Commento all’art. 14 l.r. n. 14/2017

di Enrico Gaz

Art. 14

Procedure per l’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali

1. Per le finalità di cui al comma 10 dell’articolo 13:

a) i comuni non dotati di piano di assetto del territorio (PAT), in deroga al divieto di cui all’articolo 48, comma 1, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, approvano la variante al piano regolatore generale secondo la procedura di cui all’articolo 50, commi 6, 7 e 8 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61;

b) i comuni dotati di PAT, in deroga a quanto previsto dall’articolo 14 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 e dall’articolo 3 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30 “Collegato alla legge di stabilità regionale 2017”, approvano la variante urbanistica secondo la procedura di cui ai commi 2, 3, 4 e 5.

2. Entro otto giorni dall’adozione, la variante al PAT è depositata e resa pubblica presso la sede del comune per trenta giorni consecutivi, decorsi i quali chiunque può formulare osservazioni entro i successivi trenta giorni. Dell’avvenuto deposito è data notizia con le modalità di cui all’articolo 32, della legge 18 giugno 2009, n. 69 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”. Il comune può attuare ogni altra forma di pubblicità ritenuta opportuna.

3. Nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni, il consiglio comunale decide sulle stesse e contestualmente approva la variante semplificata.

4. Copia integrale della variante approvata è trasmessa, a fini conoscitivi, all’ente competente all’approvazione del PAT, ed è depositata presso la sede del comune per la libera consultazione.

5. La variante diventa efficace quindici giorni dopo la sua pubblicazione nel sito internet del comune.

L’effettiva messa a regime dell’impianto disegnato dalla legge pone un suo fulcro nodale ed avanzato nel recepimento pianificatorio. Saranno infatti gli strumenti urbanistici comunali che, in via derivata, faranno propri i canoni dispositivi delineati a livello regionale, mirandoli alle esigenze e alle specificità dell’assetto locale. L’articolo sin dalla titolazione fa riferimento esclusivo ai soli piani comunali. Questa apposita attività deliberativa di tipo inclusivo, finalizzata al concreto adeguamento della pianificazione urbanistica vigente, vede dunque esclusa la dimensione provinciale la cui programmazione resta estranea agli obblighi qui considerati, i quali interagiscono unicamente con la strumentazione a base municipale.

La scelta appare il frutto di una precisa decisione operativa sposata dal legislatore regionale nel comprensibile intento di promuovere una attuazione spedita della nuova disciplina. A questo fine si sono sottratte le modalità esecutive al rigoroso rispetto dei diversi livelli di pianificazione nel governo del territorio, secondo l’ordine tracciato dall’art. 3 della l.r. n. 11 del 2004 (cioè la vigente legge urbanistica veneta). La norma appena richiamata afferma, in effetti, che “il governo del territorio si attua attraverso la pianificazione, urbanistica e territoriale del comune, della provincia e della Regione” e che “i diversi livelli di pianificazione sono tra loro coordinati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e coerenza; in particolare, ciascun piano indica il complesso delle direttive per la redazione degli strumenti di pianificazione di livello inferiore”.

L’opzione promossa dall’articolo in commento, al di là della portata tecnico-urbanistica, favorisce la marginalizzazione del ruolo riservato alla pianificazione provinciale, tanto più se si considera che tra i contenuti tipici del PTCP si ritrovano molte delle aree tematiche valorizzate dalla presente legge, a cominciare – ad esempio – dalla protezione della biodiversità tramite il recepimento “dei siti interessati da habitat naturali e da specie floristiche e faunistiche di interesse comunitario” di cui parla la lett. b) dell’art. 22.1 della l.r. n. 11 del 2004 oppure dalle “strategia di tutela e di valorizzazione del patrimonio agro-forestale e dell’agricoltura specializzata in coerenza con gli strumenti di programmazione del settore agricolo e forestale” menzionate alla successiva lett. d). Senza dire, poi, che lo stesso Statuto regionale riconosce alla provincia montana di Belluno forme e condizioni particolari di autonomia proprio in materia di governo del territorio (si veda il comma 5 dell’art. 15 dello Statuto), ragion per cui il salto a piè pari dell’ambito provinciale traduce una marcata direzione di segno differente. Sullo sfondo, resta in ogni caso azionabile, a fronte di eventuali conflitti tra i diversi atti locali di programmazione, la possibilità di ricorrere allo strumento di risoluzione ora dato dall’art. 11 ter della citata l.r. n. 11 del 2004 (ed aggiunto dal comma 1 dell’art. 63 della recente legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30) il quale, con la superiore regia regionale, consente nella semplice sede della conferenza di servizi di variare gli strumenti di pianificazione comunale e provinciale al fine di garantirne il coordinamento “se sussistano disposizioni della pianificazione incoerenti o contrastanti tra loro” (cfr. il primo comma della norma).

