica della localizzazione sarebbe auspicabile una interpretazione di carattere restrittivo, nel senso di escludere qualsiasi possibilità di derogare ai limiti sul consumo del suolo ove vi sia anche una sola minima possibilità di realizzare l’intervento in un contesto di urbanizzazione consolidata, al fine di non vanificare gli scopi che questa legge si prefigge.

Va da sé che l’eventuale mancata possibilità di localizzare in detti ambiti dovrà trovare adeguata motivazione (sull’onere di motivazione si sofferma anche il comma 2 che poi vedremo).

Sempre sulla localizzazione, un richiamo si trova anche all’art. 4, co. 2, lett. f), (cioè il comma che prevede il provvedimento riguardante i criteri per il riconoscimento dell’interesse regionale), che indica nella mancanza di alternative localizzative negli ambiti di urbanizzazione consolidata, il criterio per poter applicare la deroga (assieme a quello dell’interesse regionale). Il legislatore ribadisce quindi la necessarietà di valutare concretamente tutte le possibili alternative di collocazione dell’intervento nell’ambito da esso prescelto.

Una leggera critica andrebbe fatta, invece, sul mancato coordinamento di detta previsione della lettera f) con l’art. 11; nel caso della lettera f), si assegna alla Giunta regionale il compito di dettare i criteri per l’individuazione degli “interventi pubblici di interesse regionale”, ponendo quindi l’accento dell’interesse della regione sul tipo di intervento pubblico; mentre l’articolo 11 collega l’interesse regionale non solo all’intervento ma soprattutto alla “trasformazione urbanistico edilizia” che tale intervento comporta.

Sortisce ancora una certa attenzione questo richiamo all’interesse della regione alla trasformazione urbanistico edilizia tanto più se si pensa che nella formulazione dell’originale progetto di legge, l’interesse regionale era rivolto, forse più correttamente, all’accordo.

In ogni caso, sempre per quanto concerne detto interesse regionale, occorrerà attendere la definizione dei criteri contenuti nel provvedimento della Giunta regionale; provvedimento che potrebbe anche ritardare se, per ragioni di “opportunità”, si ritenesse importante l’acquisizione di tutte quelle informazioni sullo stato della pianificazione territoriale comunale, necessarie per la predisposizione del provvedimento dell’art. 4, co. 2, lett. a), ed utili per una analisi di carattere generale circa i criteri da definire; sempre che non si voglia rispettare il termine, ordinatorio, disposto dal comma 4 dell’articolo 4 citato che dispone che tutti i provvedimenti del comma 2 del medesimo articolo (e quindi anche quello dei criteri per l’interesse regionale), saranno emanati entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge regionale, previo parere della commissione consiliare competente, che ha 60 giorni per esprimersi, decorsi i quali se ne prescinde.

Passando ora al comma 2, si richiede che l’eventuale deroga venga motivata “in funzione dei limiti strettamente necessari per il buon esito dell’intervento”; nonostante questa disposizione appaia un po’ diversa e forse meno chiara rispetto alla originaria formulazione contenuta nel progetto di legge presentato nel 2015, che disponeva un obbligo di contenere la superficie in deroga entro i limiti strettamente necessari per l’attuazione degli interventi, sembra ragionevole ritenere che l’obiettivo sia lo stesso e che anche in questa nuova formulazione si voglia comunque raccomandare che nell’uso della deroga, la motivazione debba dar conto che l’intervento è comunque realizzato entro quei limiti strettamente necessari a soddisfare il suo buon esito. Diversamente verrebbero vanificato gli scopi della norma e della legge in generale.

Sono infine previste adeguate misure di mitigazione e di compensazione ecologica che possano bilanciare e riequilibrare il superamento dei limiti imposti al consumo del suolo.

La mitigazione e, soprattutto, la compensazione ecologica per la conservazione degli habitat e il recupero delle funzionalità perse dall’ecosistema, sono tematiche già avviate da tempo in materia di consumo di suolo che, oltre ad avere un obiettivo di riequilibrio dei valori naturali a fronte della loro dissipazione, sono viste anche come strumento di disincentivazione del consumo di suolo, con riferimento ai costi da sopportare per il compimento di tali azioni compensative, spesso differenziate in relazione alla diversità delle aree oggetto di intervento.

