Commento all’art. 6 l.r. n. 14/2017

di Enrico Gaz

Art. 6

Riqualificazione urbana

1. Gli interventi di riqualificazione urbana rispondono alla finalità del presente Capo e sono realizzati negli ambiti urbani degradati.

2. Fermo restando il rispetto del dimensionamento del piano di assetto del territorio (PAT), il piano degli interventi (PI) individua il perimetro degli ambiti urbani degradati da assoggettare ad interventi di riqualificazione urbana e li disciplina in una apposita scheda, precisando: i fattori di degrado, gli obiettivi generali e quelli specifici della riqualificazione, i limiti di flessibilità rispetto ai parametri urbanistico-edilizi della zona, le eventuali destinazioni d’uso incompatibili e le eventuali ulteriori misure di tutela e compensative, anche al fine di garantire l’invarianza idraulica e valutando, ove necessario, il potenziamento idraulico nella trasformazione del territorio.

3. Il PI può prevedere il riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata, premialità in termini volumetrici o di superficie e la riduzione del contributo di costruzione.

4. Gli interventi di riqualificazione urbana possono essere attuati mediante:

a) piani urbanistici attuativi, ai sensi degli articoli 19 e 20 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11;

b) comparti, ai sensi dell’articolo 21 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11;

c) permessi di costruire convenzionati, ai sensi dell’articolo 28 bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”.

La disposizione esordisce mettendo a fuoco la stretta corrispondenza biunivoca tra degrado e riqualificazione. Nel disegno della legge, infatti, il degrado costituisce la condizione imprescindibile per accedere alle premialità della riqualificazione e la riqualificazione integra la modalità di contrasto tipico al degrado.

Secondo la lett. g) dell’art. 2.1 gli ambiti urbani degradati sono le aree “assoggettabili agli interventi di riqualificazione urbana di cui all’art. 6” ed il primo comma dell’articolo in commento puntualizza che gli interventi di riqualificazione “sono realizzati negli ambiti urbani degradati”. Sussiste, quindi, un nesso inscindibile tra le due fattispecie e in quest’ottica la riqualificazione diventa un obiettivo privilegiato della pianificazione territoriale ed urbanistica, come precisa il co. 2 dell’art. 3, a tal punto che “sono sempre consentiti sin dall’entrata in vigore della presente legge ed anche successivamente, in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a … gli interventi di cui agli articoli 5 e 6, con le modalità e secondo le procedure ivi previste” (cfr. art. 12.1, lett. b).

In proposito, per il lettore può essere fuorviante indugiare a prima vista sull’aggettivo “urbana” che parrebbe alludere – stando all’utilizzo che ne viene fatto nel comune linguaggio urbanistico – ad iniziative circoscritte a contesti cittadini o, comunque, di pertinenza di zone site in centri già urbanizzati. In realtà, come prevede l’art. 2 alla citata lett. g) del primo comma, il degrado non è necessariamente dato da compromissioni costruttive o infrastrutturali ma può anche essere di natura unicamente ambientale (si veda il punto n. 4 della lettera in esame), ad esempio imputabile a “mancata manutenzione del territorio o a situazioni di rischio” oppure a “squilibri degli habitat”, circostanza che ricorre di frequente in plaghe ad alta fragilità territoriale (come talune zone alpine e vallive, la Laguna, il Delta, ecc.). In altre parole, poiché gli ambiti degradati possono essere contraddistinti anche solo da una tipologia di elementi detrattori, come quelli ambientali appena richiamati, e poiché – ai sensi della lett. c) dell’art. 2.1 – gli ambiti possono riguardare pure nuclei insistenti in zona agricola, la riqualificazione potrà interessare anche estensioni del tutto estranee alla classica casistica edificatoria (purché si tratti di aree ricadenti in ambiti di urbanizzazione consolidata come definiti dalla lett. a) dell’art. 2 della legge).

Spetta al pianificatore comunale individuare a livello locale, facendo applicazione delle definizioni dettate dall’art. 2 prima citato, gli ambiti di degrado assoggettabili a riqualificazione urbana ed il loro perimetro. L’estensione dell’ambito va calibrata con il Piano degli Interventi (P.I.), analogamente a quanto viene previsto per gli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale considerati dal precedente art. 5 (cfr. co. 2 dello stesso).

