Commento all’art. 1 l.r. n. 14/2017

di Livio Viel

Art. 1

Principi generali

1. Il suolo, risorsa limitata e non rinnovabile, è bene comune di fondamentale importanza per la qualità della vita delle generazioni attuali e future, per la salvaguardia della salute, per l’equilibrio ambientale e per la tutela degli ecosistemi naturali, nonché per la produzione agricola finalizzata non solo all’alimentazione ma anche ad una insostituibile funzione di salvaguardia del territorio.
2. Il presente Capo detta norme per il contenimento del consumo di suolo assumendo quali princìpi informatori: la programmazione dell’uso del suolo e la riduzione progressiva e controllata della sua copertura artificiale, la tutela del paesaggio, delle reti ecologiche, delle superfici agricole e forestali e delle loro produzioni, la promozione della biodiversità coltivata, la rinaturalizzazione di suolo impropriamente occupato, la riqualificazione e la rigenerazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, contemplando l’utilizzo di nuove risorse territoriali esclusivamente quando non esistano alternative alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto insediativo esistente, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 2, comma 1, lettera d) della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”.

Sommario: 1. Il fenomeno del “consumo di suolo” e i provvedimenti dell’Unione Europea2. Il problema del consumo del suolo in Italia e lo stato della legislazione nazionale3. L’art. 1 della legge della Regione Veneto: i principi ispiratori. L’emergere della categoria giuridica del “suolo” quale “bene comune”4. Il secondo comma dell’art. 1 e il problema del “governo del territorio”.

1. Il fenomeno del “consumo di suolo” e i provvedimenti dell’Unione Europea

Per esaminare e comprendere la legge numero 14 del 9 giugno 2017 della Regione Veneto e in particolare il suo primo articolo, che ricorda i principi generali su cui è stato costruito il nuovo corpo normativo, è necessario un breve excursus sui presupposti – in particolare quelli europei – che hanno determinato l’approvazione della legge sul contenimento del consumo dei suoli in Veneto.

Il tema del contenimento, ma anche della riduzione, del consumo di suolo si è imposto, nell’ultimo decennio, come questione centrale delle politiche territoriali – intese nel senso più ampio del termine e, dunque, con tutti i risvolti sociali ed economici involti – a livello europeo trattandosi, nel caso appunto del consumo del suolo naturale, della variante più grave del problema della pressione antropica sulle risorse naturali.

I dati indicano che nell’anno 2014 il consumo giornaliero di suolo in Italia è stato di circa 70 ettari, principalmente imputabile alla costruzione di edifici, ferrovie e strade[1]. In Europa, continente maggiormente urbanizzato al mondo, ogni anno si stima un consumo di suolo di circa 1000 kmq, più dell’intera città di Berlino[2].

L’eccessivo consumo di suolo determina conseguenze negative, sempre più evidenti, sulla vita quotidiana delle comunità e dei singoli individui: il fenomeno ha superato la soglia di criticità e le negatività e i costi indotti dall’eccessiva urbanizzazione diffusa (oltretutto discontinua e di scadente qualità) hanno ormai superato in più parti del continente e anche d’Italia, il punto di sostenibilità e risultano complessivamente maggiori di tutti i possibili vantaggi e utilità ritraibili dall’urbanizzazione del suolo.

Accanto alla “questione urbana”, ormai da tempo oggetto di attenzione nell’ordinamento europeo, ha così assunto un’autonoma peculiarità e rilevanza la tematica afferente alle esternalità negative dell’uso del suolo. La Commissione Europea già nel 2002[3] aveva definito il suolo “risorsa essenzialmente non rinnovabile, caratterizzata da velocità di degrado potenzialmente rapide e processi di formazione e rigenerazione estremamente lenti”. Lo stesso documento della Commissione individuava il “suolo” come catalizzatore di fondamentali funzioni non solo ambientali, ma anche sociali ed economiche, sottolineando in proposito gli effetti negativi determinati dalla continua perdita di permeabilità dei terreni[4].

