Commento all’art. 2 l.r. n. 14/2019

di Dario Meneguzzo e Matteo Acquasaliente

Articolo 2

Definizioni

1. Ai fini della presente legge, si intende per:

a) qualità architettonica: l’esito di un coerente e funzionale sviluppo progettuale, architettonico, urbanistico e paesaggistico che rispetti i principi di utilità e funzionalità, con particolare attenzione all’impatto visivo sul territorio, alla sostenibilità energetica ed ecologica, alla qualità tecnologica dei materiali e delle soluzioni adottate, in un percorso di valorizzazione culturale e identitaria dell’architettura e degli spazi urbani;

b) manufatti incongrui: le opere incongrue o gli elementi di degrado di cui alla lettera f), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio””, individuati, anche su istanza di soggetti privati, dallo strumento urbanistico comunale, secondo quanto previsto dall’articolo 4;

c) rinaturalizzazione del suolo: intervento di restituzione di un terreno antropizzato alle condizioni naturali o seminaturali di cui alla lettera a), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14, attraverso la demolizione di edifici e superfici che hanno reso un’area impermeabile, ripristinando le naturali condizioni di permeabilità, ed effettuando le eventuali operazioni di bonifica ambientale; la superficie così ripristinata deve consentire il naturale deflusso delle acque meteoriche e, ove possibile, di raggiungere la falda acquifera;

d) crediti edilizi da rinaturalizzazione: capacità edificatoria di cui al comma 4, dell’articolo 36, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, riconosciuta dalla strumentazione urbanistica comunale in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14, a seguito della completa demolizione dei manufatti incongrui e della rinaturalizzazione del suolo, secondo quanto previsto dall’articolo 4;

e) fonti energetiche rinnovabili: le fonti energetiche rinnovabili non fossili di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”;

f) materiale di recupero: materiali inerti che hanno cessato la loro qualifica di rifiuti a seguito di specifiche operazioni di recupero, incluso il riciclaggio, e che quindi soddisfano i criteri specifici adottati o da adottare nel rispetto delle condizioni definite dall’articolo 184 ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”;

g) prima casa di abitazione: unità immobiliare con destinazione residenziale, in proprietà, usufrutto o altro diritto reale, in cui l’avente titolo o i suoi familiari risiedono oppure si obblighino a stabilire la residenza e a mantenerla per un periodo non inferiore a cinque anni successivi all’agibilità dell’edificio. Per familiari si intendono il coniuge e i parenti fino al terzo grado in linea retta;

h) ambiti di urbanizzazione consolidata: gli ambiti di cui alla lettera e), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14;

i) prestazione energetica dell’edificio: prestazione energetica risultante dall’applicazione del decreto ministeriale 26 giugno 2015 “Adeguamento del decreto del Ministro dello Sviluppo economico, 26 giugno 2009 – Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici”.

Sommario: 1. Premessa2. Qualità architettonica3. Manufatti incongrui4. Rinaturalizzazione del suolo5. Crediti edilizi da rinaturalizzazione6. Fonti energetiche rinnovabili7. Materiale di recupero8. Prima casa di abitazione9. Ambiti di urbanizzazione consolidata10. Prestazione energetica dell’edificio11. Considerazione conclusive

1. Premessa

Le definizioni sono espressioni indispensabili per cogliere la ratio della legge e per dipanare eventuali dubbi interpretativi e applicativi della stessa. Anche la l.r. n. 14/2019 non fa eccezione a questa regola: l’art. 2 contiene nove definizioni che, in parte, riproducono quelle contenute nella l.r. n. 14/2017 (“Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”), in parte ne specificano alcuni concetti e, infine, ne introducono di nuovi.

Dalla lettura di queste nozioni si desume che la l.r. n. 14/2019 dà nuovo impulso al rinnovamento energetico ed allo sviluppo eco-sostenibile.

2. Qualità architettonica

Nonostante difetti una legge regionale/statale[1] sulla qualità architettonica degli edifici, il legislatore regionale pone molta attenzione a questo profilo che, tuttavia, non deve essere inteso in senso restrittivo, ovvero limitato alle mere modalità progettuali e costruttive dell’immobile. Il concetto di qualità architettonica, infatti, è onnicomprensivo, spaziando dalle tecniche costruttive scrictu sensu intese, alla bioedilizia, all’integrazione dell’edificato con il paesaggio ed il contesto urbano circostante, alla valorizzazione energetica. Trattasi, in definitiva, di un concetto c.d. “filosofico” di ampio respiro, che impone una nuova cultura del costruire, come conferma il suo richiamo nelle finalità della legge (cfr. art. 1).

Giova ricordare che questa definizione, per essere concretamente intesa nella sua effettiva portata innovativa, deve essere necessariamente coordinata con quella contenuta nell’art. 9, c. 1 della l.r. n. 14/2017, rubricato «Politiche per la qualità architettonica, edilizia ed ambientale, per la riqualificazione e per la rigenerazione» [2].

Per dare concreta attuazione a tale obiettivo prefissato dalla legge, è indispensabile un dialogo tra i committenti e i loro professionisti e gli enti interessati (Comune, Provincia, Regione, SS.BB.AA.), tramite i rispettivi organi (Commissione edilizia, Commissione locale per il paesaggio, Conferenza di servizi), che dovranno ricercare professionisti competenti in materia.

A nostro parere la qualità architettonica non esige un rigido appiattimento su schemi tradizionali e collaudati, perché anche un edificio moderno, a certe condizioni, può valorizzare dal punto di vista visivo un territorio con caratteristiche tradizionali. L’importante è trovare il giusto punto di equilibrio tra i valori in gioco. In ogni caso si tratta di una valutazione più tecnica che giuridica.

3. Manufatti incongrui

L’articolo 2, comma 1, lett. b) della legge rinvia alla definizione di opere incongrue contenuta nella legge sul contenimento di consumo di suolo, aggiungendo solo che i manufatti incongrui sono individuati, anche su istanza di soggetti privati, dallo strumento urbanistico comunale, secondo quanto previsto dall’articolo 4, che disciplina la procedura di individuazione mediante una variante urbanistica.