Si vuole ora tornare, brevemente, sul tema degli accordi per una piccola appendice sull’applicazione dell’art. 11 ai progetti strategici turistici previsti dall’art. 26 l.r. n. 11 del 2004, per effetto del richiamo ad essi operato da parte dell’art. 6, co.2, della l.r. n. 11/2010 ed agli accordi previsti dalla l.r. n. 50/2012 in materia di commercio.

Nel primo caso si tratta di una questione di carattere procedimentale; posto che i progetti strategici di carattere strutturale ed infrastrutturale finalizzati ad attività di particolare interesse per lo sviluppo delle località turistiche sembrano ricadere in pieno nella disciplina dell’articolo 11, essendo approvati proprio ai sensi dell’art. 32 l.r. n. 35/2001 e considerati di interesse regionale ai sensi dell’art. 6, co. 2 l.r. n. 11/2010, il procedimento all’epoca adottato dalla Giunta regionale con proprio provvedimento del 2015 richiederà con ogni probabilità un coordinamento con la nuova norma regionale cosi come il provvedimento della Giunta adottato per gli accordi di programma dell’articolo 32.

Qualche dubbio solleva invece l’applicazione dei limiti posti dalla legge regionale sul consumo di suolo rispetto alla legge regionale n. 50/2012 relativamente al sistema commerciale, ivi compresi gli accordi di programma per le strutture di vendita a rilevanza regionale.

Premesso che in questo caso gli accordi sono stipulati ai sensi dell’articolo 34 del d.lgs. n. 267/2000 (quindi l’articolo 11 potrebbe non trovare applicazione?) deve comunque rilevarsi che il testo approvato in commissione consiliare, nell’articolo relativo alle disposizioni finali (art. 11, co. 1, lett. h) prevedeva che fossero sempre consentiti sin dall’entrata in vigore della legge ”h) gli interventi di cui alla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 “Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto” e ai relativi provvedimenti attuativi”.

In tal modo venivano sottratti dalle regole del risparmio di suolo tutti gli interventi afferenti alle strutture di vendita.

Considerato che tale previsione è sparita, apro una parentesi dubbiosa: deve ritenersi che il legislatore abbia inteso non escludere dall’ambito applicativo di questa legge regionale il sistema commerciale oppure, più semplicemente, che il legislatore abbia ritenuto pleonastico mantenere la previsione della lettera h), potendosi considerare tale normativa commerciale di carattere speciale, anche perché, in alcuni passaggi, di difficile applicazione per le strutture di vendita?[1]

2. Aggiornamento a seguito delle modifiche apportate con la l.r. n. 45/2017

Nel corso del biennio di sua vigenza l’articolo in rubrica non ha subito modifiche, tuttavia, l’inserimento del comma 2 bis all’articolo 12 (al cui commento si rinvia), da parte della legge regionale 29 dicembre 2017, n. 45 “Collegato alla legge di stabilità regionale 2018”, ha influito parzialmente sulla sua applicazione permettendoci di fare qualche ulteriore riflessione con riferimento alla normativa commerciale. Nel rinviare quindi alla precedente pubblicazione per gli aspetti generali sull’articolo 11, ci si limiterà in questa sede a valutare le ricadute di questo nuovo comma 2 bis sull’articolo in questione con riferimento alle strutture di vendita.

Brevemente, ricordiamo che in sede di approvazione definitiva della legge regionale n. 14/2017, il Consiglio regionale aveva stralciato la previsione normativa inserita dalla commissione consiliare competente che sottraeva alle regole sul contenimento del suolo gli interventi afferenti le strutture di vendita di cui alla legge regionale n. 50/2012, lasciando quindi un margine di interpretabilità circa l’applicazione o meno della legge regionale n. 14/2017 anche a tali strutture di vendita.

