Convegno di Castelfranco Veneto dell’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti

Si terrà il prossimo 29 novembre 2019 il tradizionale convegno di studio organizzato a Castelfranco Veneto dall’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti intitolato “Principi e deroghe della nuova urbanistica veneta. Dal contenimento del consumo di suolo alla l.r. 14/2019 «Veneto 2050»”. Il convegno sarà dedicato all’approfondimento delle novità recate in materia di rigenerazione urbana dai più recenti interventi legislativi statali e regionali. Interverranno al convegno esperti in materie economiche, di architettura, di beni culturali e magistrati, che offriranno un contributo interdisciplinare. Le conclusioni del convegno sono affidate al prof. avv. Bruno Barel, professore di diritto dell’Unione europea nell’Università di Padova e founding partner di BM&A Studio Legale Associato.
Ai seguenti collegamenti è possibile scaricare il Pieghevole e la Locandina con le informazioni per la partecipazione all’evento.

Commento all’Allegato A alla l.r. n. 14/2019

di Massimo Cavazzana

Allegato A

Sommario: 1. Cenni generali2. Interventi di eliminazione barriere architettoniche su tutto edificio3. Interventi che portino ad una prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4 4. Messa in sicurezza sismica dell’intero edificio5. Utilizzo di materiali di recupero6. Utilizzo di coperture a verde per 50 mq (o 50% nel caso di unità produttive)7. Realizzazione di pareti ventilate8. Isolamento acustico di Classe II 9. Adozione di sistemi di recupero per le acque piovane su ampliamento10. Rimozione e smaltimento cemento amianto11. Utilizzo del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento12. Utilizzo di tecnologie, che prevedono l’uso delle fonti energetiche rinnovabili con una potenza non inferiore a 3 Kw

1. Cenni generali

I criteri riportati nell’allegato A individuano le categorie e le specifiche tecniche degli elementi di riqualificazione che consentono l’applicazione della maggiorazione volumetrica negli interventi di ampliamento e riqualificazione edilizia previsti dagli articoli 6 e 7 della l.r. n. 14/2019. Le misure indicate nell’allegato hanno lo scopo di incentivare il miglioramento della qualità costruttiva degli edifici, incrementandone l’efficienza energetica, riducendone l’impatto ambientale e migliorandone gli aspetti strutturali.

I criteri indirizzano verso prestazioni tali da perseguire: (i) la sicurezza strutturale; (ii) la riduzione dei consumi dell’edificio; (iii) l’efficienza energetica; (iv) l’impatto sull’ambiente e (v) l’impatto salute dell’uomo.

La finalità è quella di favorire la realizzazione di edifici sempre più innovativi, strutturalmente più performanti, a consumo energetico “zero”, a ridotto consumo di acqua, nonché l’utilizzo di materiali che nel loro ciclo di vita comportino bassi consumi energetici e nello stesso tempo garantiscano un elevato comfort.

I criteri indicati nell’Allegato A garantiscono una valutazione oggettiva e misurabile della qualità degli interventi, attraverso l’impiego di metodi di verifica conformi alle norme tecniche e leggi nazionali di riferimento.

La necessità di legare gli incrementi volumetrici ad azioni specifiche da eseguire risponde alle finalità enunciate dall’articolo 1 della legge e, quindi, alla ricerca di una maggiore qualità architettonica, una sostenibilità ed efficienza ambientale, attivare procedure in grado di favorire l’economia circolare e la bioedilizia, favorire la valorizzazione del paesaggio, la rinaturalizzazione del territorio.

Di seguito si analizzano e si commentano i singoli punti dell’allegato tecnico sui punteggi relativi all’ottenimento della premialità.

L’allegato è suddiviso in due parti.

La prima parte dell’allegato riporta la tabella degli interventi che permettono di ottenere l’ulteriore incremento per gli interventi di ampliamento previsti dall’articolo 6 della legge, differenziati a seconda se riguardano interventi residenziali o non residenziali.

Per gli interventi di ampliamento su edifici residenziali trovano applicazione le seguenti categorie:

  • eliminazione barriere architettoniche su tutto edificio
  • prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4
  • messa in sicurezza sismica dell’intero edificio
  • utilizzo di materiali di recupero per ampliamento
  • utilizzo di coperture a verde per 50 mq su ampliamento
  • realizzazione di pareti ventilate
  • isolamento acustico classe II su ampliamento
  • adozione di sistemi di recupero per le acque piovane su ampliamento
  • rimozione e smaltimento cemento amianto sull’edificio esistente
  • utilizzo del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento
  • utilizzo di tecnologie, che prevedono l’uso delle fonti energetiche rinnovabili, con una potenza non inferiore a 3 kW.

Per gli edifici non residenziali trovano applicazione le seguenti categorie.

  • eliminazione barriere architettoniche su tutto edificio
  • prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4
  • messa in sicurezza sismica dell’intero edificio
  • utilizzo di materiali di recupero per ampliamento
  • utilizzo di coperture a verde per 50% della nuova superficie coperta per ampliamento
  • realizzazione di pareti ventilate
  • isolamento acustico classe II su ampliamento
  • adozione di sistemi di recupero per le acque piovane su ampliamento
  • rimozione e smaltimento cemento amianto sull’edificio esistente
  • utilizzo del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento
  • utilizzo di tecnologie, che prevedono l’uso delle fonti energetiche rinnovabili, con una potenza non inferiore a 3 kW

La seconda parte dell’Allegato elenca gli interventi che permettono di elevare la percentuale massima dell’incremento consentito per gli interventi di demolizione e ricostruzione disciplinati dall’articolo 7 della legge, egualmente differenziati per gli edifici a destinazione residenziale e per gli edifici a destinazione non Residenziale.

Per gli interventi su edifici residenziali trovano applicazione le seguenti categorie:

  • Eliminazione barriere architettoniche su tutto edificio
  • Prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4
  • Utilizzo di materiali di recupero
  • Utilizzo di coperture a verde per 50 mq
  • Realizzazione di pareti ventilate su tutto l’edificio
  • Isolamento acustico classe II
  • Adozione di sistemi di recupero per le acque piovane
  • Utilizzo del BIM (Building Information Modeling) e/o del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento
  • Rimozione e smaltimento amianto sull’edificio esistente

Per gli edifici non residenziali trovano applicazione le seguenti categorie.

  • Eliminazione barriere architettoniche su tutto edificio
  • Prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4
  • Utilizzo di materiali di recupero
  • Utilizzo di coperture a verde per 50% della copertura
  • Realizzazione di pareti ventilate su tutto l’edificio
  • Isolamento acustico classe II
  • Adozione di sistemi di recupero per le acque piovane
  • Utilizzo del BIM (Building Information Modeling) e/o del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento
  • Rimozione e smaltimento amianto sull’edificio esistente

Ad ognuna di queste azioni è associata una percentuale che è relativa al massimo aumento relativo alla singola azione.

Il limite massimo di ampliamento derivante da queste azioni è pari al 25% che complessivamente porta, come previsto all’articolo 6 comma 4, ad un ampliamento consentito del 40%

Per le demolizioni e ricostruzioni invece si può accedere ad una premialità sul volume o la superficie pari ad un ulteriore 35% che porta, come specificato all’art. 7 comma 3, ad una percentuale massima consentita del 60%.

2. Interventi di eliminazione barriere architettoniche su tutto edificio

Il primo criterio premiante riguarda l’eliminazione delle barriere architettoniche ed è presente in tutti gli elenchi: ampliamento e demolizione e ricostruzione.

In relazione agli interventi di ampliamento, assodato che l’ampliamento per sua natura dovrà essere progettato e realizzato nel rispetto della normativa sulle barriere architettoniche, risulta evidente che per ottenere la premialità prevista dalla scheda, il 10% di ulteriore ampliamento sul volume o la superficie esistente, si dovrà intervenire “regolarizzando” le parti esistenti ed intervenendo pertanto, a titolo di esempio, regolarizzando bagni, scale, percorsi interni ed esterni.

Diversamente, nel caso di interventi che importano la demolizione e la ricostruzione di un edificio, questa premialità appare a nostro avviso ridondante, in quanto l’obiettivo di abbattimento delle barriere architettoniche del fabbricato sarebbe stato comunque raggiunto, dato che il costruendo edificio viene considerato dal punto di vista normativo pari ad una nuova costruzione e pertanto dovrà essere rispettoso della normativa attuale.

Tale intervento, in ogni caso, dovrà essere evidenziato nelle tavole progettuali e verificato attraverso la produzione di una dichiarazione finale di corretta esecuzione da parte della DD.LL.

3. Interventi che portino ad una prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4

Anche questa attività risulta essere comune a tutti gli interventi: ampliamento e demolizione e ricostruzione sia residenziale che non residenziale.

L’intervento consente un aumento fino al 15% a fronte del raggiungimento della classe energetica A4 su tutto l’edificio, fatta eccezione per i locali che, secondo le indicazioni fornite dal d.lgs. n. 192/2005 e dal decreto interministeriale 26 giugno 2015 non rilevano ai fini della determinazione del calcolo della prestazione energetica (es. box, cantine, depositi, parcheggi e, negli immobili a destinazione industriale, per gli ambienti riscaldati o raffrescati per esigenze del processo produttivo).

Obiettivo che può essere raggiunto solo a fronte di un intervento globale su tutto l’edificio, tale da interessare sia l’isolamento dell’edificio gli impianti. L’intervento dovrà rispettare le prescrizioni del decreto interministeriale 26 giugno 2015.

La Classe A4 sarà dunque raggiunta qualora si realizzi un valore del coefficiente EPgl, nren minore del 40% rispetto al valore standard (2019/21). Si tratta del coefficiente che indica la quantità annua di energia primaria non rinnovabile necessaria per soddisfare i vari bisogni connessi a un uso standard dell’edificio, divisa per la superficie utile dell’edificio ed espresso in kWh/m2 anno.

Tale requisito, non banale, è dipendente da diversi fattori interdisciplinari che riguardano sia l’architettura dell’edificio, la dotazione di isolamento, l’eliminazione dei ponti termici e l’impiantistica di cui è dotato l’edificio oltre che dalla scelta di produzione energetica, rinnovabile o meno.

Il risultato si ottiene pertanto con un intervento ed uno studio proprio dell’edificio considerato e non è standardizzabile, si ottiene rispettando i parametri indicati nel decreto interministeriale del 26 giugno 2015 e in particolare nei criteri generali e requisiti delle prestazioni energetiche degli edifici.

Tale requisito deve essere dimostrato attraverso elaborati progettuali quali il deposito della relazione energetica di progetto e l’APE finale oltre alle dichiarazioni di rispondenza del realizzato e del progetto firmate dalla direzione lavori.

4. Messa in sicurezza sismica dell’intero edificio

Tale intervento è previsto per il solo ampliamento, considerato che nella demolizione e ricostruzione la realizzazione in sicurezza sismica è un requisito dovuto per legge.

Per l’ampliamento, se si procede all’intervento di messa in sicurezza dell’intero edificio, è previsto un incremento di volume o della superficie fino ad un ulteriore 15%.

Le nuove Norme tecniche delle costruzioni (DM 17 gennaio 2018) forniscono le metodologie per la valutazione e le metodologie progettuali per la progettazione e la realizzazione di interventi per portare l’edificio ad una o più classi superiori.

È opportuno ricordare che il rischio sismico è la misura matematica/ingegneristica per valutare il danno atteso a seguito di un possibile evento sismico, dipende da un’interazione di fattori ed è funzione di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione.

In particolare, è valida la relazione:

Rischio = Pericolosità • Vulnerabilità • Esposizione

Dove la pericolosità: è la probabilità che si verifichi un sisma (terremoto atteso); ed è legata alla zona sismica in cui si trova l’edificio, la vulnerabilità: consiste nella valutazione delle conseguenze del sisma ed è legata alla capacità dell’edificio di resistere al sisma; e l’esposizione: che è la valutazione socio/economica delle conseguenze ed è legata ai contesti delle comunità.

Le classi di rischio sismico applicabili agli edifici sono le seguenti: classe A+ (minor rischio), classe A, classe B, classe C, classe D, classe E, classe F, classe G (maggior rischio).

La determinazione della classe di appartenenza di un edificio può essere condotta secondo due metodi alternativi: il metodo convenzionale ed il metodo semplificato.