La definizione di manufatti incongrui o di elementi di degrado è contenuta nell’art. 2, c. 1, lett. f) della l.r. Veneto n. 14/2017: «gli edifici e gli altri manufatti, assoggettabili agli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale di cui all’articolo 5, che per caratteristiche localizzative, morfologiche, strutturali, funzionali, volumetriche od estetiche, costituiscono elementi non congruenti con il contesto paesaggistico, ambientale od urbanistico, o sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza». Come si desume facilmente dalla lettura della norma, essa si riferisce a tutte le costruzioni (edifici e non) che sono in contrasto con l’ambiente circostante in ragione sia della loro struttura edilizia obsoleta, sia del grado di abbandono e di vetustà, sia del pericolo per l’ambiente e/o la sicurezza privata/pubblica. La l.r. n. 14/2019 attribuisce ai Comuni, anche su impulso dei soggetti privati proponenti, il compito di classificare, in un apposito elenco normato dall’art. 4, i manufatti incongrui che devono essere demoliti per generare i crediti edilizi da rinaturalizzazione, come previsto nelle finalità dell’art. 1. A tal proposito, l’art. 16 attribuisce alla normativa del PAT e del PI/PRG la funzione, rispettivamente, di fissare i criteri direttivi e di individuare specificatamente queste «opere incongrue».

L’art. 5, inoltre, statuisce che le somme introitate dagli enti per la cessione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione devono essere utilizzate, prioritariamente, per la demolizione dei manufatti incongrui; altre disposizioni sulle opere incongrue si rinvengono anche negli artt. 5, 9 e 10 della l.r. n. 14/2017.

4. Rinaturalizzazione del suolo

Tale nozione rileva in particolare per i crediti edilizi da rinaturalizzazione, disciplinati dall’articolo 4 della legge.

L’articolo 2, comma 1, lettera c), la definisce mediante un rinvio alla nozione di “superficie naturale e seminaturale” contenuta nella legge sul contenimento del consumo del suolo, che viene però integrata con alcune specificazioni che riguardano la bonifica ambientale e il deflusso delle acque meteoriche. La legge vuole che la rinaturalizzazione sia un dato effettivo e concreto e non puramente estetico e apparente: la superficie si può considerare ripristinata solo ove consenta il naturale deflusso delle acque meteoriche e, se le condizioni del sottosuolo lo rendono possibile, anche di raggiungere la falda acquifera.

Per poter generare i crediti edilizi da rinaturalizzazione, la demolizione dei manufatti incongrui di cui alla lett. b) deve comportare l’effettiva naturalizzazione o semi-naturalizzazione del suolo, che l’art. 2, c. 1, lett. a) della l.r. n. 14/2017 individua come: “tutte le superfici non impermeabilizzate, comprese quelle situate all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata e utilizzate, o destinate, a verde pubblico o ad uso pubblico, quelle costituenti continuità ambientale, ecologica e naturalistica con le superfici esterne della medesima natura, nonché quelle destinate all’attività agricola”.

Praticamente, l’eliminazione del manufatto incongruo o della superficie impermeabilizzata di degrado, deve comportare il ripristino effettivo e concreto delle pregresse ed originarie condizioni naturali di permeabilità del terreno, ovvero permettere e garantire nel tempo il normale deflusso nel sottosuolo delle acque meteoriche e, ove possibile, il raggiungimento della falda acquifera.

A tale scopo il legislatore regionale indica, a titolo esemplificativo, le «eventuali operazioni di bonifica ambientale»: ciò significa che è onere dell’attuale proprietario del sito degradato[3] ed inquinato porre in essere tutte le misure previste dalla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006 (c.d. T.U. ambiente) per eliminare il problema di inquinamento del sito. La norma, quindi, attribuisce al proprietario del manufatto incongruo o dell’elemento di degrado da rimuovere l’obbligo giuridico di verificare, preventivamente, che il sottosuolo sia esente da inquinamento; in caso contrario, infatti, egli avrà l’onere di effettuare la bonifica dell’area, come normata dall’art. 240, lett. p) T.U. ambiente[4], al fine di ottenere l’integrale ripristino ambientale, come definito dall’art. 240, lett. q) T.U. ambiente[5].

In mancanza di tali adempimenti, quindi, il soggetto titolare del manufatto incongruo non potrà usufruire dei crediti da rinaturalizzazione dallo stesso generato; parimenti, se dopo la rinaturalizzazione si scoprissero nuovi e/o diversi fenomeni di inquinamento del sottosuolo, è logico supporre che l’applicazione del principio comunitario «Chi inquina paga», come interpretato dalla giurisprudenza italiana, permetta di circoscrivere le responsabilità dei vari soggetti coinvolti. L’attuale proprietario del fondo inquinato, infatti, dovrà porre in essere le misure emergenziali di cui all’art. 240, c. 1, lett. m) e n) del d. lgs. n. 152/2006, fermo restando la responsabilità esclusiva dell’autore dell’inquinamento, in caso di responsabilità colposa o dolosa accertata dall’Autorità competente, ex art. 242 del d.lgs. n. 152/2006, quelle concorrenti e/o sostitutive del proprietario c.d. incolpevole o degli altri soggetti interessati, ex art. 245 del d.lgs. n. 152/2006 e, infine, quelle residuali dell’Amministrazione ex art. 250 del d.lgs. n. 152/2006.

Conclusivamente, si ricorda che l’art. 4, c. 1, lett. c) attribuisce alla Giunta regionale del Veneto il potere di redigere «le modalità per accertare il completamento dell’intervento demolitorio e la rinaturalizzazione» ed al Comune, ai sensi dell’art. 4, c. 2, lett. a), n. 2), il compito di approvare una variante urbanistica al PI/PRG che individui i manufatti incongrui da demolire per ragioni di pubblico interesse, puntualizzando i «costi di demolizione e di eventuale bonifica, nonché di rinaturalizzazione», nonché, ai sensi dell’art. 4, c. 2, lett. b), esplicitando la «definizione delle condizioni cui eventualmente subordinare gli interventi demolitori del singolo manufatto e gli interventi necessari per la rimozione dell’impermeabilizzazione del suolo e per la sua rinaturalizzazione».