È peraltro nel 2006 che la Commissione Europea, con il documento denominato “Strategia tematica per la protezione del suolo”[5] ha giudicato necessario enunciare una strategia generale dell’Unione improntata ai seguenti principi guida: prevenzione, conservazione, recupero e ripristino della funzionalità del suolo. Secondo la Commissione è necessario che tale strategia si affidi a un complesso di interventi che per aver successo dovranno necessariamente coinvolgere sia i vari livelli del governo locale che le autorità statali quanto, infine, la stessa Unione Europea, secondo un fondamentale principio di sussidiarietà sia orizzontale che verticale[6].

Nel 2011 la Commissione è nuovamente intervenuta sul tema, indicando come obiettivo dell’Unione quello di arrivare a “quota zero entro il 2050” di occupazione di nuovo suolo[7] sottolineando l’importanza della protezione dei suoli anche attraverso l’elaborazione di “orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo[8].

Come si vede, l’attenzione è fondamentalmente rivolta al tema dell’impermeabilizzazione, vera cartina di tornasole – se così si può dire – del fenomeno dell’occupazione dei terreni naturali. Il fenomeno risulta aggravato dal fatto che ormai gli effetti negativi si estendono oltre la perdita dell’equilibrio ambientale, incidendo direttamente e sempre più negativamente sulle stesse economie delle comunità, oltre che sulla sfera sociale.

È importante dire subito che dal complesso dei documenti di elaborazione comunitaria emerge una constatazione fondamentale, ossia che l’occupazione e l’impermeabilizzazione del suolo sono fenomeni fondamentalmente riconducibili a decisioni e scelte delle varie autorità preposte alla pianificazione territoriale. Decisioni e scelte, di natura essenzialmente urbanistica, che all’analisi della Commissione sono risultate come generalmente prese in assenza di un’adeguata preventiva valutazione degli effetti complessivi della trasformazione territoriale.

2. Il problema del consumo del suolo in Italia e lo stato della legislazione nazionale

L’esistenza del problema dell’eccessivo consumo del suolo risulta particolarmente evidente in Italia, stante anche la particolare conformazione geografica e geologica del nostro territorio, caratterizzato da fenomeni di fragilità e di dissesto, pericolosità sismica e attività vulcanica, alluvioni e frane e dove la competizione tra uso agricolo del suolo e urbanizzazione, risulta ancora particolarmente accentuata nelle aree rimaste idonee.

Il fenomeno è reso più complesso da alcune particolarità della nostra legislazione territoriale, che ad esempio riserva alle amministrazioni locali il compito di disciplinare le trasformazioni territoriali, contemporaneamente prevedendo che le stesse amministrazioni reperiscano importanti risorse economiche per il proprio funzionamento attraverso strumenti di fiscalità collegati proprio allo sviluppo e all’espansione urbanistica. Il che favorisce evidentemente politiche di trasformazione territoriale espansive a discapito, come ha appunto rilevato l’Unione Europea, del mantenimento dell’equilibrio naturale del suolo[9].

Senza dire del ruolo svolto presso i centri di governo legislativo dalle potenti lobbies legate agli interessi immobiliari ed edilizi e a un regime giuridico della proprietà fondiaria che favorisce la trasformazione immobiliare a discapito degli interessi collettivi.

Si è così registrato un grave ritardo da parte dell’Italia nell’affrontare il problema del contenimento del consumo del suolo, essendo ancora privo il nostro Paese di una legge in materia: è infatti tuttora giacente avanti il Senato il disegno di legge n. 2039 approvato in prima lettura dalla Camera dei Deputati il 12 maggio 2016[10].

Nell’attesa di una legislazione statale in grado di recepire i principi comunitari e di delineare (finalmente) un quadro unitario che definisca positivamente la nozione giuridica di “suolo” e inquadri il tema del “contenimento del consumo di suolo”, è intervenuta invece la legislazione regionale, attuando il principio di “sussidiarietà” fissato dalla Commissione Europea: sono ormai molte le Regioni che hanno adottato specifiche legislazioni ispirate ai ricordati documenti comunitari e ai principi colà affermati[11].