Il metodo semplificato si basa su una classificazione macrosismica dell’edificio. È indicato per una valutazione speditiva della Classe di Rischio dei soli edifici in muratura e può essere utilizzato sia per una valutazione preliminare indicativa, sia per valutare la classe di rischio in relazione all’adozione di interventi di tipo locale.

Il metodo convenzionale è applicabile a qualsiasi tipologia di costruzione. Esso è basato sull’applicazione dei normali metodi di analisi previsti dalle attuali NCT 20080 e consente la valutazione della Classe di Rischio della costruzione

sia nello stato di fatto, sia nello stato conseguente intervento progettato.

Dopo aver definito la classe di rischio sismico sullo stato di fatto, si procede a individuare gli interventi locali per lo stato di progetto, che consentono di guadagnare una classe di rischio sismico.

Come sopra descritto il passaggio ad una o più classi superiori di rischio sismico dell’edificio porta alla possibilità di ottenere un incremento per un ulteriore 15% (sempre entro i limiti complessivi del comma 4 dell’articolo 6)

La verifica del requisito si ottiene attraverso la progettazione strutturale depositata in comune e il successivo collaudo statico nonché dalla dichiarazione del direttore dei lavori sul rispetto del progetto sulle opere realizzate

5. Utilizzo di materiali di recupero

Questa categoria di azioni è prevista sia per gli interventi di ampliamento che per quelli di demolizione e consente un ampliamento del volume o della superficie fino al 5%.

Si applica solo sulla parte oggetto di intervento se relativa alla categoria degli ampliamenti mentre vale per tutto l’edificio sulle demolizioni e ricostruzioni e, in ambedue i casi, richiama specificatamente la recente normativa sui Criteri minimi ambientali.

Per soddisfare i requisiti previsti dalla scheda in commento, il cui fine è quello di ridurre l’impiego di risorse non rinnovabili e di aumentare il riciclo dei rifiuti, alcuni materiali devono prevedere una quota minima di riciclato, conformemente a quanto indicato dai CAM (art 2,4,2 e successivi), calcolato in peso:

  1. almeno 5% per i calcestruzzi confezionati in cantiere, preconfezionati e prefabbricati
  2. almeno 10% per i laterizi da muratura e solai
  3. almeno 5% per i laterizi per coperture, pavimenti e murature faccia a vista
  4. almeno 70% per acciaio strutturale da forno elettrico
  5. almeno 10% per acciaio strutturale da ciclo integrale
  6. almeno 30% per materie plastiche (ad eccezione di usi specifici)
  7. solo materiale di recupero per murature in pietrame o miste
  8. almeno 5% per lastre di cartongesso per tramezzature e controsoffitti

Come previsto nella normativa CAM non tutti i materiali da costruzione sono presi in considerazione. A fronte di tale specifica, fermo restando per i materiali non citati non esiste alcuna prescrizione specifica, a meno che non vi siano obblighi derivanti da altre norme o regolamenti di livello locale, si ritiene che per ottemperare ai requisiti previsti dalla scheda e ottenere la premialità prevista si possono considerare solo i materiali citati dalla norma nelle percentuali sopra descritte.

La verifica delle percentuali dovrà essere effettuata attraverso il deposito dei certificati dei materiali utilizzati che dovranno permettere la verifica delle percentuali sopra descritte.

Si evidenzia tra l’altro come sia necessaria la certificazione del prodotto, fornita dal produttore, e che non sia sufficiente a dimostrare tale requisito la semplice dichiarazione resa da parte della committenza o della direzione lavori.

Tale requisito pertanto risulta, nell’intenzione del legislatore, una leva per portare nel mercato specifiche e caratteristiche fino ad oggi previste unicamente per i lavori pubblici.

6. Utilizzo di coperture a verde per 50 mq (o 50% nel caso di unità produttive)

Anche questa categoria di azioni è prevista per tutti gli interventi di ampliamento e ricostruzione ammessi dalla legge.

L’intervento in particolare prevede un raggiungimento di una metratura limite per gli interventi residenziali mentre prevede un parametro percentuale per gli interventi non residenziali.

La scheda prevede, per il residenziale, una premialità fino al 5% di incremento ulteriore, a fronte della realizzazione di un tetto verde con una superficie minima di 50 mq.

La scelta di indicare una superficie minima è dettata dalla necessità di assicurare che le azioni intraprese sulla base di tale scheda siano sufficientemente significative e non meramente strumentali al conseguimento della premialità. Tuttavia, la superficie indicata è una dimensione rilevante se rapportata agli interventi di ampliamento residenziali, tale scelta metrica si pone pertanto come elemento limitante per l’uso di questa azione specifica.

Per gli interventi non residenziali, si richiede invece la realizzazione di almeno il 50% della copertura di ampliamento (anche nel caso di sopraelevazione) con la tipologia del tetto verde, quindi con la possibilità di interventi di dimensioni minime per piccoli stabili ad uso non residenziale, come ad interventi molto importanti dal punto di vista metrico per i classici edifici industriali (capannoni) molto presenti nel nostro tessuto edilizio.

Appare opportuno operare un attento monitoraggio dell’uso di questa specifica in modo da poter intervenire in futuro per poter permettere la diffusione sperata di questa tipologia edilizia.

Per quanto riguarda la parte tecnica, la verifica del rispetto dei requisiti viene effettuata attraverso gli elaborati progettuali e la dichiarazione di corretta messa in opera da parte della DD.LL.

7. Realizzazione di pareti ventilate

Il criterio viene previsto dalla norma per tutte le categorie di interventi e richiede che l’azione sia posta in essere sull’intero edificio, compresa dunque la parte esistente per quanto riguarda gli interventi di ampiamento, e prevede una percentuale premiante del 10%.

La scheda evidenzia le norme UNI da rispettare per la realizzazione della parete ventilata.

La scelta di intervenire in detto ambito segue le finalità di ridurre il fabbisogno invernale ed estivo degli edifici attraverso la regolarizzazione delle temperature superficiali dell’involucro edilizio.

Inoltre, la possibilità di intervenire attraverso la realizzazione di pareti ventilate, in particolare per quanto riguarda il patrimonio edilizio non residenziale, permette di elevare la qualità architettonica dell’edificato esistente.

8. Isolamento acustico di Classe II

Si prevede che il raggiungimento della Classe II di isolamento acustico, come definita dalla norma UNI 11367 consenta il riconoscimento di un incremento aggiuntivo pari al 5% del volume o della superficie.

Il fine è quello di perseguire la qualità architettonica superando i valori minimi di norma e portando i limiti di isolamento acustico almeno alla Classe II per i nuovi elementi costruiti per l’ampliamento.

Tale intervento pertanto dovrà essere adeguatamente specificato e verificato attraverso opportuni elaborati progettuali (relazione, tavole con evidenziate stratigrafie e nodi termici) e opportuna dichiarazione del DD.LL. sulla rispondenza delle opere realizzate al progetto presentato.

9. Adozione di sistemi di recupero per le acque piovane su ampliamento

Tale azione è ammessa per tutti gli interventi previsti dalla legge.

Il fine dell’azione è quello di premiare la sostenibilità ambientale, intervenendo e rendendo premiante, per il 5% della superficie o del volume, il recupero di acqua piovana.

La scheda permette, partendo da alcuni dati ricavabili in letteratura, di determinare il volume minimo del serbatoio che permette di ottenere la premialità prevista.

Il calcolo prevede pertanto di determinare il fabbisogno annuale di acqua piovana, ricavato dai dati dell’utenza e dalle dimensioni del verde pertinenziale e la resa dell’acqua piovana ricavata dalla precipitazione media locale opportunamente tarata (coefficiente di deflusso, ecc.); in base ai valori di questi due parametri si può determinare il valore minimo del serbatoio che permette di ottenere la premialità prevista.

10. Rimozione e smaltimento cemento amianto

La scheda prevede un’azione finalizzata a perseguire la sostenibilità e la qualità architettonica attraverso la rimozione e lo smaltimento delle coperture in amianto presenti nell’edificio da ampliare.

Tale azione è valida sia per l’ampliamento che per la demolizione e ricostruzione.

Tale premialità, verificata attraverso l’individuazione del luogo dove dovrà essere smaltito il materiale rimosso, dovrebbe agevolare l’eliminazione dell’amianto ancora presente negli edifici esistenti e favorire la bonifica di tale materiale dal patrimonio edilizio esistente.

11. Utilizzo del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento

Il criterio persegue la qualità architettonica e l’efficienza attraverso l’automazione dei sistemi di gestione dell’edificio.

Si prevede la realizzazione dell’automazione dell’impianto di termoregolazione relativo all’intero edificio tale da portare l’edificio in classe A BACS come da UNI 15232:2017.

In base alla norma sopracitata, bisogna intervenire sui parametri relativi al riscaldamento e al raffrescamento necessari ad ottenere la qualificazione in classe A BACS relativamente a queste due funzionalità.

Tele intervento dovrà essere dimostrato da adeguati elaborati progettuali e dalle dichiarazioni della direzione lavori di rispondenza alla pratica progettuale.

12. Utilizzo di tecnologie, che prevedono l’uso delle fonti energetiche rinnovabili con una potenza non inferiore a 3 Kw

Il contenuto della scheda si pone in continuità con gli obiettivi già perseguiti dalla l.r. n. 14/2009 sul Piano Casa, che attribuiva premialità aggiuntive per gli interventi che avessero portato al raggiungimento di una quota di utilizzo di fonti energetiche rinnovabili.

La scheda rinvia, nella determinazione delle fonti rinnovabili alle quali è possibile ricorrere, all’Allegato 3 del d.lgs. n. 28/2011; tuttavia, tale elenco potrebbe essere in un prossimo futuro limitato alle sole fonti solari e ad altre fonti a zero emissioni, eliminando, ad esempio, le fonti a biomassa, che generano emissioni di particolato e che potrebbero determinare un aggravio dei parametri di particolato e PM10 presenti nell’aria, tema particolarmente sensibile per la realità padana e veneta e che ha portato all’adozione di misure eccezionali volte a limitare questo genere di emissioni.

Commento all’art. 20 l.r. n. 14/2019

di Monica Tomaello

Articolo 20
Entrata in vigore.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto.

La legge, stante la scadenza dei termini di applicabilità della precedente normativa, è stata promulgata con rapidità e pubblicata nel BUR n. 32 del 5 aprile 2019. La legge è entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione e, cioè, il 6 aprile 2019.

A tal proposito, si ricorda che ai sensi dell’articolo 24, comma 1 dello Statuto del Veneto (Legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1), la legge è pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione e, di regola, entra in vigore quindici giorni dopo la sua pubblicazione, salvo che la legge stessa preveda termini diversi come, per l’appunto, è avvenuto in questo caso.

Il 6 aprile 2019, rappresentando il giorno di entrata in vigore della legge, costituisce anche la data iniziale da cui computare il decorso dei vari termini di scadenza posti dal Legislatore. Ci si riferisce, in particolare, ai termini fissati ai commi 1 e 7 dell’articolo 4 che prevedono, l’uno, l’emanazione da parte della Giunta regionale di una specifica disciplina per i crediti da rinaturalizzazione e, l’altro, l’istituzione del RECRED da parte dei comuni non dotati di PAT rispettivamente entro quattro e tre mesi dall’entrata in vigore di “Veneto 2050”. Il termine del comma 2, invece, relativo all’approvazione da parte dei comuni della variante di adeguamento è collegato all’adozione del provvedimento di Giunta disciplinante i crediti da rinaturalizzazione.

Commento all’art. 19 l.r. n. 14/2019

di Monica Tomaello

Articolo 19
Abrogazioni.

1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 17, sono o restano abrogati gli articoli 1, 1 bis, 2, 3, 3bis, 3 ter, 3 quater, 4, 6, 7, 8, 9, 11, 11bis e 12 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “ Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche”, e le seguenti relative disposizioni di novellazione e attuative:
a) articoli 7 e 8 della legge regionale 9 ottobre 2009, n. 26 “Modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia”;
b) articoli 1, 2, 4, 5, 6, 7 e 8 della legge regionale 8 luglio 2011, n. 13 “Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche” e successive modificazioni, alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” e successive modificazioni e disposizioni in materia di autorizzazioni di impianti solari e fotovoltaici “;
c) articoli 1 e 2 della legge regionale 10 agosto 2012, n. 36 “Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche””;
d) articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12 e 14 della legge regionale 29 novembre 2013, n. 32 “Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia”;
e) articolo 6 della legge regionale 16 marzo 2015, n. 4 “Modifiche di leggi regionali e disposizioni in materia di governo del territorio e di aree naturali protette regionali”;
f) articolo 28, comma 1, della legge regionale 14 dicembre 2018, n. 43 “Collegato alla legge di stabilità regionale 2019”.