Altre disposizioni che trattano il tema della rinaturalizzazione del suolo si rinvengono negli artt. 9 e 15.

5. Crediti edilizi da rinaturalizzazione

L’oggetto del “credito edilizio” è la cubatura edificabile connaturata alla proprietà (cfr. sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980), ed esso, ai sensi dell’art. 2643, n. 2 bis c.c., deve essere trascritto nei Registri immobiliari per essere opposto ai terzi.

Trattasi, in sostanza, di una quantità volumetrica riconosciuta a seguito di interventi di demolizione di manufatti incongrui, eliminazione degli elementi di degrado, realizzazione degli interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica, architettonica ed ambientale, in applicazione delle disposizioni contenute negli strumenti urbanistici.

A livello regionale, i crediti edilizi da rinaturalizzazione sono previsti dall’art. 5 della l.r. n. 14/2017, che ne attribuisce il loro riconoscimento al PI, in conformità all’art. 36, c. 3 della l.r. n. 11/2004, secondo cui: «La demolizione delle opere incongrue, l’eliminazione degli elementi di degrado, o la realizzazione degli interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica, architettonica, energetica, idraulica e ambientale di cui al comma 1, e gli interventi di riordino delle zone agricole di cui al comma 5 bis, determinano un credito edilizio», da leggersi in combinato disposto con il successivo comma 4: «Per credito edilizio si intende una capacità edificatoria riconosciuta a seguito della realizzazione degli interventi di cui al comma 3 ovvero a seguito delle compensazioni di cui all’articolo 37. I crediti edilizi sono annotati nel Registro Comunale Elettronico dei Crediti Edilizi (RECRED) di cui all’articolo 17, comma 5, lettera e), e sono liberamente commerciabili. Il PI individua e disciplina gli ambiti in cui è consentito l’utilizzo dei crediti edilizi, mediante l’attribuzione di indici di edificabilità differenziati, ovvero di previsioni edificatorie localizzate, in funzione degli obiettivi di cui al comma 1, ovvero delle compensazioni di cui all’articolo 37, nel rispetto dei parametri e dei limiti di cui all’articolo 13, comma 1, lettera k)».

I crediti edilizi da rinaturalizzazione costituiscono un bonus edificatorio, espresso in termini di volume o superficie a seconda dei casi e delle scelte dell’Amministrazione coinvolta, ex art. 4, c. 1 lett. a), che consegue alla completa ed integrale demolizione del manufatto incongruo ed alla rinaturalizzazione del suolo, come definito dalla successiva lettera d).

La disciplina puntuale ed esaustiva dei crediti edilizi da rinaturalizzazione, invece, è contenuta nell’art. 4, ma essi vengono trattati anche negli artt. 5, 6, 7, 8, 9, 12 e 15.

6. Fonti energetiche rinnovabili

La l.r. n. 14/2019 introduce, per la prima volta, questa definizione che rinvia al d. lgs. n. 28/2011 “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE” per individuare, nello specifico, le fonti energetiche rinnovabili non fossili.

Il suddetto testo normativo ha il compito di definire gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e di quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti. Si sofferma anche sulle norme relative ai trasferimenti statistici tra gli Stati membri, ai progetti comuni tra gli Stati membri e con i paesi terzi, alle garanzie di origine, alle procedure amministrative, all’informazione e alla formazione, nonché all’accesso alla rete elettrica per l’energia da fonti rinnovabili, fissando i criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi (cfr. art. 1), da leggersi assieme con i quattro Allegati alla legge.

L’utilizzo delle suddette fonti energetiche rinnovabili è fortemente incentivato dalla l.r. n. 14/2019, che ne richiede la loro installazione per poter usufruire sia dell’ampliamento del 15% previsto dall’art. 6, c. 1, lett. b), sia del bonus del 5% previsto dall’Allegato A richiamato dall’art. 6, c. 3, lett. m), sia per realizzare l’intervento di riqualificazione del tessuto edilizio con incremento del 25% di cui all’art. 7, c. 1, lett. b).

Giova ricordare che, rispetto alla l.r. Veneto n. 14/2009 (cfr. art. 7), non si rinvengono più gli sgravi fiscali-contributivi connessi all’installazione delle suddette fonti energetiche sull’immobile ampliato; tuttavia, come visto supra, la percentuale del bonus edificatorio passa dal 10% al 15%.

Infine, l’art. 15 prevede il monitoraggio regionale anche di tali impianti.

7. Materiale di recupero

Anche la definizione di materiale di recupero è innovativa: essa rinvia alla descrizione contenuta nell’art. 184 ter del d. lgs. n. 152/2006 rubricato «Cessazione della qualifica di rifiuto»[6], come interpretato dalla giurisprudenza[7].

L’utilizzo del materiale di recupero comporta un bonus edificatorio del 5% previsto dall’Allegato A sia nel caso di ampliamento di cui all’art. 6, c. 3, lett. d), sia nell’ipotesi di demolizione e ricostruzione dell’art. 7, c. 2, lett. c).

8. Prima casa di abitazione

La definizione di prima casa di abitazione è indispensabile per poter usufruire degli interventi edificatori previsti dagli artt. 6 e 7 nelle zone agricole (cfr. art. 8) e per poter ottenere alcuni sgravi fiscali-contributivi (cfr. art. 10). A contrariis si desume che, in via generale ed ordinaria, gli interventi de quibus possono essere realizzati su tutti gli edifici esistenti alla data di entrata in vigore della legge (06.04.2019), indipendentemente dalla destinazione d’uso (cfr. art. 3) ed a prescindere dalla destinazione a prima casa di abitazione dell’avente titolo.