Per chiarire, presumibilmente, tali dubbi interpretativi, alcuni mesi dopo l’approvazione della citata legge regionale n. 14, il legislatore veneto ha approvato il richiamato comma 2 bis che prevede: “Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche agli interventi commerciali che restano disciplinati dalla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 “Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto”, e dai relativi regolamento e provvedimenti attuativi, ove rechino una disciplina più restrittiva”.

La nuova disposizione precisa espressamente il rapporto che intercorre tra la legge sul contenimento del suolo di cui alla legge regionale n. 14/2017 e quella sul sistema commerciale di cui alla legge regionale n. 50/2012 assumendo, come regola che sovrintende l’applicazione delle due discipline normative, quella che maggiormente “limita” gli interventi commerciali.

Anche per gli accordi, quindi, a governare sarà la disciplina più restrittiva tra quella derogatoria dell’articolo 11 e quella più stringente sugli accordi commerciali rinvenibile non solo nella specifica legge regionale sul commercio ma soprattutto nel suo regolamento attuativo 21 giugno 2013, n. 1 “Indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale”, ovviamente con riferimento alle strutture di vendita a rilevanza regionale.

In tale quadro va specificato che la rilevanza regionale di tali strutture commerciali, ed il conseguente loro assoggettamento all’accordo di programma, è strettamente connessa all’entità dimensionale in termini di superficie di vendita come indicata nell’articolo 26, comma 1, lett. da a) ad e). Si tratta di strutture di grandi dimensioni che attengono a superfici superiori a 15 mila mq; oppure di superfici di dimensioni più ridotte ma comunque superiori a 8000 metri quadrati (o anche 2500 mq se collocate in ambiti individuati di rilevanza regionale) che però richiedono una apposita variante urbanistica di localizzazione.

Interessante per la questione è la parte del regolamento che reca una serie di regole e parametri piuttosto rigorosi che poco spazio lasciano ai margini derogatori dell’articolo 11 rispetto a quelli ammessi da tale regolamento: si tratta dei criteri definiti di approccio sequenziale e di valutazione della compatibilità e sostenibilità degli interventi che trovano applicazione per tutti gli accordi di programma che siano finalizzati alla realizzazione di strutture di vendita di rilevanza regionale.

A tal proposito, quindi, la deroga dell’articolo 11 andrà necessariamente valutata in concreto posto che la realizzazione delle strutture di vendita di rilevanza regionale al di fuori del centro urbano (che, secondo la definizione data dall’articolo 3, comma 1, lett. m), della l.r. 50/2012, rientra pienamente nell’ambito della urbanizzazione consolidata) è consentita soltanto in caso di riqualificazione urbanistica di aree o strutture dismesse e degradate o di consolidamento di polarità esistenti oppure nelle limitate ipotesi di valorizzazione di complessi sportivi di interesse regionale situati all’interno dei comuni capoluogo e nel caso di varianti localizzative funzionali ad un intervento commerciale di ampliamento.

Infine, ma di un certo rilievo anche per gli accordi commerciali, va ricordato il limite posto dal comma 2 bis dell’articolo 16 della legge regionale n. 11/2004 (la legge sul governo del territorio), il quale richiede la pianificazione coordinata tra comuni, ivi compresi  i comuni confinanti con il comune interessato dall’insediamento della grande struttura di vendita,  nel caso di strutture poste al di fuori del centro storico, con superficie di vendita superiore a 8.000 metri quadrati nei comuni capoluogo di provincia e con superficie di vendita superiore a 4.000 metri quadrati negli altri comuni.

 

[1] Nota di aggiornamento: In tema di applicazione delle disposizioni della legge 14/2017 anche alle strutture di vendita è intervenuta la modifica legislativa portata con la legge regionale n. 45/2017, che ha introdotto nell’art. 12 un nuovo comma 2bis, il quale prevede che le disposizioni della legge sul contenimento del consumo di suolo trovino applicazione anche agli interventi commerciali, che restano disciplinati dalla l.r. n. 50/2012 “ove rechino una disciplina più restrittiva”.