SOMMARIO: 1. Le abrogazioni disposte dall’articolo 192. Le disposizioni della legge regionale n. 14/2009 rimaste in vigore3. Considerazioni conclusive

1. Le abrogazioni disposte dall’articolo 19

L’articolo 19 è dedicato all’abrogazione di norme superate, sostituite o comunque incompatibili con le nuove disposizioni dettate dalla legge in esame. Ciò, precisa il Legislatore, “fermo restando quanto previsto dall’articolo 17”; tale articolo, com’è noto, detta disposizioni transitorie e, in particolare, prevede un caso di ultrattività delle norme abrogate disponendo che gli interventi la cui istanza sia presentata entro il 31 marzo 2018 continuino ad essere disciplinati dalla legge regionale n. 14/2009.

La norma in commento utilizza l’usuale formula “sono o restano abrogati” che sottintende che l’abrogazione espressa può essere meramente confermativa di una già intervenuta abrogazione implicita. Il legislatore regionale, in un’ottica di semplificazione del sistema normativo, ha quindi ravvisato la necessità di un intervento di “pulizia” del contesto normativo di riferimento, mediante l’abrogazione espressa non solo della legge regionale n. 14/2009 (il “vecchio” “Piano Casa”) – di cui però, come si spiegherà nel proseguo, restano vigenti alcune disposizioni -, ma anche di quelle disposizioni di legge di novellazione o attuative per le quali non sussistono più le condizioni di adozione.

Vengono così abrogati gli articoli 7 e 8 della legge regionale n. 26/2009 che prevedevano, rispettivamente, la sostituzione della lettera b) del comma 3 dell’articolo 6 della legge regionale n. 14/2009 e l’interpretazione autentica dell’articolo 7 e dell’articolo 9 comma 3, comma 4, comma 6 e comma 7 della medesima legge. Va evidenziato che il comma 1 dell’articolo 8 della legge regionale n. 26/2009 risulta già essere stato abrogato in modo espresso dal comma 1 dell’articolo 20 legge regionale, n. 32/2013 e, conseguentemente, la sua abrogazione in questa sede risulta ultronea.

Sono poi abrogate una serie di disposizioni contenute nella legge regionale n.13/2011[1], nella legge regionale n. 36/2012 e nella legge regionale n. 32/2013[2]; si tratta di disposizioni tradottesi in una serie di modifiche o integrazioni alla legge regionale n. 14/2009 già abrogata, anche se non in toto, dal comma 1 della norma in esame.

Per completezza, va segnalato che gli articoli 7 e 8 della legge regionale n. 13/2011 risultano già espressamente abrogati dal comma 2 dell’articolo 20 legge regionale, n. 32/2013 e, pertanto, anche in questo caso, la loro abrogazione è probabilmente motivata da esigenze di certezza giuridica.

La lettera e) prevede l’abrogazione dell’articolo 6 della legge regionale n. 4/2015 che modifica ed integra il già abrogato articolo 2 della legge regionale n. 14/2009.

La successiva lettera f) dispone infine l’abrogazione del comma 1 dell’articolo 28 della legge regionale n. 43/2018, cioè della disposizione che ha prorogato l’efficacia del c.d. “Piano Casa” fino al 31 marzo 2019 (la precedente scadenza era fissata per il 31 dicembre 2018). Anche in questo caso l’abrogazione pare superflua ed è quindi lecito ritenere che sia stata volutamente esplicitata solo per eliminare ogni possibile incertezza.

2. Le disposizioni della legge regionale n. 14/2009 rimaste in vigore

Come si è evidenziato al punto precedente, non tutte le disposizioni del “Piano Casa” risultano essere state abrogate a seguito dell’entrata in vigore di “Veneto 2050”. Invero, nell’elencazione di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 19 non compaiono l’articolo 5 e l’articolo 10 della legge regionale n. 14/2009 relativi, rispettivamente, all’installazione di impianti solari, fotovoltaici e di altri sistemi di captazione delle radiazioni solari e alla ristrutturazione edilizia.

Va evidenziato che le due norme rientrano tra le disposizioni “a regime”, non sottoposte cioè al limite temporale stabilito dall’art. 9, comma 7, ed applicabili quindi a tempo indeterminato.

Per quanto riguarda, in particolare, l’articolo 5 della legge regionale n. 14/2009, al fine di consentirne l’applicazione, la Giunta regionale ha emanato alcuni provvedimenti contenenti definizioni tipologiche delle strutture e degli impianti ammissibili e relative caratteristiche tecniche; tali provvedimenti, pur necessitando di essere aggiornati alla normativa sopravvenuta, costituiscono tuttora fonte di importanti indicazioni per i Comuni. Si tratta delle deliberazioni n. 2508 del 4 agosto 2009 “Incentivi urbanistici ed edilizi per l’installazione di impianti solari e fotovoltaici ai sensi dell’art. 5, comma 1 della l.r. 8 luglio 2009, n. 14” e n. 1781 in data 8 novembre 2011 “Caratteristiche tecniche delle serre bioclimatiche e di altre strutture murarie ai fini della completa applicazione dell’art. 5 della l.r. 13/2011”.

Per completezza, si rammenta che la deliberazione n. 1781/2011 è stata emanata ai sensi del comma 6 dell’articolo 3 della l.r. n. 13/2011 che, nel dettare disposizioni applicative relativamente all’articolo 5, ha disposto che “6. La Giunta regionale, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore (9 luglio 2011) della presente legge, integra il provvedimento di cui al comma 3 dell’articolo 5 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 con riferimento alla lettera a) del comma 1 del medesimo articolo 5, come modificato dalla presente legge.” [3] A proposito dell’articolo 3 della l.r. n. 13/2011, va evidenziato che lo stesso rimane vigente proprio in quanto disposizione di novellazione dell’articolo 5 della legge regionale n. 14/2009.

Appare doveroso infine rammentare che il comma 1 dell’articolo 5 parla di “abitazioni esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge [legge regionale n. 14/2009]”, cioè edifici esistenti alla data dell’11 luglio 2009, tuttavia il comma 5 dell’articolo 17 di “Veneto 2050” ha esteso l’applicazione dell’articolo 5 a tutte le abitazioni esistenti alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 14/2019 (6 aprile 2019).

L’altra norma della legge regionale n. 14/2009 di cui l’articolo 19 non dispone l’abrogazione è, come sopra anticipato, l’articolo 10 riguardante la ristrutturazione edilizia. Tale norma, presente già nella prima versione del piano casa, ha subito una modifica da parte della legge regionale n. 32/2013 (c.d. “terzo Piano Casa”). È questa la ragione per cui il Legislatore, nell’abrogare le disposizioni della legge regionale n. 32/2013, fa salvo l’articolo 11 della suddetta legge trattandosi, per l’appunto, di norma di novellazione del citato articolo 10.

Va precisato che l’intervento di novellazione dell’articolo 10 è stato posto in essere a seguito delle innovazioni apportate alla disciplina di tale intervento edilizio nell’ordinamento statale ad opera del c.d. “decreto del fare”[4] ed è volto non a fornire una definizione autonoma della “ristrutturazione edilizia”- che, ovviamente, non può che essere quella stabilita dalla competente normativa statale – bensì a disciplinare, “nelle more dell’approvazione della nuova disciplina regionale sull’edilizia”, alcuni aspetti attinenti tale intervento ai soli fini delle procedure autorizzative.

Per completezza espositiva si segnala che, a breve distanza dall’approvazione di “Veneto 2050”, è entrato in vigore il decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (c.d. “Sblocca cantieri”)[5] convertito con legge 14 giugno 2019, n. 55[6] , il cui articolo 5 apporta alcune modifiche all’articolo 2 bis del d.P.R. n. 380/2001.

In particolare, per quanto qui interessa, la norma di novellazione aggiunge all’articolo 2 bis del d.P.R. n. 380/2001 il comma 1 ter che testualmente dispone: “In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo”. Il nuovo comma 1-ter dell’art. 2-bis del DPR n. 380/2001 condiziona, dunque, gli interventi di demolizione e ricostruzione edilizia al rispetto delle distanze preesistenti purché si tratti di distanze legittime e all’invarianza delle volumetrie edificatorie e dell’altezza dell’edificio da ricostruire[7].

La nuova disposizione potrebbe dar adito a dubbi interpretativi in relazione a quanto invece disposto dal comma 1, lettera b) dell’articolo 10 della legge regionale n. 14/2009.

La norma regionale, infatti, stabilisce che gli interventi di ristrutturazione edilizia con ampliamento, qualora realizzati mediante integrale demolizione e ricostruzione dell’edificio esistente, per la parte in cui mantengono i volumi esistenti sono considerati, ai fini delle prescrizioni in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, ristrutturazione edilizia (mentre è considerata nuova costruzione la sola parte relativa all’ampliamento che, come tale, rimane soggetta alle normative previste per tale fattispecie).

In altri termini, la parte di edificio demolita e ricostruita con lo stesso volume, mantiene una condizione privilegiata propria del fabbricato nella sua conformazione originaria, anche e soprattutto per quanto riguarda la possibilità di mantenere le distanze preesistenti.

A tal riguardo, alcuni chiarimenti potranno forse essere forniti nel provvedimento che la Giunta regionale è chiamata ad adottare ai sensi del comma 8 dell’articolo 17 di “Veneto 2050”.

3. Considerazioni conclusive

Come emerge chiaramente dalla elencazione delle disposizioni oggetto di abrogazione, nel corso degli anni si è verificata una stratificazione di provvedimenti, a scapito della chiarezza e della certezza del diritto e, pertanto, va sicuramente salutato con favore l’intervento di abrogazione espressa operato dal legislatore regionale.

Tuttavia, in quest’ottica di “pulizia” e semplificazione, forse si sarebbe potuta cogliere l’occasione anche per razionalizzare il corpus normativo, abrogando, nel caso di specie, anche gli articoli 5 e 10 della legge regionale n. 14/2009 e riportando il loro contenuto all’interno della nuova legge. Tale operazione, ad avviso di chi scrive, oltre ad assicurare certezza e coerenza giuridica, avrebbe garantito una migliore conoscibilità della normativa e, conseguentemente, una più semplice fruibilità da parte dei cittadini e degli operatori del settore.

[1] C.d. “secondo Piano Casa”.

[2] C.d. “Piano Casa ter”.

[3]Il medesimo articolo, al comma 1, ha inserito nella rubrica dell’articolo 5 dopo le parole “solari e fotovoltaici” le parole “e di altri sistemi di captazione delle radiazioni solari”.

[4] decreto-legge n. 69/2013 “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” convertito con modificazioni dalla legge n. 98/2013.

[5] Il decreto-legge18 aprile 2019, n. 32 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 92 del 18 aprile 2019 ed è entrato in vigore il 19 aprile 2019

[6]La legge n. 55/2019″Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 140 del 17 giugno 2019 ed è entrata in vigore il 18 giugno 2019.

[7] V. Dossier di documentazione n. 121 del Servizio Studi Senato/ A.S. n. 1248

Commento all’art. 18 l.r. n. 14/2019

di Maurizio De Gennaro

Articolo 18
Norma finanziaria

1. Agli oneri derivanti dall’applicazione della presente legge, quantificati in euro 15.000,00 per l’esercizio 2019, si fa fronte con le risorse allocate nella Missione 08 “Assetto del territorio ed edilizia abitativa”, Programma 01 “Urbanistica ed assetto del territorio”, Titolo 1 “Spese correnti” del bilancio di previsione 2019-2021, utilizzando a tal fine per euro 5.000,00 le risorse stanziate per l’articolo 15 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 e per euro 10.000,00 le risorse stanziate per l’articolo 28 della legge regionale 14 dicembre 2018, n. 43 “Collegato alla legge di stabilità regionale 2019”.