Merita sottolineare che l’attuale definizione di «familiari» è più restrittiva di quella contenuta nell’art. 1 bis, c.1, lett. b) della l.r. Veneto n. 14/2009, dato che non comprende più né i parenti in linea collaterale né gli affini entro il secondo grado.

Parimenti, rispetto alla previgente formulazione dell’art. 1 bis, c. 1, lett. a) della l.r. n. 14/2009, la prima casa di abitazione prevede l’obbligo di mantenere la residenza per almeno cinque anni dall’agibilità dell’immobile, ora SCIA agibilità. È logico supporre che tale limite temporale debba applicarsi anche a coloro che già possiedono ivi la residenza, al fine di evitare facili elusioni della normativa. Come si desume dall’art. 10, c. 3 e 4, la violazione di quest’obbligo di legge legittima il Comune a richiedere l’intero versamento del contributo di costruzione, maggiorato del 200%.

9. Ambiti di urbanizzazione consolidata

L’ambito di urbanizzazione consolidata è delineato dall’art. 2, c. 1, lett. e) della l.r. n. 14/2017: «l’insieme delle parti del territorio già edificato, comprensivo delle aree libere intercluse o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa, delle dotazioni di aree pubbliche per servizi e attrezzature collettive, delle infrastrutture e delle viabilità già attuate, o in fase di attuazione, nonché le parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato e i nuclei insediativi in zona agricola. Tali ambiti di urbanizzazione consolidata non coincidono necessariamente con quelli individuati dal piano di assetto del territorio (PAT) ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera o), della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11». In attuazione di tale disposizione, quasi tutti i Comuni del Veneto, ai sensi dell’art. 13, c. 9 della l.r. n. 14/2017, hanno provveduto a circoscrivere tali aree con una delibera del Consiglio comunale o della Giunta comunale, prontamente inviata alla Regione Veneto entro il 25.08.2017.

Solamente pochi Comuni hanno omesso di adempiere a tale richiesta: in tal caso la Regione ha provveduto sua sponte, approvando la d.g.r. n. 1325 del 25.09.2018 (pubblicata sul B.U.R. n. 97 del 25.09.2018).

In seguito, l’Allegato B, punto 3 (pagg. 12-13 e figura 3.1) della d.g.r. n. 668 del 15.05.2018 (pubblicata sul B.U.R. n. 51 del 25.05.2018) ha dettato alcune indicazioni pratico-operative per uniformare, a livello regionale, l’individuazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata effettuata, a monte, dai singoli Comuni – e indicati con un tratteggio nella figura 3.1. sotto riportata –, al fine di ottenere un’effettiva omogeneità di disciplina tra i vari Comuni del Veneto, secondo la seguente tabella riepilogativa a cui gli enti si devono adeguare, adottando un’apposita variante urbanistica, ex art. 48, c. 1-ter l.r. n. 11/2004 ed artt. 4, c. 2, lett. a) e 13, c. 10 l.r. n. 14/2017, entro il termine del 31.12.2019, come prorogato dall’art. 17, c. 7, rispetto al previgente del 25.11.2019. Nella tabella gli ambiti di urbanizzazione consolidata sono indicati dalla linea tratteggiata.

Tanto esposto, l’esatta individuazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata è fondamentale per applicare correttamente la l.r. Veneto n. 14/2019 poiché, come previsto dall’art. 3, c. 1, solo all’interno di dette zone è ammesso realizzare l’ampliamento di cui all’art. 6 e l’intervento di riqualificazione edilizia di cui all’art. 7, fatta salva la disciplina “derogatoria” per le zone agricole di cui all’art. 8.

Giova ricordare che l’art. 11, c. 5 attribuisce alcuni poteri derogatori e discrezionali al Comune, con riferimento alle cessioni di standard collegati agli interventi di demolizione e ricostruzione degli immobili.

10. Prestazione energetica dell’edificio

Parimenti nuova si rivela l’ultima definizione dell’art. 2, che rinvia alle disposizioni del decreto interministeriale del 26.05.2015 “Adeguamento linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici”, che si pone la finalità di favorire l’applicazione omogenea e coordinata dell’attestazione della prestazione energetica degli edifici e delle unità immobiliari su tutto il territorio nazionale.

Questa definizione, al pari delle lettere e) fonti energetiche rinnovabili e f) materiale di recupero, permette di ottenere i bonus edificatori previsti dalla normativa. Nello specifico, la qualità energetica dell’intero edificio è indispensabile per realizzare sia l’ampliamento del 15% previsto dall’art. 6, c. 1, lett. a) (Classe A1 della parte ampliata) o l’ulteriore bonus del 15% di cui all’Allegato A previsto dall’art. 6, c. 3, lett. b (Classe A4 dell’intero edificio), sia per l’aggiuntivo incremento del 10% previsto dall’art. 6, c. 5 (Classe A4 dell’intero edificio, purché l’intervento venga realizzato entro il 31.12.2020).

Analogamente, per quanto concerne l’intervento di riqualificazione del tessuto edilizio, l’adeguamento energetico comporta un incremento del 25% previsto dall’art. 7, c. 1, lett. a) (Classe A1 dell’intero edificio), sia per l’ulteriore bonus del 15% di cui Allegato A richiamato dall’art. 7, c. 2, lett. b) (Classe A4 dell’intero edificio), sia per l’aggiuntivo incremento del 20% previsto dall’art. 7, c. 4 (Classe A4 dell’intero edificio, purché l’intervento venga realizzato entro il 31.12.2020).

11. Considerazione conclusive

Da quanto esposto si deduce che la l.r. Veneto n. 14/2019 si pone davvero l’obiettivo di migliorare la qualità architettonica dell’edificato già esistente e di ottimizzare quella futura, utilizzando numerosi incentivi di c.d. green economy.

Desta un po’ di perplessità il fatto che, se da un lato vi è la finalità concreta di densificare l’ambito di urbanizzazione consolidata, dall’altro permane la possibilità – seppur notevolmente ristretta rispetto alla previgente l.r. n. 14/2009 la quale, come noto, permetteva di realizzare un ampliamento staccato sino a 200 metri dall’esistente – di consumare suolo anche in zona agricola e, soprattutto, di sfruttare notevoli bonus edificatori, aggiuntivi rispetto a quelli c.d. ordinari, in deroga al consumo del suolo.