3. L’art. 1 della legge della Regione Veneto: i principi ispiratori. L’emergere della categoria giuridica del “suolo” quale “bene comune”

Anche la Regione Veneto con la legge 14 del 9 giugno 2017 si è adeguata alle indicazioni comunitarie, intendendo peraltro e prima di tutto, come ben evidenzia la relazione alla legge stessa, dare una risposta al problema concreto posto appunto dall’ormai eccessiva occupazione di suolo naturale, anche nell’ambito geografico del Veneto.

L’art. 1 della legge, enunciando i “principi generali” introduce la definizione di “suolo”, quale “risorsa limitata e non rinnovabile” riprendendo in ciò la nozione data dalla Commissione Europea nel 2006 per la quale il suolo è “risorsa fondamentale ed essenzialmente non rinnovabile”.

Proprio per la sua natura di “risorsa non rinnovabile” il suolo è stato concettualmente ricompreso – già nell’elaborazione dottrinaria prima ma, recentemente, anche in quella giurisprudenziale – nella più ampia nozione dei c.d. “beni comuni”. Questi si possono individuare in quei beni che prescindendo da una specifica individuazione legislativa, risultano comunque di per sé fondamentali per assicurare alla collettività la soddisfazione di interessi e bisogni primari ed essenziali: ciò, anche prescindendo dal titolo e dal regime formale di appartenenza proprietaria[12].

Già il disegno di legge statale approvato dalla Camera definisce il suolo “bene comune” e così anche la nuova legge veneta riprende esplicitamente la nozione giuridica di “bene comune” riferendola al “suolo”: formulazione centrale, questa, che caratterizza in realtà l’intera legge in commento.

La definizione del suolo quale “bene comune” appare infatti già nella formulazione del primo comma dell’art. 1: la nozione è chiaramente intersettoriale ed è determinata dalle plurime caratteristiche funzionali, intrinsecamente proprie appunto dei c.d. “beni comuni”.

A questo proposito, la norma richiama i vari e plurimi interessi collettivi e valori fondamentali (di rango altresì costituzionale) che determinano, come si è detto, le caratteristiche giuridiche del “bene comune”: sono infatti esplicitamente ricordate dalla norma, quali funzioni e risorse collettive assicurate dal “suolo”, la “qualità della vita delle generazioni attuali e future”, la “salvaguardia della salute”, “l’equilibrio ambientale”, la “tutela degli ecosistemi naturali”, “l’agricoltura” (sia essa finalizzata all’alimentazione che alla salvaguardia del territorio).

L’affermazione contenuta nel primo comma dell’art. 1 in commento non è dunque meramente programmatica e astratta ma costituisce un assunto fondamentale gravido di conseguenze concrete anche sul piano operativo e applicativo non solo di questa legge ma anche di molte altre disposizioni. Non occorrerà per questo evidenziare particolarmente che la ricomprensione del suolo – nel momento in cui assume le ricordate caratteristiche e funzioni definite dal primo della norma – nel novero dei “beni comuni” sia particolarmente importante dal punto di vista giuridico, sol che si consideri come il riconoscimento di risorsa non rinnovabile costituente altresì bene comune, consenta di superare la vexata quaestio della scorporabilità del c.d. ius aedificandi rispetto al diritto di proprietà[13] e di qualificare il contenimento del consumo di suolo come interesse collettivo giuridicamente tutelato.