 

Commento all’art. 10 l.r. n. 14/2017

di Patrizia Petralia

Art. 10

Fondo regionale per la rigenerazione urbana sostenibile e per la demolizione

1. È istituito un fondo regionale per:

a) il rimborso delle spese di progettazione degli interventi previsti nei programmi di rigenerazione urbana sostenibile approvati di cui all’articolo 7;

b) il finanziamento delle spese per la redazione di studi di fattibilità urbanistica ed economico-finanziaria di interventi di rigenerazione urbana sostenibile di cui all’articolo 7;

c) il finanziamento delle spese per la demolizione delle opere incongrue di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), per le quali il comune, a seguito di proposta dei proprietari, abbia accertato l’interesse pubblico e prioritario alla demolizione.

2. Il fondo è disciplinato dal provvedimento della Giunta regionale previsto all’articolo 4, comma 2, lettera g); al fondo possono accedere enti pubblici, organismi di diritto pubblico ed associazioni, singolarmente o in forma associata, nonché soggetti privati.

3. La Giunta regionale definisce, sentita la commissione consiliare competente in materia di governo del territorio, i criteri di riparto del fondo.

La disposizione in commento istituisce un fondo regionale per il finanziamento di alcune spese correlate agli interventi promossi dalla legge.

Le regole di funzionamento del fondo saranno fissate con il provvedimento della Giunta regionale previsto dall’art. 4 co. 2 lett. g), la cui adozione dovrà avvenire entro 180 giorni dall’entrata in vigore della nuova normativa. Con tale atto la Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, individuerà l’ambito di intervento e l’articolazione del fondo, le modalità, i tempi e i criteri di presentazione delle domande, predisporrà i moduli da utilizzare per le istanze di accesso ai finanziamenti e stabilirà i criteri di riparto del fondo stesso. Le spese rimborsabili riguardano:

  1. la progettazione degli interventi di attuazione dei programmi di rigenerazione aventi ad oggetto lo sviluppo di tecniche di edificazione urbana innovative, ecocompatibili e a basso impatto energetico. Saranno così finanziabili le spese correlate a progetti di edifici e di spazi pubblici, caratterizzati da elevata qualità architettonica e dei costi di ideazione per rendere il progetto edilizio plurifunzionale, funzionali a consentire l’utilizzo flessibile degli immobili, che facilmente potranno, così progettati, essere modificati in relazione alle richieste del mercato; si eviterebbe in tal modo che gli edifici restino vuoti dopo un primo utilizzo, e vadano incontro ad un inevitabile degrado con inutile consumo di aree;
  2. la redazione di studi di fattibilità urbanistica e di valutazione economico-finanziaria degli interventi di rigenerazione urbana sostenibile descritti alla lettera a);
  3. la demolizione integrale di opere incongrue, di elementi di degrado e di manufatti che si trovano in aree con rischio idraulico o geologico o in fasce di rispetto stradale, previo accertamento, da parte del Comune, della sussistenza di un interesse pubblico e prioritario alla demolizione.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione soggettivo della disposizione, l’articolo 10 individua un ampio novero e di possibili beneficiari degli incentivi promossi attraverso il fondo: enti pubblici, organismi di diritto pubblico, associazioni e privati senza altro specificare.

Conseguentemente, occorrerà attendere i provvedimenti attuativi della legge per comprendere la reale estensione dei benefici che l’articolo prevede. Appare peraltro auspicabile che tutte le amministrazioni, regionali e locali, cogliendo occasioni offerte dall’Unione europea attraverso i numerosi fondi europei dedicati ai temi dello sviluppo sostenibile e alle smart cities, reperiscano ulteriori risorse da destinare a questo fondamentale progetto negli anni futuri. Invero, quelle indicate dall’articolo 16, appaiono sottodimensionate rispetto agli obiettivi ambiziosi posti dalla legge e, purtroppo, non sempre gli enti locali sono in grado a sfruttare al meglio tutte le occasioni per mettere in sinergia, combinandole, le scarse risorse offerte da diversi soggetti pubblici ovvero le opportunità che derivano dall’unione di investimenti pubblici con le risorse economiche ed intellettuali che i privati sono disponibili a mettere in campo.