In definitiva, nonostante si tratti di una legge certamente innovativa ed allineata con l’obiettivo europeo di consumo del suolo pari a zero nel 2050, forse, si sarebbe potuto osare di più.

Invero, si sarebbero potute negare definitivamente le capacità edificatorie delle zone agricole, ad eccezione delle aree di coloro che hanno i presupposti soggettivi ed oggettivi di imprenditore agricolo e, parimenti, si sarebbero potute imporre le ulteriori innovazioni energetiche e/o costruttive di cui all’Allegato A senza però attribuire altri vantaggi edificatori in deroga, ma semmai sgravi fiscali-contributivi.

In ogni caso, la linea tracciata dalla Regione è chiara e conforme al diktat europeo ed al sentire sociale.

 

[1] In realtà, durante la XV Legislatura (2006-2008), era stato presentato un disegno di legge recante la «Legge Quadro Sulla Qualità Architettonica».

[2] L’art. 9, c. 1 della l. r. n. 14/2017 recita: «La qualità architettonica si persegue mediante una progettazione che, recependo le esigenze di carattere funzionale, formale, paesaggistico, ambientale e sociale poste alla base dell’ideazione e della realizzazione dell’opera, garantisca l’armonico inserimento dell’intervento nel contesto urbano o extraurbano, contribuendo al miglioramento dei livelli di vivibilità, fruibilità, sicurezza, decoro e garantendone il mantenimento nel tempo».

[3] La giurisprudenza sostiene che il c.d. proprietario incolpevole del sito inquinato ha l’obbligo di adottare esclusivamente le misure emergenziali di messa in sicurezza di emergenza e di messa in sicurezza operativa, a condizione che la spesa possa essere sostenuta senza conseguenze economiche eccessive, mentre quelle ordinarie di bonifica spettano – di regola – al responsabile colposo o doloso dell’inquinamento o, se tale soggetto non è facilmente individuabile, all’Amministrazione competente: “Va ribadito che la pubblica amministrazione non può imporre al proprietario di un’area contaminata, che non sia (anche) l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di attuare le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica di cui all’art. 240 comma 1 lett. m) e p), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253 del medesimo decreto in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare (cfr. TAR Toscana, sez. II – 19/6/2018 n. 882 e la giurisprudenza richiamata). Come evidenziato da TAR Veneto, sez. III – 22/3/2018 n. 333, “Da una piana lettura degli articoli 240, lettere i), m) ed n), 242 e 245, comma 2, del D.Lgs. n.152/2006, alla luce del principio “chi inquina paga” espresso dall’art. 191, par. 2, del TFUE e ribadito dall’art. 239, comma 1, del medesimo D.Lgs. n.152/2006, emerge infatti che il solo soggetto responsabile dell’inquinamento è tenuto, ai sensi del citato 242, ad eseguire (oltre alle misure di prevenzione, la cui definizione è contenuta nella lettera i) del citato articolo 240) anche le misure di messa in sicurezza di emergenza e le opere di bonifica. Il proprietario dell’area che non sia responsabile dell’inquinamento deve invece provvedere, ai sensi del menzionato comma 2 dell’art. 245, a dare comunicazione dell’inquinamento alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente competente, nonché ad attuare unicamente le “misure di prevenzione”, con esclusione delle più gravose misure costituite dalla messa in sicurezza d’emergenza e dalla bonifica (il cui obbligo di attuazione grava, in entrambi i casi, solamente sul soggetto responsabile dell’inquinamento)”” (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 09.10.2018, n. 956).

[4] L’art. 240, lett. p) del d. lgs. n. 152/2006 così la definisce: «l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)».

[5] L’art. 240, lett. q) del d. lgs. n. 152/2006 così lo definisce: «gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici».

[6] L’art. 184 ter del d. lgs. n. 152/2006 recita: “1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

  1. a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
  2. b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
  3. c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
  4. d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
  5. L’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto.
  6. Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le

disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l’art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione.

  1. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n 209, dal decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e dal decreto legislativo 120 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti.
  2. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.

[7] La giurisprudenza considera “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore abbia l’intenzione di disfarsi: “Ai sensi dell’art.183 del D.lgs. n.152/2006, comma 1, lett.a), è “rifiuto”: “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.

In relazione alla nozione di rifiuto” la giurisprudenza ritiene che in essa rientri qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi, in qualsiasi maniera detta operazione sia compiuta (Corte di Giustizia, sez. V, 15 giugno 2000; TAR Lombardia Milano sez. IV, 27 febbraio 2014, n.534).

In particolare, la nozione di rifiuto non dipende dalla natura del materiale (che abbia o meno valore economico, che sia riutilizzabile o meno), né dall’uso che terzi faranno del materiale stesso una volta che questo sia uscito dalla sfera di controllo del produttore/detentore, ma esclusivamente dalla volontà di quest’ultimo di non voler più utilizzare il materiale stesso, secondo la sua funzione economica di origine (Cass. Pen. sez. III, 20 gennaio 2015, n.29069).

A supporto di quanto appena detto, l’art. 184-ter del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce, al primo comma, che un rifiuto cessa di essere tale, quando è sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo (ma non prima).

Il successivo comma 5 dello stesso art. 184-ter prevede chela disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.