Non vi è qui lo spazio e neppure è questo il momento per sviluppare l’argomento testé enunciato; è peraltro evidente che l’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale, seguita ormai anche dal legislatore regionale e presto – si auspica – da quello nazionale, sulla scia dei precedenti europei, è destinata a determinare una vera e propria rivoluzione anche rispetto a consolidati principi, quale appunto quello dell’inerenza della facoltà edificatoria (e dunque della facoltà di occupare e impermeabilizzare nuovi suoli) al diritto del privato sul bene immobile. Ciò, con tutte le inevitabili conseguenze in tema ad esempio di espropri e d’indennizzabilità, oppure sulla stessa definizione di vincolo urbanistico e sulle prescrizioni c.d. “conformative” dell’attività edilizia.

Pare qui peraltro necessario ricordare la sentenza n. 2921 del 28.06.2016 del Consiglio di Stato nella quale il giudice amministrativo è stato chiamato a conoscere della legittimità di talune trasformazioni previste da un piano regolatore comunale comportanti un “consumo di suolo” eccedente la misura consentita dagli strumenti pianificatori di rango superiore. L’importanza della ricordata decisione risiede in ciò: il giudice amministrativo ha riconosciuto legittimazione e interesse all’azione in capo ad un’associazione ambientalista (che appunto impugnava la pianificazione urbanistica di un Comune perché in contrasto con il principio del contenimento del consumo di suolo) in quanto portatrice – la stessa associazione – di un interesse diffuso meritevole di protezione costituito proprio dall’identificazione del suolo quale bene avente le caratteristiche di risorsa limitata non rinnovabile, propria dei “beni comuni”.

Ulteriore aspetto notevole della sentenza 2921/2016 del Consiglio di Stato consiste in ciò che la decisione ha anche definito il concetto di territorio destinato alla “urbanizzazione” differenziandolo e contrapponendolo al concetto di “suolo” il cui consumo va contenuto. A questo proposito la sentenza ha affrontato il problema della definizione delle superfici urbanizzate (somma delle superfici già impermeabilizzate esistenti e di quelle programmate con piani attuativi al momento dell’adozione dello strumento urbanistico) rendendo evidente la contrapposizione (neppur potenziale) esistente tra la nozione tradizionale di “urbanistica” (essenzialmente intesa come trasformazione del territorio) e quella di “suolo – bene comune” (inteso come risorsa limitata non trasformabile).

4. Il secondo comma dell’art. 1 e il problema del “governo del territorio”

Quanto testé ricordato sul delicato e complesso rapporto tra “urbanistica” e “suolo” introduce direttamente anche alla lettura del secondo comma del primo articolo della legge regionale n. 14/2017, comma che intende esplicitare quali siano i “principi informatori” assunti a base delle successive norme del capo I della legge: risulta evidente, già dalla lettura di questa parte della norma, la preoccupazione del legislatore regionale di armonizzare i principi sul contenimento del consumo di suolo con la programmazione e pianificazione territoriale che, nella nostra Regione, trova la sua massima esplicazione normativa nelle “Norme per il governo del territorio e in materia del paesaggio” espressamente citate, non a caso, proprio a chiusura dell’articolo in commento.

In effetti è evidente che l’assunzione del concetto di “suolo”, nei termini delineati dal primo comma dell’art. 1 della legge, è destinata a determinare una rimodulazione della nozione di “pianificazione territoriale” e di “governo del territorio” e della stessa concreta distribuzione delle competenze legislative e amministrative in materia.

Infatti, se è vero che per quanto concerne le competenze legislative e amministrative nella materia dell’urbanistica e della pianificazione e gestione territoriale l’ordinamento ha riservato alle Regioni e ai Comuni le fondamentali funzioni, è altrettanto vero che nella materia dell’ambiente e del paesaggio, dei parchi, della tutela delle acque, dei beni ambientali, dei boschi e delle foreste, ecc. le competenze legislative e amministrative sono attribuite allo Stato, mentre alle Regioni competono funzioni essenzialmente attuative delle disposizioni statali.

È evidente pertanto che la disciplina delle “conservazioni” si scontra inevitabilmente con quella delle “trasformazioni” e determina la necessità di una programmazione di area vasta che probabilmente ridurrà il ruolo delle amministrazioni comunali in favore di livelli gestionali superiori, come meglio si dirà nei commenti alle norme che seguono.