La norma, di carattere economico-finanziario, fa riferimento agli oneri derivanti dall’art. 14 “Premio per la qualità e la bellezza architettonica”, a cui si farà fronte con le disponibilità del Bilancio regionale, in particolare con le risorse economiche di cui alla Missione 08 “Assetto del territorio ed edilizia abitativa” previste dal DEFR – Documento di Economia e Finanza Regionale 2019-2021.
L’art. 14 prevede l’assegnazione del premio “Qualità e Bellezza Architettonica” che annualmente il Consiglio regionale assegnerà ai due migliori progetti, opportunamente selezionati e segnalati dalla apposita “Commissione regionale per la qualità e la bellezza architettonica” di cui all’articolo 13 della legge regionale 14/2019.
Il finanziamento previsto per l’anno 2019 è pari a € 15.000, importo disponibile alla data dell’entrata in vigore della legge, ma per il quale potrà essere valutato un suo eventuale rifinanziamento nel corso dell’esercizio finanziario.

Commento all’art. 17 l.r. n. 14/2019

di Antonella Ballarin e Franco Botteon

Articolo 17
Disposizioni transitorie e finali

1. Gli interventi per i quali la segnalazione certificata di inizio lavori o la richiesta del permesso di costruire siano stati presentati, ai sensi della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, entro il 31 marzo 2019, continuano ad essere disciplinati dalla medesima legge regionale.
2. I comuni dotati di un PAT, già approvato alla data di entrata in vigore della presente legge, si adeguano alle disposizioni dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, come modificato dall’articolo 16, e mantengono la propria disciplina fino all’approvazione di una nuova variante al piano degli interventi.
3. Le premialità volumetriche o di superficie previste dalla presente legge sono alternative e non cumulabili con quelle previste da altre leggi regionali.
4. È fatta salva la legislazione statale vigente in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici.
5. Per le abitazioni esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni di cui all’articolo 5 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14.
6. L’allegato A alla presente legge può essere modificato con deliberazione di Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare.
7. I termini previsti dall’articolo 48 ter della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, per l’adeguamento dei comuni alla legge sul contenimento del consumo di suolo e allo schema di Regolamento edilizio tipo (RET), sono rideterminati al 30 settembre 2019.
8. La Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, detta disposizioni di indirizzo e applicative per l’attuazione della presente legge.

Sommario: 1. La disciplina transitoria relativa gli interventi in corso (comma 1)2. L’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle modifiche apportate all’art. 36 l.r. n. 11/2004 (comma 2) 3. Rapporto con le misure premiali previste da altre leggi regionali speciali (comma 3)4. Rapporto con le norme statali in materia di tutela di beni culturali e paesaggistici (comma 4)5. Applicazione delle misure incentivanti per impianti ad energia solare (comma 5)6. Procedura per la modifica dell’allegato A (comma 6)7. I termini per l’adeguamento alla l.r. 14/2017 ed al Regolamento Edilizio Tipo (RET) (comma 7)8. L’adozione di atti di indirizzo e misure di attuazione da parte della Giunta regionale (comma 8)

1. La disciplina transitoria relativa gli interventi in corso (comma 1)

L’attività edilizia richiede, per l’interessato, in particolare nel caso di interventi di radicali quali quelli di demolizione e ricostruzione oltreché di nuova costruzione, una importante e onerosa – sul piano economico e temporale – attività preventiva di studio delle soluzioni e di elaborazione progettuale meditata e consapevole, considerata anche la stabilità del manufatto che si va a creare.

D’altro canto, la legge in commento imprime una rilevante variazione di rotta sugli interventi ammessi (v. la realizzazione dell’edificio isolato nel raggio di 200 m dall’edificio di riferimento, esclusa dall’art. 6, co. 2 della legge) e anche su quelli incentivati e sulle condizioni dell’incentivo, da un lato riducendone la dimensione “ordinaria” (ampliamento “normale” dal 20% al 15%), peraltro offrendo nuove opportunità (ampliamento fino al 100% a fronte dell’80% massimo della disciplina vigente fino al “terzo piano casa”).

Orbene, verosimilmente tenendo conto della appena sopra sottolineata necessità e dell’onerosità di tale attività preliminare di programmazione e progettazione delle opere, la disposizione, in linea con l’approccio già praticato dalla l.r. n. 32/2013 (v. art. 14, co. 3), che si trovava nella stessa situazione essendo succeduta ai precedenti interventi normativi attuativi del programma nazionale del “Piano Casa” di cui all’accordo Stato-Regioni 31.3.2009, mira a “salvare” i progetti elaborati e formalizzati presso il comune competente con regolare presentazione di domanda di rilascio del permesso di costruire o di segnalazione certificata di inizio attività avvenuta prima dell’entrata in vigore della legge in esame. Il 31.3.2019 è del resto la data finale di vigenza del sistema “provvisorio” del “Piano Casa”, vigenza finale la cui regolamentazione il legislatore regionale aveva affidato al disposto di una norma pressoché nascosta, e cioè l’art. 9, co. 7, l.r. n. 14/2009, la quale fissava il termine entro cui le istanze relative agli interventi previsti dalla medesima legislazione dovevano intervenire e che disponeva in particolare (fino alla odierna abrogazione e nell’ultima versione, conseguente alle modifiche recate con l’art. 1, comma 28, l.r. n. 43/18): “Le istanze per gli interventi di cui agli articoli 2, 3, 3 ter, 3 quater e 4 devono essere presentate entro il 31 marzo 2019[1].

La soluzione adottata (salvataggio delle “iniziative” edilizie configurate secondo la precedente disciplina e formalizzate in Comune entro il 31.3.2019) appare senz’altro giustificata sul piano dell’opportunità, anche considerata l’incertezza che ha connotato fino all’ultimo il rispetto del termine del 31.3.2019, essendo stata approvata la nuova legge solo nella seduta del 27 marzo 2019 (prendendo poi la data del 4.4.2019 a seguito del perfezionamento del percorso legislativo).

A fronte di tale, opportuna, scelta di “merito legislativo”, l’adozione di una previsione espressa risultava necessaria a fronte del fatto che il principio generale nel campo del diritto amministrativo è opposto rispetto alla regola definita con la disposizione in esame.

Per giurisprudenza monolitica, infatti, particolarmente apprezzabile nella sua costanza e uniformità in considerazione di una curiosa lacuna riscontrabile in materia (la legge generale sul procedimento e provvedimento amministrativo non ne parla) è nel senso che il punto di riferimento ai fini della individuazione del diritto applicabile in caso di successione di norme è il provvedimento amministrativo e il momento di suo perfezionamento (e cioè della sua sottoscrizione, prima della comunicazione, anche laddove necessaria alla produzione degli effetti ex art. 21 bis, comma 1, l. 241/90), irrilevanti essendo sia il momento dell’iniziativa, anche se di parte (domanda, segnalazione, denuncia, comunicazione, ecc.), sia la fase successiva al perfezionamento dell’atto e quindi le sopravvenienze normative. Emblematica la seguente, recente massima: “Nei procedimenti amministrativi la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la Pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici” (Cons. Stato, sez. V, 10 aprile 2018, n. 2171). Il principio del tempus regit actum va, quindi, riferito al provvedimento e non all’avvio del procedimento, anche come precipitato del principio di legalità, non essendo ammissibile, tenuto conto del disposto dell’art. 97 Cost., che un provvedimento sia adottato in contrasto con la normativa vigente nel momento del suo venire ad esistenza.

Con riguardo, peraltro, a quel fenomeno normativo, che pure nel campo del “Piano Casa” rileva essendo stato espressamente richiamato, di liberalizzazione di determinate attività[2] mediante la previsione di titoli abilitativi costituiti non da “tradizionali” provvedimenti amministrativi espressi o taciti per legge (es. art. 20 l. n. 241/1990) bensì da atti privati quali la denuncia di inizio attività, la segnalazione certificata di inizio attività, la comunicazione, P.A.S. in materia di energia, ai quali la legge ricollega gli stessi effetti autorizzatori dei provvedimenti sostituiti, e ciò con efficacia istantanea (es. SCIA, CILA) o dilazionata nel tempo e quindi dopo il decorso di un certo termine (denuncia di inizio attività), il principio del tempus regit actum va applicato avendo a riferimento all’atto amministrativo di controllo inibitorio che potrebbe intervenire e quindi con riferimento al momento in cui si esaurisce il potere di controllo e cioè 60 giorni per la SCIA, 30 nel caso di SCIA edilizia e 30 nel caso di DIA (v. con riguardo alla DIA, Tar Lombardia, Milano, 11 gennaio 2010, n.12).

In sostanza, in base alla illustrata regola generale, senza la disposizione espressa del comma 1 dell’art. 17, i progetti sottoposti al comune con scia o domanda di permesso di costruire sarebbero esaminati alla luce della normativa nuova e non in base a quella previgente, richiamata dalla disposizione in commento, con la conseguenza, a titolo esemplificativo, che una segnalazione certificata di inizio attività – SCIA per la realizzazione di un edificio separato a distanza di 200 metri da quello che genera l’ampliamento sarebbe oggetto di provvedimento inibitorio applicando sopravvenute disposizioni della legge “Veneto 2050” mentre, in forza della norma transitoria in questione, l’intervento rimane assentibile in applicazione delle previgenti disposizioni del “Piano Casa”.

In sintesi, il comma 1 dell’art. 17 “salva” da rigetto o inibitoria le domande di permesso di costruire e le segnalazioni di inizio attività presentate prima del 31.3.2019 (si tenga conto che con il sistema informatico applicato in Veneto, è possibile la presentazione di segnalazioni e domande di permesso anche il sabato e la domenica, e sabato e domenica erano il 30 e il 31 marzo 2019, l’art. 18 bis l. 241/1990 obbliga la P.A. a indicare come data di protocollazione di istanze e segnalazioni quella della “presentazione” e quindi quella del ricevimento al sistema informatico del Comune, senza possibilità di rinviare la “segnatura di protocollo” a date successive), purché conformi alla disciplina vigente alla predetta data (l.r. n. 14/2009 e successive modifiche), anche se in contrasto con la l.r. 14/2019.

Relativamente alla SCIA, alla quale il comma 1 in commento fa testuale riferimento congiuntamente alla domanda di permesso di costruire, merita evidenziare che la l.r. n. 14/2009, anche nella versione vigente alla data di entrata in vigore della l.r. n. 14/2019 (6.4.2019, per effetto dell’art. 20 l.r. 14/19, che fa entrare in vigore la legge il giorno dopo la sua pubblicazione sul BUR, avvenuta il 5.4.2019), a partire dalla quale data (6.4.2019) gran parte delle norme della l.r. 14/2009 sono state abrogate, non fa menzione della SCIA ma, all’art. 6, relativo ai titoli abilitativi, alla denuncia di inizio attività e, agli artt. 3, comma 3, e 9, comma 2 ter, al permesso di costruire.

La sostituzione della DIA con la SCIA non risulta avvenuta per effetto di una specifica norma di legge regionale ma, in sede regionale, nientemeno che per un “avviso” pubblicato su internet, all’indirizzo https://www.regione.veneto.it/web/ambiente-e-territorio/modulistica-unificata, dove si legge: “Si evidenzia che, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 222 del 2016, gli interventi di cui agli articoli 2, 3 e 4 della legge regionale n. 14 del 2009 (c.d. Piano Casa) sono sottoposti a SCIA alternativa al Permesso di Costruire ai sensi dell’articolo 23 del DPR n. 380 del 2001. È fatta ovviamente salva la facoltà dell’interessato di richiedere il permesso di costruire anche per tali interventi”.

L’ “avviso” appare piuttosto sconcertante, sia per il fatto di essere tale, e cioè per aver la Regione affrontato il tema del titolo abilitativo, regolato da apposita norma, con uno strumento del tipo di quello appena descritto, quantomeno per le seguenti ragioni: a) gli interventi di cui agli artt. 2, 3 e 4 della l.r. n. 14/2009 non erano soggetti a permesso di costruire ma a DIA (v. art. 6); b) l’art. 23 d.P.R. 380/2001, come modificato dal d.lgs. n. 222/2016 non si sovrappone alle previsioni degli art. 2, 3 e 4 l.r. 14/2009, ossia non si riferisce agli interventi descritti negli artt. 2, 3 e 4; c) l’annuncio ignora completamente il destino della DIA e le previsioni dell’art. 6.

Neanche nel sito della normativa regionale si legge alcuna nota all’art. 6 della l.r. n. 14/2009 che dia conto di modifiche del tipo di titolo edilizio richiesto per gli interventi di cui agli artt. 2, 3 e 4 l.r. n. 14/2009.