È stato, altresì, affermato cheRientrano nella nozione di “rifiuto”, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 22 del 1997 (come risultante dalla interpretazione autentica effettuata dall’art. 14 della L. n. 187 del 2002) tutti i materiali e i beni di cui il soggetto produttore “si disfi”, con ciò intendendo qualsiasi comportamento attraverso il quale, in modo diretto o indiretto, una sostanza un materiale o un bene siano avviati e sottoposti ad attività di smaltimento o anche di “recupero”, e che sia da altri recuperato e messo in riserva, con esclusione del solo deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui i materiali o beni sono prodotti, non rilevando ad escludere la natura di rifiuto del bene l’intenzione di chi effettua il recupero, o anche la reale possibilità di reimpiego dei materiali nel ciclo produttivo (Cassazione civile sez. II 13 settembre 2006 n. 1964): nella fattispecie decisa dalla sentenza citata, la Corte Suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto costituissero rifiuti i materiali ferrosi stoccati presso una ditta di recupero e destinati parzialmente a recupero previa separazione(TAR Torino sez. II, 4 dicembre 2012, n.1303)” (TAR Sicilia, Catania, sez. I, 12.06.2018, n. 1253).

Commento all’art. 1 l.r. n. 14/2019

di Bruno Barel e Danilo Gerotto

Art. 1 Finalità.

1.   La Regione del Veneto, nell’ambito delle finalità di contenimento del consumo di suolo nonché di rigenerazione e riqualificazione del patrimonio immobiliare, promuove misure volte al miglioramento della qualità della vita delle persone all’interno delle città e al riordino urbano mediante la realizzazione di interventi mirati alla coesione sociale, alla tutela delle disabilità, alla qualità architettonica, alla sostenibilità ed efficienza ambientale con particolare attenzione all’economia circolare e alla bioedilizia, alla valorizzazione del paesaggio, alla rinaturalizzazione del territorio veneto e al preferibile utilizzo agricolo del suolo, alla implementazione delle centralità urbane, nonché alla sicurezza delle aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica.

2.   Per le finalità di cui al comma 1, la presente legge, in particolare, promuove politiche per la densificazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, mediante la demolizione di manufatti incongrui e la riqualificazione edilizia ed ambientale, contemplando specifiche premialità e incrementi volumetrici connessi all’utilizzo di crediti edilizi da rinaturalizzazione.

Sommario: 1. Sulla rilevanza delle disposizioni relative alle finalità delle leggi2. Finalità e princìpi della disposizione in commento3. Regole e politiche 4. Oltre l’urbanistica

1. Sulla rilevanza delle disposizioni relative alle finalità delle leggi

Le disposizioni dedicate alle finalità delle leggi, che nella tecnica legislativa più recente sono diventate abituali, generalmente non attraggono l’attenzione dei lettori, che è calamitata dalle regole operative dedicate a diritti e divieti. In realtà esse sono tutt’altro che inutili o marginali, perché rappresentano quella che si potrebbe definire la chiave di lettura di un testo normativo.

Infatti, disvelano le scelte di politica legislativa che hanno ispirato e motivato il legislatore ad innovare il tessuto normativo vigente e ne consentono così il controllo democratico, offrendo al contempo un parametro di giudizio, nell’immediato e per il futuro, sull’adeguatezza della regolazione rispetto agli obiettivi enunciati.

Sul piano dell’interpretazione, inoltre, esse anticipano ed esplicitano il filo conduttore che lega fra loro le singole disposizioni susseguenti indicandone la ratio; diventano così un importante parametro di riferimento in sede di interpretazione per orientare il significato da attribuire alle proposizioni normative nella direzione più coerente con le finalità dichiarate.

Né infine può sottovalutarsi la loro utilità sul piano sistematico, non solo per agevolare il coordinamento interno alla legge stessa fra le singole prescrizioni ma anche per ricostruire le relazioni che intercorrono fra quella specifica legge e le altre che già disciplinano la materia in modo da agevolare la ricostruzione ordinata del complessivo assetto normativo e farne trasparire le linee evolutive.

2. Finalità e princìpi della disposizione in commento

Le considerazioni generali svolte al punto precedente trovano conferma nell’analisi dell’articolo 1. Non è casuale che la legge esordisca coll’enunciare non princìpi bensì finalità. I princìpi sono dati per presupposti, e restano quelli – qualificati come princìpi generali – dell’articolo 1 della legge regionale n. 14/2017 sul contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana. È dunque su quella legge fondamentale – non già sulle precedenti leggi speciali riguardanti il c.d. Piano casa – che il legislatore ha inteso incardinare questo nuovo intervento, mostrando di avere voluto porre fine all’esperienza delle misure emergenziali temporanee e settoriali – volte a promuovere interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente – maturata nell’ultimo decennio e di avere ritenuto maturi i tempi per mettere a sistema il meglio di quell’esperienza entro un più ampio contesto organico e secondo un disegno ancora più ambizioso.

In effetti, davvero ambiziosa si rivela la strategia di far confluire il torrente del Piano casa – che pure ha alimentato negli anni della crisi immobiliare le falde esauste dell’edilizia minore, facendo sopravvivere almeno una parte della filiera produttiva e professionale legata a quel settore economico – nell’alveo più largo e meglio arginato di un fiume a regime non più torrentizio. Non viene rinnegata l’esperienza del Piano casa, semmai viene fatta evolvere in una disciplina a regime, quindi stabile e operante a tempo indeterminato, che continua a premiare in termini ormai essenzialmente quantitativi, ossia volumetrici, quel processo di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente che finisce quasi col rappresentare il pendant della contrazione del consumo di suolo ancora allo stato naturale o semi naturale imposto dalla l.r. n. 14/2017 e dalle sue misure di attuazione.

Si potrebbe dire che questa legge è l’implementazione della seconda parte della riforma del 2017, nel senso che sviluppa ed articola le misure di valorizzazione dell’area di urbanizzazione consolidata, sia in termini di densificazione dell’edificato che di riqualificazione edilizia ed ambientale, e che completa la politica per il contenimento del consumo di suolo, affiancando alla riduzione delle possibilità di espansione edificatoria misure di cleaning volte addirittura all’inversione di tendenza, ossia alla liberazione di suolo dalla sua indebita occupazione con sovrastrutture in degrado.