Gli obblighi di adeguamento previsti dall’articolo in esame inquadrano il loro adempimento entro una volta temporale che si ricava dalle precedenti disposizioni di riferimento (artt. 4 e 13 della legge), vale a dire nell’arco cronologico dato dai centoottanta giorni successivi all’entrata in vigore della legge e stabiliti per il provvedimento applicativo della Giunta regionale (lett. a) del comma 2 dell’art. 4) nonché dagli ulteriori diciotto mesi (dalla pubblicazione sul BUR di tale provvedimento) per l’aggiornamento dei piani comunali (comma 10 del precedente art. 13). In buona sostanza, entro la cornice massima di due anni dall’entrata in vigore (integrati dai venti quattro mesi derivanti dalla sommatoria dei due periodi di legge) si prospetta il completamento delle procedure di ricezione, pena il ricorso da parte del Presidente della Regione all’esercizio dei poteri sostitutivi (si veda il comma 11 dell’art. 13).

Ben conscia che molti Comuni veneti, pur a più di tredici anni dalla promulgazione della l.r. n. 11/2004, sono tuttora sforniti di P.A.T., la norma differenzia le procedure applicabili dalle municipalità a seconda che siano o meno dotate di piano di assetto del territorio, focalizzandone la tipologia in due distinte lettere del comma 1 dell’articolo.

Si potrebbe discutere sulla ragionevolezza dell’aver inquadrato due diverse procedure, invece di premiare una semplificazione unitaria del percorso deliberativo di ricezione. Quel che è certo è che, alla prova dell’impatto pratico, la distinzione –concepita per rispondere all’ovvia esigenza di prendere in considerazione entrambe le categorie di pianificazione comunale presenti- si rivela non solo nominalistica. Come si vedrà, dal punto di vista dei contenuti procedurali vengono in rilievo termini e sequenze che in parte divergono sensibilmente, con riverberi concreti – in special modo di tipo temporale – non trascurabili.

Principiando dai Comuni privi di PAT, l’articolo in commento si vede costretto ad introdurre per essi l’ennesima deroga al divieto imposto dal primo comma dell’art. 48 della l.r. 11/04, secondo cui “fino all’approvazione del primo piano di assetto del territorio (PAT), il comune non può adottare varianti allo strumento urbanistico generale vigente”. Come noto, l’art. 48 in parola, nato nella sua versione originaria come norma di sette commi, si è via via irrobustito sino a raggiungere, per effetto di una alluvionale serie di novellazioni e variazioni, i ventidue commi complessivi, ciascuno dei quali deputato a specificare tempi e condizioni di una pluralità di deroghe concepite per assicurare una minimale elasticità modificativa ai datati PRG. Ad esse ora sommiamo anche le procedure applicative della legge sul consumo del suolo e questo – ad onor del vero – va salutato con sicuro favore perché sarebbe stato paradossale esentare dall’adeguamento i vecchi piani generali, notoriamente più benevoli verso le nuove iniziative costruttive, inducendo una sorta di conseguenza premiale a vantaggio degli strumenti meno aggiornati. Per altro verso, inoltre, questo avrebbe pesantemente frustrato e contraddetto quello stesso effetto promozionale dell’approdo ai piani di assetto che costituisce la ragione prima delle limitazioni fissate a suo tempo con il menzionato art. 48.

Per questi comuni, la lettera a) del primo comma dell’articolo rispolvera il procedimento semplificato introdotto – attraverso una modificazione dell’art. 50 della l.r. n. 61/85 – dalla l.r. n. 21/98 per alcuni tipi di varianti parziali. Al tempo, detta modificazione fu accolta con plauso generale perché consentiva senza il coinvolgimento della Regione di gestire “in casa”, cioè nel solo contesto dell’amministrazione comunale, un nutrito elenco di varianti minori, dette “mini-varianti” o “varianti leggere”, riducendo di molto i tempi e gli incombenti relativi.

Ora, quella medesima procedura viene riproposta pari pari per varianti di ben diversa caratura e, potenzialmente, di incidenza territoriale tutt’altro che leggera, dato che saranno chiamate ad interiorizzare nella disciplina locale direttive precise e vincolanti sulla quantità del suolo trasformabile ed altre similari prescrizioni di corredo. È però del tutto condivisibile la preferenza cristallizzata per tale modalità, dal momento che, nonostante i contenuti “pesanti”, gli adeguamenti in questione si muoveranno entro un percorso di piena sicurezza attuativa: detto altrimenti, non si ha riguardo – com’era nel caso del quarto comma dell’art. 50 – a libere varianti promosse su autonomo impulso comunale ma a varianti ad oggetto predefinito – ove la Regione circoscrive in partenza l’esatto perimetro dello spazio deliberativo – e soprattutto a varianti dovute, stante le potestà presidenziali sostitutive prima accennate.