Fatto è che la nuova legge sembra dare per scontata la sostituzione della DIA con la SCIA (non alternativa al permesso di costruire ai sensi dell’art. 23 d.P.R. n. 380/2001) e il mantenimento del permesso di costruire per le ipotesi specificamente considerate dalla l.r. n. 14/2009 (i citati artt. 3, comma 3 e 9, comma 2 ter).

Si deve, comunque, ritenere, con riguardo al comma 1 dell’art. 17 l.r. n. 14/2019, che esso si riferisca a tutti gli atti di iniziativa del privato miranti a dare luogo a titoli abilitativi basati sulla l.r. n. 14/2009, ossia miranti a legittimare gli interventi descritti dagli artt. 2, 3, 4 e 9 comma 2 ter, l.r. n. 14/2009: DIA, SCIA, alternativa o meno al permesso di costruire, o domande di permesso di costruire.

Un problema, seppure più teorico che concreto, derivante verosimilmente da una certa fretta nella stesura della nuova disciplina, sembra porsi per le domande e le SCIA presentate tra il 1° aprile e il 5 aprile 2019 (difficile che qualche professionista avventuroso si sia precipitato a presentare segnalazioni, denunce o istanze di permesso di costruire in quel lasso di tempo, senza attendere la pubblicazione della legge).

Considerato che la normativa di cui alla nuova legge è entrata in vigore il 6 aprile 2019 per effetto del citato disposto dell’art. 20, essendo stata pubblicata la legge il 5.4.2019, ne consegue che le SCIA e le istanze di permesso di costruire presentate formalmente in base al “vecchio Piano Casa” dovrebbero comunque essere esaminate, anche per quanto detto in ordine al tema del tempus regit actum, secondo la nuova normativa, anche perché fino al 6.4.2019 varrebbe la disposizione dell’art. 9, comma 7, l.r. n. 14/2009, per la quale le DIA/SCIA e le domande di permesso di costruire basate su quella normativa potevano essere presentate entro il 31.3.2019.

A maggior ragione, le SCIA/DIA e le domande di permesso di costruire che siano presentate dopo l’entrata in vigore e che formalmente si richiamino alla “vecchia” normativa, dovrebbero comunque essere esaminate, al di là del richiamo formale in tesi contenuto nelle stesse, alla luce della nuova normativa, eventualmente a seguito di esercizio del “dovere di soccorso” di cui all’art. 6, comma 1, lett. b), l. n. 241/1990, o del potere di conformazione di cui all’art. 19, comma 3, secondo periodo, l. n. 241/1990[3]

Per le ipotesi nelle quali l’interessato trovi più favorevoli e comunque aderenti ai suoi obiettivi le norme della nuova legge (l.r. n. 14/2019), non si rinvengono invece motivi ostativi rispetto alla rinuncia al titolo abilitativo già formatosi per accedere ai nuovi bonus volumetrici disposti con tale normativa, con contestuale o successiva presentazione di SCIA o istanza di permesso di costruire basate sulla nuova legge. In detta ipotesi, la questione potrebbe assumere rilievo solo per le somme già corrisposte a titolo di contributo connesso all’intervento richiesto a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione ancorché, sul punto, la giurisprudenza sia concorde nel ritenere che debbano essere restituite o comunque compensate con quelle dovute in base al titolo oggetto di nuova istanza. Ovviamente, non dovrà essere stato realizzato alcun tipo di intervento, dal momento che la rinuncia determinerebbe l’illegittimità delle opere fino alla formazione del nuovo titolo.

Si può, infine, prospettarsi la soluzione della presentazione di nuova SCIA o istanza di permesso di costruire intese non alla formazione di nuovo titolo ma ad una specie di “variante” del vecchio titolo con un titolo conforme alla nuova legge, tale comunque da far conseguire all’interessato un solo titolo abilitativo, anche considerata la previsione del comma 3 del presente articolo, che pone una clausola di alternatività e non cumulabilità delle premialità di questa legge con quelle previste da altre leggi regionali (inclusa la l.r. n. 14/2009) e con la necessaria conformità di quanto eventualmente già realizzato alla nuova normativa.

2. L’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle modifiche apportate all’art. 36 l.r. n. 11/2004 (comma 2)

Con il comma 2 si dispone l’obbligo da parte dei comuni dotati di PAT già approvato alla data di entrata in vigore di questa legge regionale, di adeguarsi alle disposizioni dell’articolo 36 della legge regionale n. 11 del 2004 (la legge sul governo del territorio) che si occupa della disciplina della riqualificazione ambientale e del credito edilizio. L’articolo 36, già oggetto di modifiche nel 2017 ad opera della legge regionale sul contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana (l.r. n. 14/2017), è oggi oggetto di ulteriori mutamenti per effetto delle modifiche introdotte dall’articolo 16 della presente legge, al cui commento si rinvia.

Ci si limita qui a ricordare, in merito al contenuto delle modifiche recate dalla legge in esame all’art. 36 e negli stretti termini necessari per illustrare il portato della disposizione del comma 2, che l’art. 16 della l.r. n. 14/2019 dispone la modifica sia della disciplina del PAT che del PI relativamente agli interventi di riqualificazione, modifiche finalizzate sostanzialmente a “spostare” nel PI l’individuazione puntuale degli edifici da riqualificare attribuita dal previgente testo del comma 1 dell’art. 36 al PAT e mantenendo nel PAT medesimo solo criteri per l’individuazione nel PI di tali edifici, senza una diretta catalogazione da parte dello strumento urbanistico strutturale, come, invece, per l’appunto, impropriamente previsto dal testo previgente.

A fronte del disposto del nuovo art. 36, considerato che l’adeguamento dovrà comportare l’uscita dal PAT dell’individuazione dei fabbricati incongrui, la previsione contenuta nel comma 2 in commento per la quale i comuni “mantengono la propria disciplina fino all’approvazione di una nuova variante al piano degli interventi”, può verosimilmente significare che fino all’approvazione di una variante al PI rimangono comunque salve le previsioni contenute nel PAT ante adeguamento relativamente alle opere improprie, fino ad una revisione in tal senso del piano “tattico”. Ciò al fine di assicurare comunque la presenza di una strumentazione urbanistica di legittimazione di interventi di riqualificazione su singoli siti.

Il che sembra anche coordinarsi con il fatto che il comma 2 in esame non fissa un termine per l’adeguamento, il che porterebbe per l’appunto a considerare comunque operante il PAT di cui il comune sia già munito, nella parte in cui individua le opere da rigenerare.

3. Rapporto con le misure premiali previste da altre leggi regionali speciali (comma 3)

Il comma chiarisce, come per il passato, che le premialità per volumetria a superficie previste da questa legge non possono essere cumulate con quelle di altre leggi regionali.

Le “altre leggi regionali” che prevedono premialità di superficie e volumetria, in base alle quali il privato abbia già conseguito in concreto (con idoneo titolo abilitativo già efficace prima dell’entrata in vigore della nuova legge) le premialità medesime in relazione ad un singolo lotto di intervento, devono in primo luogo individuarsi in quelle sul cd. Piano Casa e quindi le l.r. nn. 14/2009, 26/2009, 13/2011 e 32/2013.

In secondo luogo, devono considerarsi ai predetti fini di non sovrapposizione di benefici la l.r. n. 14/2017, e in particolare l’art. 5, comma 2, e 6, comma 3. Del resto, anche tale legge prevede l’alternatività della premialità da essa prevista rispetto a quella del “Piano Casa” (v. art. 12, comma 1 lett. g), l.r. n. 14/2017).

Non sembra che possano essere prese in considerazione quale causa di esclusione dei benefici di cui alla legge in esame le previsioni di cui all’art. 10, comma 1 e, soprattutto, 3, della l.r. n. 16/2007 sul superamento delle barriere architettoniche (per gli interventi di cui al comma 3 – incrementi di volumetria nel limite dei 150 mc – è previsto anche un vincolo di destinazione: v. comma 6). Ciò, in considerazione delle finalità del tutto differenti perseguite dalle due normative.

Le premialità incompatibili devono in effetti identificarsi con quelle volte a perseguire finalità afferenti alla sfera di quelle individuate nell’art. 1 della presente legge.

4. Rapporto con le norme statali in materia di tutela di beni culturali e paesaggistici (comma 4)

Così come per le altre leggi regionali sul Piano Casa, anche questa volta viene fatta salva la legislazione in materia di beni culturali e paesaggistici.

La previsione, sicuramente pleonastica, è volta a confermare che le disposizioni in materia di beni culturali e paesaggistici non possono di certo essere neutralizzate dalla disciplina in esame.

In concreto, gli interventi di ristrutturazione, di demolizione e ricostruzione nonché di ampliamento non potranno essere assentiti se, pur essendo conformi alla presente legge, non conseguono i titoli abilitativi previsti dalla predetta normativa.

5. Applicazione delle misure incentivanti per impianti ad energia solare (comma 5)

Il comma prevede che per le abitazioni esistenti alla data di entrata in vigore della nuova normativa sulla riqualificazione si possa ancora applicare l’articolo 5 del vecchio “Piano Casa” che, assieme all’articolo 10 sulla ristrutturazione edilizia, risultano essere le uniche disposizioni non abrogate della precedente l.r. n. 14/2009.

Con questa norma il legislatore ha inteso far salvo quel “bonus cubatura”, già riconosciuto in passato a favore di coloro che erano intenzionati a realizzare nei propri edifici impianti di captazione delle radiazioni solari, ovvero costruire pensiline e tettoie funzionali ad ospitare impianti solari e fotovoltaici.

L’articolo, che risale al primo piano casa del 2009, era stato poi modificato nel 2011, ed aveva trovato completa attuazione a seguito delle deliberazioni della Giunta regionale n. 2508/2009 e n. 1781/2011.

Deve ricordarsi che la norma era stata oggetto di una lettura restrittiva che legava il beneficio del bonus agli edifici esistenti alla data di entrata in vigore della originaria legge regionale n. 14/2009, ovvero esistenti all’11 luglio 2009. Tale interpretazione derivava dal fatto che nonostante i diversi interventi modificativi apportati all’articolo 5 nel tempo, la previsione del comma 1 era rimasta invariata e quindi non aveva consentito una interpretazione più estensiva che riconoscesse detto beneficio anche ad edifici “esistenti” dopo tale data.

Analoga riflessione sembra potersi manifestare anche per questa nuova legge regionale posto che il legislatore di oggi collega nuovamente la presenza dell’edificio alla data di entrata in vigore di questa legge, limitando quindi solo agli esistenti al 6 aprile 2019 la possibilità di utilizzare il bonus dell’art. 5 del vecchio “Piano Casa”.

Se pure sia evidente l’ampliamento del novero degli edifici che potranno godere dello sconto volumetrico rispetto al passato, prendiamo atto che il legislatore non ha valutato l’opportunità di estendere temporalmente il campo di applicazione della norma anche a costruzioni future, visto che gli interventi del comma 5 non sembrano porsi in collisione con altri tipi di intervento previsti nella nuova legge regionale.

6. Procedura per la modifica dell’allegato A (comma 6)

Di tutt’altro tenore rispetto al precedente, il comma 6 stabilisce che con provvedimento della Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, si possa modificare l’allegato A, che regolamenta le percentuali di incremento di bonus volumetrico per gli interventi di ampliamento e di riqualificazione urbana in aggiunta alle percentuali “di base” previste agli articoli 6 e 7 della legge regionale purché siano soddisfatti i criteri e le condizioni previste in detto allegato, cioè siano utilizzati una serie di componenti ed elementi per la riqualificazione degli edifici.

Il rinvio al provvedimento della Giunta regionale per l’eventuale modifica di un allegato tecnico approvato con legge regionale è una formula spesso utilizzata dal legislatore ed ha lo scopo di evitare che eventuali contenuti tecnici debbano essere sottoposti ad una procedura legislativa complessa per essere variati.

Si tratta di una modalità operativa che può essere ricondotta alle diverse forme della semplificazione procedimentale e che autorizza uno spostamento di competenza dal legislatore regionale all’organo esecutivo, analogamente a quanto accade nella delegificazione.

Pur non essendo questo lo spazio per sviluppare l’argomento sulla “delegificazione di tabelle o allegati”, una breve riflessione sul fenomeno piuttosto frequente anche a livello nazionale del rinvio all’esecutivo di aggiornamenti e modifiche di allegati o tabelle approvati con legge, può delinearsi con riferimento a qualche profilo di criticità.