3. Regole e politiche

Si coglie una certa consapevolezza del fatto che le regole non bastano, da sole, a generare processi di cambiamento sostanziale dello status quo consolidato, ove non siano accompagnate e rafforzate da politiche attive. Così, al secondo comma si dà opportunamente atto che questa legge intende anche attivare delle “politiche” per il conseguimento dei suoi obiettivi, mediante un insieme di misure, azioni e risorse da parte di tutti i protagonisti, pubblici e privati, che concorrono al buon governo del territorio.

Un ruolo decisivo è ora riconosciuto ai Comuni, chiamati a far funzionare la maggiore delle innovazioni introdotte da questa riforma, lo strumento dei crediti edilizi da rinaturalizzazione. Spetta ai Comuni, nei loro strumenti urbanistici, individuare i manufatti e le infrastrutture in rovina che pregiudicano territorio e paesaggio, concedere dei crediti edilizi per incentivarne la demolizione con rinaturalizzazione del suolo concorrendo così a ridurre gli oneri a carico della proprietà, registrarli e pubblicizzarli, individuare zone di atterraggio dove essi possono o debbono essere riutilizzati. Può trattarsi di zone dove il recupero del patrimonio edilizio esistente consente di assorbire anche crediti edilizi, in aggiunta al bonus comunque concesso su altri presupposti dalla legge, oppure di zone soggette ai piani attuativi e ai programmi di riqualificazione rigenerazione istituiti dagli articoli 5-6-7 della legge regionale n. 14/2017.

L’incentivazione alle demolizioni affidata all’attribuzione di crediti edilizi può essere sorretta anche da altro genere di misure, di tipo finanziario, ove sia alimentato e attivato il Fondo regionale per la rigenerazione urbana sostenibile e per la demolizione istituito dalla deliberazione della Giunta regionale n. 1133 del 31 luglio 2018, che mette a disposizione risorse finanziarie per ridurre gli oneri da demolizione. La prima iniziativa posta in essere dalla Giunta regionale con il bando approvato con la d.g.r. n. 1133/2018 ha riscosso notevole successo, anche fra gli Enti territoriali, a riprova che anche i soggetti pubblici ne hanno necessità e possono dare impulso al processo di recupero di suolo naturale eliminando opere incongrue.

Ma i Comuni hanno un ruolo decisivo nel mettere a regime questa legge anche per un diverso profilo. Spetta loro di valutare e se del caso porre condizioni e fissare limiti per il recupero del patrimonio edilizio esistente quando gli interventi siano “sopra soglia”, per così dire, ossia quando il loro potenziale impatto sul territorio, in base a criteri dimensionali prefissati dalla legge, richieda una valutazione di tipo urbanistico con eventuale fissazione di condizioni o limiti per assicurare l’armonizzazione dell’intervento col tessuto nel quale va ad inserirsi.

Questa riforma chiama poi in causa tutte le professionalità che operano nel settore del territorio, chiedendo loro un salto culturale e organizzativo, offrendo al contempo opportunità a lungo termine e aprendo nuovi mercati.

La qualità degli interventi di recupero e ampliamento del patrimonio edilizio esistente pretesa per fruire dei bonus comporta la necessità di un aggiornamento professionale continuo, di una progettazione più impegnativa del passato, ma può contare anche sull’attenzione riservata dal legislatore, con l’allegato tecnico alla legge e con la previsione di una deliberazione giuntale integrativa, alla informazione e alla semplificazione del lavoro dei tecnici.

Anche gli operatori economici sono chiamati ad un salto di qualità nella loro attività. Si amplia fortemente il mercato delle demolizioni e bonifiche, e del riciclo dei materiali edili, e ci si attende da questo sia un abbattimento dei costi che una più efficiente riallocazione delle materie prime secondarie. Il mercato sarà sempre più attento alla qualità globale delle costruzioni, e per altro verso guarderà con rinnovata attenzione al c.d. mercato dell’usato, ossia delle opere degradate da demolire.

Tutto questo non mancherà di riflettersi sui valori immobiliari, anche delle opere incongrue, sotto il duplice profilo della convenienza delle demolizioni, sia in quanto possibili generatori di crediti edilizi sia in quanto capaci di liberare spazio suscettibile tanto di usi agricoli quanto di valorizzazione in contesti urbani nelle forme più varie e innovative, ad esempio per gli effetti positivi sugli edifici circostanti o per la domanda di spazi per attività commerciali o sportive all’aperto.

4. Oltre l’urbanistica

Pare di cogliere in questa disposizione una visione nuova dell’urbanistica, più moderna ed europea, come parte costitutiva delle politiche ambientali e al contempo di politiche sociali e di sviluppo sostenibile.

La regolamentazione dell’antropizzazione e urbanizzazione del territorio non può prescindere dalla consapevolezza che il suolo è bene comune, scarso, prezioso per la sopravvivenza della natura e anche della specie umana; che sono in corso cambiamenti climatici drammatici, che si accentua lo squilibrio fra domanda di cibo e acqua e le risorse naturali disponibili; che è in atto a livello mondiale una concentrazione delle popolazioni nelle città come luoghi di elaborazione e trasferimento delle conoscenze; che cresce la domanda di qualità di vita, di socializzazione, di bellezza.

La rigenerazione urbana va dunque ben oltre la fisicità degli immobili, la sorte delle opere edili e delle infrastrutture materiali, perché risponde ad una domanda più profonda e radicale di attenzione alla qualità di vita, alla coesione sociale, alla sicurezza, e di qui anche al paesaggio, alla sostenibilità ambientale, alla qualità architettonica ma anche impiantistica e strutturale degli edifici, alla bioedilizia e al riciclo dei materiali, sia da demolizione attuale che da demolizione futura.

Può sembrare che si accentui la separazione fra suolo agricolo periferico e aree di urbanizzazione consolidata, ma si tratterebbe di una lettura superficiale, dal momento che è bene comune tutto il suolo, non soltanto quello ancora allo stato naturale ma anche quello rinaturalizzato e pure quello antropizzato: sia nel senso che quest’ultimo non deve essere sprecato, né lasciato in stato di abbandono, a pena di recare lesione all’interesse pubblico al bene comune, sia nel senso che anche nelle aree urbane gli spazi liberi, o liberati, rappresentano una risorsa per la qualità di vita delle persone.