Il richiamo dei soli commi 6, 7 e 8 dell’art. 50 fa chiaramente intendere che il rinvio all’art. 50 è di natura squisitamente procedurale per cui esso non potrà intendersi esteso anche ai presupposti sostanziali enucleati dalle disposizioni connesse. In altre parole, il ricorso alla procedura di cui si discute sarà sempre possibile in sede di adeguamento alla legge sul consumo del suolo anche se le previsioni interessano – ad esempio – porzioni territoriali “circostanti gli edifici vincolati ai sensi dell’articolo 1 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, per una fascia non inferiore a metri lineari 200 dai confini dell’edificio, delle sue pertinenze ed eventuali aree a parco”, aree nelle quali sarebbe vietata ai sensi del quarto comma dell’art. 50 la procedura in questione.

Sotto il profilo della scansione degli atti, i commi 6 e 7 dell’art. 50 prevedono: l’adozione del consiglio comunale; il deposito entro cinque giorni presso la segreteria del Comune e della provincia; la messa a disposizione del pubblico per dieci giorni; la possibilità di presentare osservazioni nei successivi venti giorni ed infine l’approvazione del consiglio comunale entro trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle osservazioni.

Per i Comuni dotati di PAT l’articolo in commento consente una diversa deroga espressa, riferita al procedimento usuale scandito all’art. 14 della l.r. n. 11 del 2004, vale a dire il procedimento di normale assunzione del piano di assetto. Nonostante l’assenza di un riferimento esplicito, va ritenuto che la deroga sia riferibile anche ai Comuni dotati di PATI e, quindi, al procedimento specificato per essi all’art. 16 della medesima l.r. n. 11/04, stante la filiazione di detta procedura dallo schema ordinario suggellato all’art. 14 e, specialmente, stante il disposto del quinto comma dell’art. 16 citato, a mente del quale “qualora le varianti riguardino il territorio di un solo comune e non incidano sui contenuti intercomunali del piano, ovvero si rendano necessarie ai soli fini dell’adeguamento alle prescrizioni del PTRC o del PTCP, o riguardino opere di competenza regionale ai sensi dell’articolo 2, comma 2, lettera a) della legge regionale 7 novembre 2003, n. 27 , possono essere approvate anche con le procedure previste all’articolo 14 dal comune nel cui territorio ricade la variante proposta”.

Per quanto riguarda, poi, l’area veneziana la deroga riguarda in modo espresso anche il peculiare regime di regolamentazione delle funzioni urbanistiche della Città metropolitana previsto dall’art. 3 della l.r. n. 30/16, con la conseguenza che la procedura semplificata che si passa ad esporre può dirsi indistintamente applicabile sull’intero territorio regionale.

Spetta ai commi 2 e 3 della norma articolarne lo sviluppo come segue: adozione della variante ed entro otto giorni (non cinque come per l’art. 50 sopra illustrato) deposito della stessa presso la sede del comune; esposizione al pubblico per trenta giorni consecutivi (non più dieci); presentazione di osservazioni entro i successivi trenta giorni (non più venti); approvazione finale da parte del consiglio comunale nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni.

A parte l’identità di questo ultimo termine sono quindi notevoli le dissimiglianze tra le due procedure nella tempistica di riferimento, nettamente sbilanciata verso una più spiccata matrice acceleratoria dell’iter definito dalla l.r. n. 61/85.

Possono, infine, risultare utili due ultime notazioni pratiche rispettivamente sulla pubblicazione e conoscibilità delle varianti e sulla loro entrata in vigore.

Quanto al primo profilo, il comma 4 dispone che oltre al deposito per la libera consultazione in Comune la variante debba essere trasmessa all’ente che approva il PAT nonché – ai sensi del comma 10 del precedente art. 13- sempre alla Regione. Analoga statuizione sul doveroso invio alla struttura regionale competente viene enunciata dal comma 8 dell’art. 50 della l.r. n. 61/85.

Quanto al secondo profilo non è superfluo sottolineare la difforme misura temporale di entrata in vigore dei due tipi di varianti di adeguamento: mentre per i Comuni non dotati di PAT la variante “acquista efficacia trascorsi trenta giorni dalla pubblicazione nell’albo” comunale, come dettato dal comma 8 sempre dell’art. 50, per i Comuni dotati di PAT la variante diventa efficacia quindici giorni dopo la pubblicazione sul sito comunale, come stabilisce il comma 5 del presente articolo. Ci troviamo quindi in presenza di un significativo dimezzamento del termine di cui l’operatore dovrà – di necessità – tenere adeguato conto.

Posted in Commentario legge regionale n. 14/2017.