Va da sé infatti che l’arretramento della categoria delle funzioni dell’urbanistica e l’emergere di altri interessi e priorità, determina un ridimensionamento del potere di pianificazione tradizionalmente considerato, così che l’interesse al contenimento del consumo di suolo è destinato a incidere sensibilmente sull’esercizio della stessa discrezionalità urbanistica, ampliando nel contempo ad esempio i margini del sindacato giurisdizionale, cui competerà la verifica del rispetto degli obiettivi legislativi del contenimento del consumo di suolo e quindi del rispetto – da parte della pianificazione – dei “principi informatori” richiamati appunto dal secondo comma dell’art. 1 della l. r. n. 14/2017.

Si tratta di un’elencazione che parte dalla “programmazione dell’uso del suolo e la riduzione progressiva e controllata della sua copertura artificiale” per passare alla “tutela del paesaggio, delle “reti ecologiche”, delle superfici agricole forestali” alla “promozione della biodiversità coltivata”, la “rinaturalizzazione di suolo impropriamente occupato, la “riqualificazione e la rigenerazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, per finire con l’affermazione che “l’utilizzo di nuove risorse territoriali”, debba avvenire “esclusivamente quando non esistano alternative alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto insediativo esistente, in coerenza con quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lettera d) della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11”.

L’enumerazione dei principi che informano le norme sul contenimento del suolo conferma dunque che la materia solo in parte è riconducibile al tema del “governo del territorio” poiché in realtà interessa una pluralità di aspetti intersettoriali, tra i quali probabilmente quelli di maggior rilievo concernono la tutela dell’ambiente in senso lato.

Del resto, negli stessi documenti della Commissione Europea è chiaramente espresso il principio che la tematica in esame riguarda solo parzialmente il territorio e l’urbanistica, quanto piuttosto il “suolo” nell’accezione di risorsa naturale, a garanzia dell’equilibrio ecologico nel suo complesso.

Non a caso la l. r. n. 14/2017 in commento oltre a esprimere l’esigenza della tutela del suolo naturale esistente, prevede già nel suo primo articolo anche la rinaturalizzazione, la riqualificazione e la rigenerazione di ambiti territoriali urbanizzati, introducendo un criterio di necessaria interdipendenza tra aree urbane e naturali, nel senso comunque della priorità della tutela delle seconde rispetto alle prime.

Anche dal secondo comma del primo articolo della legge emerge dunque, chiaramente, il salto concettuale determinato dal rovesciamento delle tradizionali gerarchie e rapporti tra categorie quali l’urbanistica, l’ambiente e il paesaggio, che la legge vuole rimodulare attorno a quello che potremmo definire statuto giuridico del suolo, che è la risultante di un complesso di norme attinenti a diverse discipline e materie, la cui riconduzione a unità è determinata proprio dalla ricordata nozione di “suolo – bene comune”.

È evidente pertanto, già dalla lettura di questa prima norma, che si è in presenza di una vera rivoluzione concettuale, anche dal punto di vista giuridico, destinata a modificare profondamente nei prossimi anni il nostro modo di pensare e d’interpretare il territorio e lo spazio che ci circonda – sia esso naturale che urbano – anche attraverso atti e provvedimenti, sia amministrativi che giurisdizionali, come risulterà ancor più evidente dai successivi commenti agli altri articoli della legge.

(Livio Viel)

[1] Cfr. il Rapporto Ispra Consumo di suolo in Italia, anno 2014

[2] Cfr. Commissione Europea, comunicato stampa ambiente: Orientamenti per limitare l’impermeabilizzazione del suolo, 12 aprile 2012

[3] Commissione Europea, 16 aprile 2002, Verso una strategia tematica per la protezione del suolo (punto 3.4), COM (2002) 179 def.