Dato per assodato che questo modus operandi non è oggetto di contestazione sotto il profilo della legittimazione, che trae origine direttamente dalla legge, né è sintomatico di un generale trasferimento di competenza del potere legislativo ad altro soggetto, ed anzi si può ritenere che appartiene certamente all’esecutivo il compito di adottare provvedimenti su argomenti riconducibili a valutazioni tecniche, tuttavia, qualche perplessità potrebbe emergere circa la diversa giustiziabilità dei provvedimenti.

Infatti, a fronte di una possibile alternanza tra fonte legislativa che approva l’allegato (che a sua volta potrebbe essere sostituito da nuova fonte legislativa in sede di rilegificazione) e fonte amministrativa che provvede alla sua modifica, viene a crearsi una regolamentazione disciplinata da atti sottoposti a regimi giuridici diversi con garanzie diversificate.

Qualche interrogativo potrebbe altresì porsi anche sul piano dell’individuazione della natura, se amministrativa o normativa, della funzione assegnata all’esecutivo nell’ipotesi in cui si debba intervenire su tabelle o allegati di un certo rilievo ai fini dell’applicazione della legge, in particolar modo se non sono fissati criteri e limiti all’esercizio di tale funzione.

Resta inteso che, invece, laddove le modifiche ai contenuti tecnici del provvedimento non assumano profili innovativi o di scelta, il procedimento di semplificazione/delegificazione risulta essere tendenzialmente preferibile e maggiormente adeguato ad assolvere all’evoluzione normativa e tecnologica.

7. I termini per l’adeguamento alla l.r. 14/2017 ed al Regolamento Edilizio Tipo (RET) (comma 7)

Il comma 7 fissa un nuovo termine per l’adeguamento da parte dei comuni alle disposizioni sul contenimento del suolo di cui alla legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 e per l’adeguamento dei propri regolamenti edilizi allo schema di Regolamento Edilizio Tipo (RET) adottato a seguito di Intesa tra il Governo, le Regioni e i Comuni il 20 ottobre 2016.

Se pure la norma appaia a prima vista semplice trattandosi di una mera rideterminazione del termine, c’è invece da chiedersi perché il legislatore abbia utilizzato una formulazione alquanto “discutibile” sotto il profilo della tecnica legislativa.

Nonostante dalla lettura del testo normativo emerga l’intenzione del legislatore di ridisciplinare, come già detto, i tempi per l’adeguamento dei comuni sia con riferimento alla legge regionale sul contenimento del suolo che relativamente allo schema di regolamento edilizio tipo, tuttavia, il rinvio al mero articolo 48 ter della l.r. n. 11/2004 sembra fornire lo spunto per una lettura diversa, derivante dal fatto che tale articolo disciplina esclusivamente l’adeguamento al RET e quindi fa supporre che il testo legislativo sia rivolto solo a tale fattispecie.

Inoltre, l’articolo non contiene alcun termine preciso mentre l’unica norma che rinvia ad un qualche riferimento temporale è quella del comma 4 che dispone: “I Comuni, con apposita variante, adeguano gli strumenti urbanistici comunali alle nuove definizioni uniformi aventi incidenza urbanistica nei tempi e con le procedure previsti, rispettivamente, dall’articolo 13, comma 10 e dall’articolo 14 della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14“Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 ”.

Solo dopo l’analisi dell’articolo 13 della legge regionale n. 14/2017, recante il complesso regime transitorio della normativa sul contenimento del suolo, la questione può trovare un chiarimento. Infatti, il richiamato comma 10 precisa che la scadenza entro la quale i Comuni devono adeguare i propri strumenti urbanistici alle regole sul contenimento del consumo di suolo (e secondo le procedure semplificate contenute nell’articolo 14 della medesima legge) è fissata in diciotto mesi decorrenti dalla pubblicazione sul BUR di uno specifico provvedimento della Giunta regionale che dovrebbe disciplinare la quantità massima di consumo di suolo ammesso nel territorio regionale.

Ne consegue che l’unico termine di riferimento al quale poter applicare la scadenza temporale introdotta dal comma in rubrica è quello contenuto nell’articolo 13, comma 10.

In conclusione, sia pure attraverso un percorso piuttosto tortuoso, il periodo dei diciotto mesi decorrenti dalla pubblicazione del provvedimento giuntale entro i quali i comuni devono adeguarsi alla legge sul contenimento del suolo nonché adeguarsi alle nuove definizioni uniformi contenute nel RET, viene ora sostituito con un’unica data certa che unifica gli adempimenti comunali al 30 settembre.

Va da sé che un intervento normativo di questo tipo desta ovviamente qualche perplessità sotto il profilo della chiarezza normativa, tanto più che, se questa fosse stata l’intenzione del legislatore, si sarebbe potuto intervenire direttamente sull’articolo 13, comma 10.

A mero titolo di curiosità, con riferimento alla sola legge sul contenimento del consumo di suolo, la Giunta regionale aveva già emanato più provvedimenti attuativi. Infatti, con d.g.r. n. 668 del 15 maggio 2018 ha approvato la definizione della quantità massima di consumo di suolo ammesso nel territorio regionale e la sua ripartizione per ambiti comunali o sovracomunali omogenei, mentre, con d.g.r. n. 1325 del 10 settembre 2018 ha definito la quantità massima di consumo di suolo ammesso per i ventinove comuni che hanno trasmesso tardivamente i dati e per i comuni inadempienti. A seguire sono state poi adottate la d.g.r. n. 30 del 15 gennaio 2019 e la d.g.r. n. 355 del 26 marzo 2019, entrambe integrative e modificative delle deliberazioni del 2018.

Tralasciando le delibere successive di modifica e considerando solamente i due provvedimenti principali, cioè la d.g.r. n. 668/2018 (pubblicata il 26 maggio 2018) e la d.g.r. n. 1325/2018 (pubblicata il 25 settembre 2018), i termini entro i quali i comuni avrebbero dovuto adeguarsi ove fosse stata rispettata la decorrenza dei diciotto mesi dalla pubblicazione di tali d.g.r., come previsto nell’originaria formulazione risultano essere, nel primo caso il 26 novembre 2019, mentre nel secondo caso il 25 marzo 2020.

8. L’adozione di atti di indirizzo e misure di attuazione da parte della Giunta regionale (comma 8)

L’ultimo comma dell’art. 17 della legge attribuisce alla Giunta regionale il compito di emanare disposizioni di indirizzo ed applicative per dare attuazione alla legge regionale.

Da una analisi della legge regionale, le disposizioni normative espresse che richiedono un provvedimento giuntale in tal senso ed al cui commento si rimanda, sono rinvenibili:

  • all’articolo 4, commi 1 e 2 che assegnano alla Giunta regionale di adottare entro quattro mesi dall’entrata in vigore della legge un provvedimento di disciplina dei crediti edilizi da rinaturalizzazione;
  • all’articolo 13, comma 2, per il provvedimento che regola la composizione, le modalità di funzionamento e la durata della Commissione per la qualità e la bellezza architettonica, istituita presso la struttura regionale competente in materia di governo del territorio;
  • all’articolo 14, comma 2, per il provvedimento che definisce i tempi, le procedure e l’entità del premio “Qualità e Bellezza Architettonica” assegnato annualmente dal Consiglio regionale ai due migliori progetti realizzati ai sensi della legge regionale;
  • all’articolo 15, comma 1, che contiene una clausola valutativa, ovvero pone in capo alla Giunta l’invio alla competente commissione consiliare di una relazione sullo stato di attuazione della legge.

Ad esse si aggiunge questo comma 8 che, diversamente dagli altri, prevede il previo parere della commissione consiliare competente; si tratta di una previsione normativa che consente alla Giunta regionale di offrire un importante supporto operativo relativamente ai diversi aspetti della legge regionale che richiederanno di essere chiariti, anche ai fini di una corretta lettura delle disposizioni.

Infatti, la particolare complessità della legge regionale pone la necessità di acquisire quegli elementi informativi ed integrativi necessari a superare gli eventuali dubbi interpretativi, in particolar modo derivanti dalla sua concreta applicazione; proprio per tale motivo, similmente a quanto accaduto in passato con le circolari del vecchio “Piano Casa”, il supporto fornito dalla Giunta sarà fondamentale per la sua attuazione.

[1] Il comma 7 dell’art. 9, l.r. n. 14/2009 prevedeva originariamente una durata di soli 24 mesi dall’entrata in vigore della l.r. n. 14/2009 e quindi il piano valeva fino al 10.7.2011; tale termine è stato poi prorogato al 30.11.2013 dall’art. 8, comma 1, l.r. n. 13/2011, al 10 maggio 2017 dall’art. 10, comma 12, l.r. n. 32/2013, al 31.12.2018 dall’art. 65, comma 1, l.r. n. 30/2016 e infine al 31.3.2019 dall’art. 28, comma 1, l.r. n. 43/2018.

[2]Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una – sia pur importante – parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi” (Corte costituzionale, sentenza 45 del 2019).

[3]Qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l’amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l’adozione di queste ultime”.

Commento all’art. 16 l.r. n. 14/2019

di Bruno Barel e Francesco Foltran

ARTICOLO 16
Modifiche dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11

1. Il comma 1 dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, è sostituito dal seguente:
“1. Il comune nell’ambito del piano di assetto del territorio (PAT) individua i criteri per identificare le opere incongrue, gli elementi di degrado, gli interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino della zona agricola, e definisce gli obiettivi di ripristino e di riqualificazione urbanistica, paesaggistica, architettonica, energetica, idraulica e ambientale del territorio che si intendono realizzare e gli indirizzi e le direttive relativi agli interventi da attuare.”.
2. Il comma 2 dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, è sostituito dal seguente:
“2. Il comune con il piano degli interventi (PI) disciplina gli interventi di trasformazione da realizzare per conseguire gli obiettivi di cui al comma 1 ed individua le eventuali opere incongrue, gli elementi di degrado, gli interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino della zona agricola.”.

Sommario: 1. Le modifiche del dettato originario dell’articolo 36 della legge 11/20042. Il coordinamento della legge 14/2019 con la legge 11/20043. Altri modi di utilizzazione di crediti edilizi4. Verso nuove politiche comunali di buon governo del territorio5. La demolizione crea valore

1. Le modifiche del dettato originario dell’articolo 36 della legge 11/2004

La disposizione in commento sostituisce i primi due dei cinque commi nei quali si articola l’articolo 36 della legge urbanistica regionale n. 11/2004, recante la rubrica “Riqualificazione ambientale e credito edilizio”.

Il nuovo dettato normativo si discosta da quello originario essenzialmente in un punto, relativo ai contenuti del PAT e del PI. Era previsto che il PAT identificasse direttamente le opere incongrue, gli elementi di degrado e gli interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino della zona agricola, lasciando al PI la sola disciplina degli interventi. Ora invece si dispone che il PAT si limiti a fissare i criteri di identificazione, rimettendo invece al PI, oltre che la disciplina degli interventi, anche la concreta individuazione dei beni e luoghi ove intervenire.

La nuova ripartizione di compiti fra i due strumenti di pianificazione è certamente più appropriata: sia in rapporto alla natura e finalità proprie dell’uno e dell’altro, in quanto l’individuazione concreta delle opere sulle quali intervenire rappresenta una scelta operativa e contingente, da effettuare tenendo conto anche di altre scelte proprie dello strumento conformativo e flessibile quale è il PI; sia per l’impulso che viene dato ora al credito edilizio quale strumento ordinario nella dinamica delle azioni di cleaning del territorio e degli interventi edilizi sul patrimonio esistente.

2. Il coordinamento della legge 14/2019 con la legge 11/2004

Questa disposizione rende evidente come la legge “Veneto 2050” non sia settoriale e speciale e temporanea, bensì aspiri ad inserirsi nell’alveo “classico” e consolidato della legislazione veneta e ne costituisca semmai evoluzione organica, in un contesto profondamente cambiato.

Il credito edilizio è stato concepito ed inserito nella legislazione regionale già dalla riforma del 2004, proprio con l’articolo 36, ma ha avuto scarso successo per una pluralità di motivi: dalla lentezza del processo di adeguamento della pianificazione locale ai nuovi indirizzi (neppure oggi completato da tutti i Comuni veneti) al sopravvenire della crisi economica e del mercato immobiliare, all’adozione di misure emergenziali come quelle del Piano casa.

Ora si ritorna – gradualmente e prudentemente – a sviluppare le potenzialità di quello strumento, creando condizioni favorevoli all’attivazione di un mercato dei crediti edilizi col favorirne l’assorbimento negli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, su base volontaria e ancora nell’ottica premiale per cui i crediti edilizi configurano un “bonus” incrementale rispetto a quello concesso ex lege.