Di conseguenza, detta attività individuativa rientra ora tra i contenuti propri del P.I. che si trovano arricchiti di questo ulteriore scopo programmatorio ad integrazione di quanto puntualmente descritto al secondo comma dell’art. 17 della l.r. n. 11/04, il quale illustra nel dettaglio le misure e le determinazioni a cui deve provvedere il Piano in questione. Tra l’altro, già l’art. 17 in parola – pur in modo meno esplicito e definito – assegnava al PI un ruolo promozionale nella riqualificazione del territorio, prova ne sia che il quarto comma della norma dispone che “per individuare le aree nelle quali realizzare interventi di nuova urbanizzazione o riqualificazione, il comune può attivare procedure ad evidenza pubblica, cui possono partecipare i proprietari degli immobili nonché gli operatori interessati, per valutare le proposte di intervento che risultano più idonee a soddisfare gli obiettivi e gli standard di qualità urbana ed ecologico-ambientale definiti dal PAT”.

La legge si preoccupa che la pianificazione non venga elaborata in modo generico e che lo strumento urbanistico non si limiti a mere previsioni localizzative, non assistite da una analisi adeguata e prospettica dell’assetto territoriale volta a volta esaminato. Per questo, il PI oltre ad indicare il perimetro dell’ambito deve disciplinare gli interventi di riqualificazione con una apposita “scheda”. È necessario che questo particolare documento si faccia carico, in virtù di quanto prescritto al secondo comma dell’articolo, di ponderare specificamente la regolazione degli interventi consentiti e certuni aspetti di essi debbono costituire l’oggetto precipuo di una valutazione rafforzata: in effetti, la scheda deve “precisare” alcune singole valutazioni, dando espressamente conto di averle maturate. Esse debbono riguardare: i fattori di degrado, gli obbiettivi della riqualificazione, i limiti e i parametri di zona, le destinazioni d’uso, le misure di tutela e di compensazione nonché la sostenibilità idraulica delle possibili intraprese. La perentorietà del testo, che esige la presenza di tali precisazioni all’interno della scheda di disciplina, porta a concludere per l’illegittimità di previsioni pianificatorie incomplete che non accompagnino la localizzazione dell’ambito con la piena specificazione di quanto appena illustrato.

È inoltre opportuno che il P.I. normi le concrete modalità attuative degli interventi di riqualificazione. Sul punto, l’ultimo comma dell’articolo enuncia in via generale tre possibili modi di attuazione, senza graduare la loro operatività concreta o fornire indicazioni similari di tipo pratico. In questo senso, vi è quindi una piena libertà ed autonomia del Comune nel selezionare le forme esecutive reputate più rispondenti e funzionali all’obiettivo, ferma la necessaria osservanza dei presupposti di legge per ciascuna delle modalità possibili. Tuttavia, va da sé che una pianificazione di così alto livello definitorio, come quella evocata dal secondo comma, implichi giocoforza l’esigenza di fornire anche una puntuale indicazione sullo strumento ritenuto idoneo allo scopo e di fissare detta indicazione nella scheda di riferimento, senza rimettere la scelta alle libere determinazioni del soggetto attuatore.

Innanzitutto, la lett. a) dell’ultimo comma individua nei piani urbanistici attuativi regolati agli artt. 19 e 20 della l.r. n. 11/04 uno strumento ordinario per l’attivazione degli interventi di riqualificazione urbana. Data la peculiare natura di questi ultimi, è agevole arguire che la ricorrenza pratica di tale strumento promuoverà soprattutto i piani esecutivi di cui alle lettere d), e) ed f) del citato art. 19, vale a dire il piano di recupero di cui all’articolo 28 della legge 5 agosto 1978 n. 457, il piano ambientale di cui all’articolo 27 della legge regionale 16 agosto 1984, n. 40 (“Nuove norme per la istituzione di parchi e riserve naturali regionali“) e il programma integrato di cui all’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179. Non deve sfuggire che, secondo la norma appena citata, il “programma integrato è lo strumento di attuazione della pianificazione urbanistica per la realizzazione coordinata, tra soggetti pubblici e privati, degli interventi di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale”. Il tema della riqualificazione trova, quindi, nel programma integrato uno strumento dedicato e concepito in funzione del “riordino degli insediamenti esistenti e il ripristino della qualità ambientale anche attraverso l’ammodernamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie e dell’arredo urbano, il riuso di aree dismesse, degradate, inutilizzate, a forte polarizzazione urbana, anche con il completamento dell’edificato” (cfr. la lett. f) cit.). Per quanto riguarda, invece, i piani di recupero è sostenibile che l’individuazione da parte del P.I. dell’ambito degradato tenga luogo – ad ogni conseguente effetto – della apposita deliberazione consiliare richiesta dal secondo comma dell’art. 27 della L. n. 457 del 1978.