[4] Secondo la comunicazione della Commissione per impermeabilizzazione si intende “il rivestimento del suolo per la costruzione di edifici, strade e altri usi” che “riduce la superficie disponibile per lo svolgimento delle funzioni del suolo, tra cui l’assorbimento di acqua piovana per l’infiltrazione e il filtraggio”.

[5] Commissione Europea, 22 settembre 2006, Strategia tematica per la protezione del suolo, COM (2006) 231 def.

[6] Secondo la Commissione “il suolo è un esempio evidente di una necessità di pensare in termine globali e di agire in ambito locale

[7] Commissione Europea, 20 settembre 2011, Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, COM (2011) 571 def. e anche COM 13 febbraio 2012, Attuazione della strategia tematica per la protezione del suolo e attività in corso, COM (2012) 46 final.

[8] Documento di lavoro dei servizi della Commissione Europea, 15 maggio 2012, SWG (2012) 101.

[9] Si consideri, a questo proposito, che il T.U. Edilizia ha abolito il vincolo di destinazione degli oneri di urbanizzazione, già stabilito dalla legge Bucalossi per finalità inerenti la gestione del territorio, consentendone l’impiego da parte dei Comuni per risanare i bilanci o per finanziare i servizi.

[10] Merita una menzione la legge 14 gennaio 2013 n. 10, Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, il cui art. 6 prevede, al secondo comma che “ai fini del risparmio del suolo e della salvaguardia delle aree comunali non urbanizzate, i comuni possono: a) prevedere particolari misure di vantaggio volte a favorire il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti, rispetto alla concessione di aree non urbanizzate ai fini dei suddetti insediamenti; b) prevedere opportuni strumenti e interventi per la conservazione e il ripristino del paesaggio rurale o forestale non urbanizzato di competenza dell’amministrazione comunale”. Anche il quarto comma merita d’esser ricordato: “i comuni e le province, in base a sistemi di contabilità ambientale, da definire previe intese con le regioni, danno annualmente conto, nei rispettivi siti internet, del contenimento o della riduzione delle aree urbanizzate e dell’acquisizione e sistemazione delle aree destinate a verde pubblico dalla strumentazione urbanistica vigente”.

[11] Si possono ricordare, esemplificativamente: la legge 28.04.2014 n. 24 dell’Abruzzo; la legge 10.11.2014 n. 65 della Toscana; la legge 28.11.2014 n. 31 della Lombardia; ma anche già l’art. 1 della l.r. Abruzzo n. 16/2009; art. 1 della L.P. Bolzano n. 13/1997; artt. 1 e 10 l.r. Calabria n. 19/2002; art. 2 l.r. Campania n. 16/2004; art. 7 ter l.r. Emilia Romagna n. 20/2000; art. 1 l.r. Friuli n. 5/2007; art. 1 l.r. Lazio n. 38/1999; la legge della Toscana n. 1/2005.

[12] La definizione di “bene comune” è stata così chiaramente enunciata dalle Sezioni Unite della Cassazione in una sentenza per molti versi “storica” che ha riconosciuto nelle valli da pesca della Laguna di Venezia un bene pubblico inteso in senso non solo di oggetto di diritto reale ma anche quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori costituzionali: cosicché la natura di “bene comune” (nel caso specifico, delle valli da pesca lagunari ma l’affermazione della Suprema Corte è di principio) trova comunque origine nell’ordinamento legislativo composto da una pluralità di fonti, sulla base della sussistenza attuale di determinate plurime caratteristiche (fisiche, geografiche o anche funzionali) tutelate dal legislatore e prescinde, quindi, da specifiche disposizioni normative e da provvedimenti di ordine amministrativo come ad esempio una dichiarazione costituiva ed ablativa. Cfr. Cass. Civ. Sez. Un. sentenza 14.02.2011 n. 3665.

[13] Cfr. in proposito le note sentenze 55 e 56 del 1967 della Corte Costituzionale che hanno qualificato il diritto di edificare come inerente alla proprietà (“il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà”).

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