Il segnale tuttavia è chiaro e indica una strategia di lungo termine, nel nuovo contesto culturale e politico disegnato dalla l.r. n. 14/2017 e dall’articolo 1 della l.r. n. 14/2019, caratterizzato dal freno all’espansione urbana e dall’inversione di tendenza verso un migliore uso del suolo già antropizzato e auspicabilmente anche verso un’azione di cleaning o “pulizia” o rinaturalizzazione del suolo sprecato.

Nel 2004 si osservava, commentando l’articolo 36 l.r. n. 11/2004, che era una delle disposizioni più innovative della riforma urbanistica veneta, diretta ambiziosamente a scardinare uno dei postulati più saldi dell’urbanistica, per cui “nulla si distrugge” in quanto ciò causerebbe perdita di cubatura e quindi distruzione di ricchezza, salvo che nei rari casi in cui il volume utile possa essere recuperato, in loco, come negli interventi di ristrutturazione edilizia pesante, o altrove, per lo più con interventi di ristrutturazione urbanistica o sulla base di piani di recupero o di riqualificazione. A tanta rigidità aveva contribuito quella giurisprudenza che, nell’assimilare a nuova costruzione gli interventi di demolizione integrale e ricostruzione, aveva imposto il rispetto – generalmente impossibile, di diritto e/o di fatto – degli attuali indici e parametri edilizi di zona, comprese le distanze minime da confini ed edifici circostanti.

La reazione, prima in giurisprudenza e poi anche nel TUE, si era limitata alla dilatazione della nozione di ristrutturazione nel senso della sostituzione edilizia, valorizzando la continuità temporale e la sostanziale omogeneità planivolumetrica tra edificio esistente e edificio nuovo: sempre comunque nella prospettiva della conservazione del valore mediante stabilizzazione del volume “dov’era e com’era”, peraltro con esiti spesso insoddisfacenti per tutti, nel senso di cristallizzare volumi in forme e luoghi non più rispondenti all’interesse pubblico attuale – per esempio per la contiguità a strade, a preesistenze, etc. – fingendo di ignorare che l’inevitabile adeguamento dell’opera alle mutate esigenze igieniche, di accessibilità e sicurezza, funzionali etc. genera inevitabilmente un corpus novum ad impatto ben differente da prima.

In mancanza di strumenti idonei a rendere possibile e non pregiudizievole economicamente la mera demolizione di manufatti esistenti, ossia a trasformare – in tutto o in parte – la volumetria esistente e demolita in un “credito” utilizzabile altrove, allora si era cercato di introdurre un principio di mobilità orizzontale dei volumi o eredità volumetrica, con conversione – in tutto o in parte – della volumetria esistente e demolita in capacità volumetrica da utilizzare in altra sede appropriata rimessa alle scelte del PI, ad opera del medesimo soggetto proprietario del bene demolito o anche di terzi cessionari.

Già nel 2004 la matrice dei crediti edilizi era ad ampio spettro: non solo la demolizione di opere incongrue ma anche l’eliminazione degli elementi di degrado, la realizzazione di interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino delle zone agricole, da intendersi come finalizzati al ripristino e alla riqualificazione paesaggistica, architettonica, ambientale. Includeva inoltre una funzione compensativa di acquisizioni para espropriative secondo la previsione dell’articolo 37 l.r. n. 11/2004.

La legge “Veneto 2050” lascia impregiudicata la possibilità per i Comuni di disciplinare e riconoscere crediti edilizi da compensazione, correlati cioè all’acquisizione pubblica o all’imposizione di vincoli pubblicistici su aree private, che continua ad essere disciplinata dall’articolo 37 l.r. n. 11/2004. Lascia altresì impregiudicata la disciplina dei crediti edilizi derivanti dalle altre cause pure indicate dalla legge urbanistica.

La novità è costituita, oltre che dalla disciplina operativa sviluppata ora dall’articolo 4 e dal previsto atto giuntale applicativo, dall’avere previsto che quei crediti edilizi che derivano da iniziative comportanti “rinaturalizzazione” di suolo abbiano un “assorbimento” privilegiato negli interventi di ampliamento o sostituzione del patrimonio edilizio esistente codificati ora dagli articoli 6 e 7.

La novità maggiore consiste dunque nell’avere creato le condizioni per l’attivazione di un mercato specifico per quei crediti edilizi che derivino da rinaturalizzazione, i quali soltanto sono riutilizzabili agevolmente nel recupero diretto del patrimonio edilizio esistente.

Chiara sembra dunque la volontà e la scelta del legislatore – appunto in linea di sviluppo coerente della l.r. n. 14/2017 – di privilegiare in questa sede un determinato tipo di crediti edilizi, per invertire la rotta del consumo di suolo con un’azione di cleaning immediatamente percepibile.

Di qui la specifica disciplina prevista, che orienta sia la genesi – e i limiti di riconoscimento – sia la dinamica gestionale dei crediti edilizi da rinaturalizzazione. Con un’indicazione immediata e netta: non è affatto riconosciuto né attribuito al proprietario degli immobili da demolire un diritto alla utilizzazione della volumetria esistente in altri luoghi, previa trasformazione della medesima in crediti edilizi “volanti”. Si tratta invece di una libera scelta dell’autorità pubblica – della Regione, anzitutto, e poi, nei limiti del binario prefissato, da parte del Comune – fondata sull’accertamento del disvalore pubblico delle opere individuate come degradate e da demolire e consistente in un’incentivazione alla demolizione con rinaturalizzazione del suolo, mediante un aiuto – informa di credito edilizio – a sopportarne i costi.

In altri termini, il riconoscimento di crediti edilizi da rinaturalizzazione trova fondamento nel particolare interesse pubblico a che siano realizzati determinati interventi di cleaning territoriale, individuati dall’autorità pubblica nel PI.

Il credito edilizio non è perciò correlato alla volumetria del bene da demolire, non equivale ad una sua monetizzazione indiretta né circolazione e vendita: cosa che sarebbe oltretutto dissonante col giudizio negativo espresso sullo stato dei luoghi e con gli obblighi e oneri gravanti sulla proprietà immobiliare. Rappresenta piuttosto un contributo incentivante la spesa per provvedere alla rinaturalizzazione dei luoghi.

La legge regionale n. 14/2019 rimanda ad un atto applicativo della Giunta regionale, e poi al PAT, la predeterminazione di criteri e modalità adeguati per uniformare la programmazione e gestione a livello comunale degli interventi, così da lasciare ai Comuni un range ragionevole di valutazione ma entro un contesto non arbitrario che rimanga fedele alle finalità di fondo e ai presupposti teorici dello strumento.

Merita infine richiamare l’attenzione sul disposto del quinto comma dell’articolo 36 l.r. n. 11/2004, regola generale integrativa anche della speciale disciplina della l.r. n. 14/2019, secondo cui le opere da demolire non devono essere abusive, dato che in quel caso la demolizione è doverosa. Si pone in proposito la delicata questione interpretativa se l’esclusione riguardi anche quei casi di edifici abusivi ma a causa di abusi parziali non essenziali per i quali non sia stata comminata una sanzione ripristinatoria bensì pecuniaria. A sanzione irrogata e pagata, si esaurisce il potere pubblico di imporre la modifica dello stato dei luoghi cosicché la situazione di diritto e di fatto che si determina corrisponde sostanzialmente a quella che si ha per immobili edificati legittimamente ma ormai in condizioni di degrado. Anche in quel caso, dunque, si potrebbe configurare un interesse pubblico alla rinaturalizzazione del suolo e quindi una motivazione ragionevole per l’attivazione degli incentivi alla demolizione.

3. Altri modi di utilizzazione di crediti edilizi

La circostanza che i crediti edilizi da rinaturalizzazione siano differenziati e valorizzati dalla legge in commento col premiarne l’assorbimento negli interventi sul patrimonio edilizio esistente disciplinati dagli articoli 6 e 7 non significa che essi non possano essere utilizzati anche in altri modi e contesti.

Nulla impedisce che se ne possa prevedere l’utilizzazione (anche) allo stesso modo dei crediti edilizi derivanti da interventi che non siano qualificabili come di rinaturalizzazione, o di quelli derivanti da compensazione urbanistica. Indicazioni in tal senso sono date già dal quarto comma dell’articolo 36 l.r. n. 11/2004, ove si prevede espressamente la possibilità per il pianificatore locale di attribuire a zone edificabili degli indici differenziati, con una riserva di capacità edificatoria destinata all’uso di crediti edilizi. Una sua nota applicazione si è avuta nel Veneto da parte del piano regolatore generale del Comune di Verona. Indicazioni ulteriori sulle possibili modalità di utilizzazione di crediti edilizi si rinvengono nell’articolo 6 l.r. n. 14/2017 quanto agli interventi di rigenerazione urbana, e implicitamente anche nel successivo articolo 7 sui programmi di rigenerazione urbana sostenibile.

4. Verso nuove politiche comunali di buon governo del territorio

Gli strumenti messi a disposizione delle amministrazioni comunali, in un quadro normativo che si è fatto ora più nitido e articolato, aprono d’ora in avanti maggiori spazi per un’incisiva politica locale di buon governo della trasformazione del tessuto urbano e periurbano e la riqualificazione del territorio in senso paesaggistico ed ambientale, inclusa la qualità architettonica.

Proprio per la loro incisività e per le implicazioni che ne conseguono, tuttavia, questi strumenti dovranno essere usati dalle Amministrazioni, e dagli urbanisti, con prudenza e misura, cercando di governare con gradualità e metodo i trasferimenti di volume in ambiti definiti e controllati, in un dosaggio equilibrato con il ricorso ad altre tecniche di pianificazione.

In questo senso, i contenuti di PAT e PI dovranno essere oggetto di particolare ponderazione, anche nelle loro implicazioni economiche. Si tratta infatti di un serbatoio di potenziali risorse che, se usato con oculatezza, può orientare il mercato senza squilibrarlo, evitando il rischio sia della formazione di nuovi monopoli di crediti edilizi, sia di eccessi di offerta, con diluizione del valore dei crediti edilizi e perdita di incisività nella loro funzione essenziale di mezzi di promozione della rinaturalizzazione dei suoli e di riordino territoriale ed urbano.

Ma non sfugge neppure il pericolo opposto, di una gestione troppo selettiva e restrittiva dell’offerta. Tale pericolo è accentuato dal fatto che anche immobili pubblici possono essere scelti come potenziali generatori di crediti edilizi da rinaturalizzazione (cfr. articolo 5), di talché potrebbe sorgere la tentazione di privilegiare gli immobili pubblici meritevoli di demolizione, ai fini della generazione di crediti edilizi, in modo da alimentare le esangui entrate dei bilanci comunali col ricavato dalla cessione sul mercato di crediti edilizi di matrice pubblica. In proposito, va osservato anzitutto che devono in ogni caso – anche per beni pubblici – sussistere i presupposti fissati dalla legge perché la demolizione di immobili con rinaturalizzazione del suolo sia incentivabile mediante riconoscimento di crediti edilizi, con scelte compiute dal PI ma puntuali e motivate e perciò maggiormente suscettibili di un sindacato di legittimità del PI da parte del giudice amministrativo. In secondo luogo, pur essendo ampio il margine di discrezionalità lasciato ai consigli comunali nella individuazione col PI degli interventi meritevoli di incentivi, spetta loro il potere-dovere di non agire in contrasto con la finalità della legge, che è quella di favorire quanto più possibile la rinaturalizzazione del suolo e perciò di aprire reali spazi di mercato per i potenziali fruitori di crediti edilizi, evitando la creazione di monopoli – anche pubblici – sul versante dell’offerta, e la formazione di prezzi irragionevolmente elevati e tali da disincentivarne l’acquisto e l’uso.

5. La demolizione crea valore

L’attenzione posta sugli incentivi per sostenere i costi di demolizione e di rinaturalizzazione del suolo, quasi che si trattasse di una perdita netta e totale di valore per il bene privato, non deve distrarre da una più profonda riflessione sul valore liberato da questo genere di interventi, ossia sul valore del suolo rinaturalizzato. Se si interviene in zona agricola, non sfuggirà come lo spazio liberato, rimesso in relazione col territorio circostante, riespanda le sue potenzialità produttive agricole e possa comportare un miglioramento anche per l’assetto e le pratiche agricole della più ampia zona nella quale ricade.