Anche se uno strumento attuativo di riqualificazione sembra difficilmente riducibile, per la sua complessità, allo schema di base della preventiva urbanizzazione e della successiva edificazione, va tenuta presente – per completezza – pure l’applicabilità dell’art. 18 bis della l.r. n. 11/04, secondo il quale “sono sempre ammessi in diretta attuazione degli strumenti urbanistici generali, anche in assenza dei piani attuativi dagli stessi richiesti, gli interventi sul patrimonio edilizio esistente di cui alle lettere a), b), c) e d), dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” e quelli di completamento su parti del territorio già dotate delle principali opere di urbanizzazione primaria e secondaria”, tanto più che, a mente del co. 7 sexies dell’art. 48 della medesima legge regionale n. 11, “fino al primo PAT e PI sono sempre ammessi gli interventi di cui all’articolo 18 bis”.

In secondo luogo, viene indicato dalla norma (cfr. la lett. b del comma in discussione) il comparto di cui all’art. 21 della l.r. n. 11. Al riguardo, è utile rammentare che l’articolo testé citato statuisce che la delimitazione del comparto e i termini esecutivi dello stesso “sono stabiliti da un PUA oppure dal piano degli interventi”. Nel caso di specie, il comparto va sicuramente visto come strumento alternativo al PUA, già trattato alla lettera precedente, di talché se è pur vero che il comparto potrebbe riguardare tutto o parte di un PUA (cfr. secondo comma dell’art. 21 cit.), in ipotesi di riqualificazione urbana esso sarà principalmente destinato a “ricomprendere gli interventi singoli spettanti a più soggetti in attuazione diretta del piano degli interventi (PI)” (come esattamente previsto sempre dal medesimo comma dell’art. 21). L’istituto del comparto deve, poi, il suo interesse al fatto che al consorzio costituito per l’attuazione dell’intervento la legge riconosce “titolo per procedere all’occupazione temporanea degli immobili dei dissenzienti per l’esecuzione degli interventi previsti, con diritto di rivalsa delle spese sostenute nei confronti degli aventi titolo, oppure per procedere all’espropriazione degli stessi immobili ai prezzi corrispondenti all’indennità di esproprio” (cfr. quinto comma dell’art. 21). Pertanto, la possibilità di ricorso alle procedure ablative segnala un indubbio gradiente positivo per le finalità attuative in programma.

Da ultimo, la lett. c) del comma accredita i permessi di costruire convenzionati, ai sensi dell’articolo 28 bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Si tratta, come noto, di uno strumento introdotto dalla decretazione c.d. “sblocca-Italia” (D.L. n. 133/2014) e che si giustifica qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata e, comunque, laddove sussistano i necessari presupposti di “soddisfacimento di un interesse pubblico” (cfr. secondo comma dell’art. 28 bis). Il legislatore statale non ha posto limiti alla enucleazione degli interessi generali perseguibili, prova ne sia che l’elencazione contenuta nel terzo comma dell’art. 28 bis (edilizia residenziale sociale, rilevanti opere di urbanizzazione, ecc.) riveste per stessa previsione redazionale una funzione meramente esemplificativa. Ne deriva che opportunamente il testo regionale rimanda a questa innovativa modalità di attuazione convenzionale come abito operativo di interventi di riqualificazione urbana.

Infine, va sottolineato che, al terzo comma, il presente articolo chiarisce che il “PI può prevedere il riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata, premialità in termini volumetrici o di superficie e la riduzione del contributo di costruzione”. Viene pertanto ripetuta anche per la riqualificazione urbana una previsione di favore del tutto identica a quella dettata al secondo comma del precedente art. 5 per la riqualificazione edilizia e ambientale, con la conseguenza che, a commento di tali misure di agevolazione, può essere richiamato quanto già illustrato in quella sede.

Resta inteso che le previsioni premiali andranno messe in atto entro un corretto contesto applicativo: da un lato, non va dimenticata la necessità di rispettare in ogni caso le dotazioni stabilite dallo strumento urbanistico generale, dal momento che la riqualificazione si attua “fermo restando il rispetto del dimensionamento del piano di assetto del territorio (PAT)“ (cfr. il secondo comma dell’articolo in commento); dall’altro lato, il bonus assegnato caso per caso non andrà confuso con quanto è già realizzabile in via aggiuntiva in base alla normativa (l.r. n. 14/09) sul c.d. “piano-casa”, espressamente fatta salva dal successivo art. 12. Come noto, la legislazione sul “piano-casa” – all’art. 3 della stessa – contiene disposizioni di marcata incentivazione della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente e non per nulla la presente legge si premura alla lett. g) del citato art. 12 di precisare che dette “premialità sono da considerarsi alternative e non cumulabili” con quelle assegnabili con il presente articolo.

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