Se si interviene in zona di urbanizzazione consolidata, è ancora più evidente come l’aprirsi di uno spazio nel tessuto urbano rappresenti una straordinaria opportunità e occasione di riqualificazione per tutto l’intorno. Un nuovo spazio da destinare a verde o a parcheggio o a parco giochi in un ambito urbano rappresenta in realtà un valore sociale ed anche economico che in molte situazioni può risultare ben maggiore di quello riferibile alla precedente condizione dei luoghi.

Se si analizzano tutti i fattori rilevanti, incluso ad esempio il venir meno del regime tributario gravante sui manufatti, o il venir meno delle responsabilità e degli oneri di varia natura connessi alla proprietà di immobili degradati ed in abbandono, risulta sovente che la riqualificazione dei luoghi può rivelarsi creativa di valore, individuale e collettivo. È in questo senso significativo che si riscontri oggi maggiore attenzione che nel passato per la città inedificata, per gli spazi liberi urbani, per il ruolo del verde come fattore di benessere e di attrattività turistica. Il valore immobiliare sarà sempre meno collegato al metro cubo edificato o edificabile e sempre più alla rispondenza dei luoghi alle attese della comunità, alla capacità di soddisfare valori collettivi.

Commento all’art. 15 l.r. n. 14/2019

di Francesca Martini

ARTICOLO 15
Clausola valutativa

1. Al fine di verificare lo stato di attuazione della presente legge, in particolare con riferimento alla riqualificazione edilizia ed al miglioramento della qualità della vita nelle città, la Giunta regionale, trascorsi tre anni dall’entrata in vigore della legge e successivamente con cadenza biennale, invia alla competente commissione consiliare una relazione sullo stato di attuazione della legge nei comuni indicando, in particolare:
a) l’entità dei crediti edilizi da rinaturalizzazione utilizzati, suddivisi per le tipologie di intervento;
b) gli interventi autorizzati ai sensi degli articoli 6 e 7 con l’indicazione dell’eventuale incremento della prestazione energetica dell’edificio;
c) gli interventi su edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica di cui all’articolo 9;
d) gli interventi a favore dei soggetti disabili e per l’eliminazione delle barriere architettoniche;
e) una stima della consistenza qualitativa e quantitativa della superficie rinaturalizzata;
f) il numero di progetti sottoposti alla Commissione regionale per la qualità e la bellezza architettonica, precisando quanti sono stati segnalati per l’elevata qualità progettuale raggiunta.

L’articolo 15 della legge, analogamente alla disposizione dell’articolo 15 della l.r. n. 14/2017 si prefigge lo scopo verificare periodicamente lo stato di attuazione della legge successivamente alla sua entrata in vigore. Le clausole valutative, come quella in commento, rappresentano il crescente interesse del legislatore verso l’esame degli effetti prodotti in concreto dalle norme emanate: attraverso l’analisi dei dati raccolti, infatti, è possibile cogliere l’impatto che le nuove disposizioni hanno sul territorio e sull’assetto economico e sociale del Veneto.

L’articolo 15 attribuisce alla Giunta regionale il compito di fornire, alla competente commissione consiliare, una serie di informazioni selezionate che servono a conoscere le modalità d’attuazione della legge, ad evidenziare eventuali difficoltà emerse nella fase di applicazione, a valutare le conseguenze che ne sono scaturite per i destinatari diretti e, più in generale, per l’intera collettività regionale.

In particolare la norma in esame prevede che, trascorsi tre anni dall’entrata in vigore della legge in commento, la Giunta regionale invii alla competente commissione consiliare una relazione in cui vengano indicati l’entità dei crediti edilizi da rinaturalizzazione utilizzati, gli interventi edilizi di ampliamento e di riqualificazione, autorizzati ai sensi degli articoli 6 e 7, gli interventi su edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica, gli interventi a favore dei soggetti disabili e per l’eliminazione delle barriere architettoniche, una stima della consistenza qualitativa e quantitativa della superficie rinaturalizzata e il numero di progetti sottoposti alla Commissione regionale per la qualità e la bellezza architettonica.

La prima relazione dovrà essere predisposta “trascorsi tre anni” dall’entrata in vigore della legge. Tale termine potrebbe, a prima vista, sembrare eccessivamente ampio ma, in realtà, esso consente di analizzare l’effettiva operatività di tutti i meccanismi previsti dalle norme e, conseguentemente, la concreta realizzazione degli interventi ivi previsti. Si consideri, infatti, che l’articolo 4, al cui commento si rinvia, stabilisce che l’emanazione del provvedimento regionale che detta la disciplina dei crediti edilizi da rinaturalizzazione debba avvenire entro quattro mesi dall’entrata in vigore della legge. Il medesimo articolo prevede, altresì, che i Comuni approvino la variante urbanistica entro dodici mesi dall’adozione del sopra citato provvedimento di Giunta regionale. Spetta, infine, ai Comuni, qualora non dotati del Registro Comunale Elettronico dei Crediti Edilizi (RECRED), provvedere alla sua istituzione. Ne consegue che, una valutazione circa l’utilizzo dei crediti da rinaturalizzazione, suddivisi per tipologie di intervento, nonché una stima della consistenza qualitativa e quantitativa della superficie rinaturalizzata non possa che esser effettuata dopo l’approvazione di tali fondamentali atti.

La relazione della Giunta regionale al Consiglio deve, inoltre, analizzare le informazioni e i dati relativi agli interventi edilizi di ampliamento, realizzati ai sensi dell’articolo 6, nonché quelli relativi agli interventi di riqualificazione, sostituzione, rinnovamento e densificazione del patrimonio edilizio esistente, disciplinati dall’articolo 7. L’analisi di tali elementi, infatti, risulta di fondamentale importanza per la valutazione complessiva del nuovo provvedimento legislativo che promuove il miglioramento della qualità della vita delle persone all’interno delle città e il riordino urbano. Anche in questo caso l’analisi e la valutazione degli impatti derivanti dagli interventi realizzati, secondo le nuove modalità indicate dai rispettivi articoli, richiede un congruo periodo di tempo.

L’analisi della Giunta regionale deve inoltre tenere conto degli interventi su edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica nonché degli interventi a favore dei soggetti disabili e per l’eliminazione delle barriere architettoniche. La relazione, infine, deve porre attenzione al numero di progetti sottoposti alla Commissione regionale per la qualità e la bellezza architettonica.

Le relazioni sullo stato di attuazione della legge in commento, successive alla prima, avranno cadenza biennale, così come previsto dall’articolo 15, comma 1. In tal modo il Consiglio regionale sarà periodicamente informato sia sull’applicazione concreta di tale legge, sia sull’applicazione della l.r. n. 14/2017, le cui relazioni (successive alla prima) hanno, invece, cadenza triennale ai sensi dell’articolo 15 della medesima legge regionale n. 14/2017. Si tenga, infatti, presente che le nuove disposizioni della legge regionale n. 14/2019 e della l.r. n. 14/2017 si pongono in rapporto di continuità per gli aspetti di rigenerazione e riqualificazione del patrimonio immobiliare e rinaturalizzazione del suolo.

Commento all’art. 14 l.r. n. 14/2019

di Pasqualino Boschetto

ARTICOLO 14
Premio per la qualità e la bellezza architettonica

1. È istituito il premio “Qualità e Bellezza Architettonica” che il Consiglio regionale assegna annualmente, sulla base di una proposta formulata dalla Commissione di cui all’articolo 13, ai due migliori progetti realizzati ai sensi della presente legge, di cui uno elaborato da progettisti con età inferiore ai quarant’anni.
2. La Giunta regionale definisce i tempi, le procedure e l’entità del premio che è assegnato alla committenza.

Molto opportunamente la legge in oggetto istituisce il premio “Qualità e Bellezza Architettonica” (QBA), con cadenza annuale, “… ai due migliori progetti realizzati ai sensi della presente legge, di cui uno elaborato da progettisti con età inferiore ai quarant’anni.” La proposta dei premi viene formulata dalla Commissione istituita ai sensi del precedente art. 13, e questo è un ulteriore compito importante che il legislatore ha voluto attribuire a quest’organo. L’articolo non specifica nel dettaglio i requisiti e la procedura per l’assegnazione del premio, ma molto opportunamente sancisce e rafforza la portata di due obiettivi fondamentali: quello di saldare la riqualificazione/rigenerazione urbana e territoriale alla “qualità e bellezza architettonica”; e quello di attivare un primo atto concreto di “attenzione” nei confronti delle nuove generazioni di progettisti.

Anche in questo caso la l.r. n. 14/2017 può dare un importante apporto di coerenza cognitiva con la legge “Veneto 2050”. Parecchi spunti di riflessione e riferimenti per il lavoro della Commissione, e per la buona riuscita del premio QBA che la stessa Commissione dovrà sviluppare, si possono riscontrare all’art. 9 della l.r. n. 14/2017 (Politiche per la qualità architettonica, edilizia ed ambientale, per la riqualificazione e per la rigenerazione). La lettera a) del comma 2 stabilisce che la Giunta regionale “promuove la qualità edilizia e diffonde la conoscenza delle buone pratiche …”. Ecco quindi che le “buone pratiche” diventano elemento portante per la promozione della qualità edilizia (e architettonica, e urbanistica, e territoriale, e …). Le “buone pratiche”, quindi, dovrebbero diventare strumenti e unità di misura delle proposizioni e delle valutazioni della Commissione. Ma anche, molto correttamente e coerentemente, i premi QBA assegnati dovrebbero diventare essi stessi “buone pratiche”, da divulgare in maniera opportuna ed efficace. In tal senso l’apporto divulgativo e formativo delle professioni tecniche (architetti, ingegneri, ecc.) è assolutamente determinante, per la capillare opera informativa e formativa che ogni ordine/collegio/associazione professionale può svolgere direttamente al suo interno nei confronti dei suoi iscritti (addetti ai lavori).

Un altro aspetto, purtroppo non ancora sufficientemente approfondito e praticato nella nostra regione, è quanto stabilito al punto c) del comma 2 dello stesso art. 9 della l.r. n. 14/2017, dove si stabilisce che la Giunta regionale “promuove e attiva concorsi di idee e laboratori di progettazione in collaborazione con i soggetti qualificati di cui alla lettera a);” (cioè: università, enti di studio e centri di ricerca, associazioni professionali, imprenditoriali e culturali). A questa enunciazione di principio (e di necessità) possiamo solo sperare e adoperarci affinché vengano riconosciuti e condivisi due importanti passaggi: che il “concorso di idee” (generico) venga sostituito (generalmente) dal “concorso di progettazione”; e che il concorso di idee e/o di progettazione venga esso stesso definito “buona pratica”.

È ampiamente dimostrato, in Europa e non solo, che il concorso di idee e/o di progettazione, applicato in maniera diffusa e sistematica, alza notevolmente il livello della qualità architettonica e urbanistica della città e del territorio. In questo caso l’amministrazione pubblica dovrebbe dare per prima l’esempio (e la buona pratica), sottoponendo a concorso di progettazione almeno la maggior parte delle opere pubbliche.

Commento all’art. 13 l.r. n. 14/2019

ARTICOLO 13
Commissione regionale per la qualità e la bellezza architettonica

1. È istituita, presso la struttura regionale competente in materia di governo del territorio, la Commissione per la qualità e la bellezza architettonica, nominata dal Consiglio regionale.
2. La composizione, le modalità di funzionamento e la durata della Commissione sono stabilite con provvedimento di Giunta regionale.
3. La Commissione predispone studi, raccoglie dati e formula proposte finalizzate alla promozione della qualità e della bellezza nella progettazione architettonica, urbanistica e del paesaggio e redige, con cadenza biennale, un rapporto contenente il monitoraggio delle attività svolte e dei risultati conseguiti.
4. La Commissione può svolgere, altresì, funzione consultiva non vincolante per gli interventi di particolare rilevanza sotto il profilo della loro complessità ed incidenza sulla forma urbana, sull’assetto territoriale e sul paesaggio.
5. Per gli interventi di cui al comma 4, per i quali la Commissione ritenga di segnalare l’elevata qualità progettuale raggiunta, i comuni possono ridurre il contributo di costruzione di una percentuale compresa tra un minimo del 20 e un massimo del 50 per cento.

Commento all’art. 13 l.r. n. 14/2019: A. Considerazioni generali e sistematiche  – B. Analisi normativa