Non manca nella legge attenzione per l’utilizzo agricolo del suolo esterno alle città e viene molto limitata la possibilità di interventi edilizi in zona agricola (cfr. art. 8), ma è da cogliere l’estensione del concetto di suolo naturale oltre la dimensione del suo sfruttamento economico come risorsa produttiva agricola, fino a intenderlo anzitutto come risorsa ecosistemica che assicura permeabilità all’acqua piovana e interagisce col clima e l’ambiente. Il legislatore ha cercato di tradurre queste finalità in misure operative molto concrete, attraverso il meccanismo rigoroso e analitico dei requisiti di premialità, che sono attentamente bilanciati con i benefici generati a vantaggio dell’intera comunità, e che vanno dal risparmio di energia al risparmio di acqua, alla riduzione del calore da irraggiamento, alla sicurezza antisismica, alla salubrità potenziata dalla bioedilizia.

I tempi sono maturi per capire e far capire che è finita definitivamente la lunga stagione del metro cubo, del metro quadrato e degli indici di edificabilità come unità di misura del valore; che le nuove generazioni guardano agli immobili come una commodity, privilegiando l’uso alla proprietà e attribuendo importanza decisiva ai costi di utilizzazione e di funzionamento; che la rottamazione dei beni e il riciclo dei materiali riguardano anche gli immobili.

Una legge non è soltanto un evento giuridico, è un fatto sociale; provoca riflessione ed anima dibattiti. È, se cade in suolo naturale fertile, un fatto culturale. E questa disposizione è in questo senso una provocazione.

Padova Construction Conference 2019 – Città a misura di futuro

Si svolgerà il prossimo 16 ottobre 2019 dalle ore 14:00 presso Palazzo Liviano a Padova l’edizione 2019 di Construction Conference organizzato da Civiltà di Cantiere.
L’obiettivo della Construction Conference “CITTÀ A MISURA DI FUTURO. RIGENERAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE DI UN’AREA METROPOLITANA” è quello di avviare un percorso di riflessione per far emergere delle proposte – condivise dal più ampio spettro di soggetti pubblici e privati ed espressione del mondo della ricerca, dell’economia e della società civile – a sostegno della creazione di un polo metropolitano intorno alle tre città di Padova, Venezia e Treviso.
Ciò nella convinzione che soltanto un processo di questo tipo potrà consentire al Veneto di allinearsi ai livelli competitivi di aree come Milano o Monaco, costituendo allo stesso tempo un riferimento in grado di svolgere un ruolo propulsivo per l’intero Nord Est.
Un ruolo fondamentale in questa visione di futuro è chiamata a svolgerlo la rigenerazione di aree industriali dismesse e zone urbane degradate, alla luce delle diverse forme di organizzazione industriale e delle nuove frontiere della mobilità del lavoro, così come la ridefinizione e ricomposizione di schemi urbani, dando risposte a misura dei nuovi trend di sviluppo sostenibile e delle esigenze di una società in forte trasformazione.
Centrale, in una prospettiva di crescita, è anche la capacità di individuare quali dovranno essere i fattori di riferimento, ad iniziare dal ruolo della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica e dalla costruzione di una reale e capillare economia circolare.
Attraverso un confronto ampio e la comparazione con esperienze e modelli internazionali, la Conferenza vuole essere un riferimento nel dialogo tra pubblico e privato attraverso la messa a valore di progettualità e competenze in una logica di condivisione.

Per maggiori informazioni e per la partecipazione all’evento è possibile consultare il sito dell’evento o la sua pagina linkedin.

Commento all’art. 29 l.r. n. 14/2017

di Francesca Martini e Monica Tomaello

Art. 29

Clausola di neutralità finanziaria

1. All’attuazione del presente Capo si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio della Regione.

L’articolo 29 stabilisce che l’attuazione delle disposizioni contenute nel Capo II non comporta nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio della Regione. Alla concreta applicazione di tali disposizioni, quindi, si provvederà nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.

 

Commento all’art. 28 l.r. n. 14/2017

di Francesca Martini e Monica Tomaello

Art. 28

Disposizioni transitorie per l’applicazione delle modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”

1. Le disposizioni di novellazione recate dall’articolo 20, comma 1, dall’articolo 21, comma 1, dall’articolo 22, comma 2, con riferimento alla modifica relativa alla lettera a) del comma 4 bis, e dall’articolo 25, comma 4, si applicano successivamente alla pubblicazione nel BUR del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a) e nei comuni interessati dal provvedimento medesimo.

L’articolo 28 della legge in commento detta le disposizioni transitorie strettamente connesse alle norme introdotte dall’articolo 20, co. 1, dall’articolo 21, co. 1, dall’articolo 22, co. 2, con riferimento alla modifica relativa alla lettera a) del comma 4 bis, e dall’articolo 25, co. 4. Tali disposizioni, ai sensi del medesimo articolo 28, si applicano successivamente alla pubblicazione nel BUR del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 4, co. 2, lettera a) e nei Comuni interessati dal provvedimento medesimo. Come già ampiamente illustrato nelle pagine precedenti, con tale provvedimento la Giunta regionale fissa la quantità massima interessata da consumo di suolo nel territorio regionale.

Al fine di garantire un graduale passaggio dal tradizionale concetto di SAU a quello di quantità massima interessata da consumo di suolo, il legislatore ha previsto che la disposizione di cui all’articolo 20, co. 1, che sostituisce la lett. f) dell’articolo 13, l.r. n. 11/2004, si applichi successivamente alla pubblicazione del citato provvedimento di Giunta regionale. Analogamente la disposizione di cui all’articolo 21, co. 1, della legge in commento si applica successivamente alla pubblicazione del medesimo provvedimento di Giunta regionale. Si tratta, infatti, della norma che, modificando l’articolo 14 della l.r. n. 11/2004, individua una nuova fattispecie, in presenza della quale la Giunta provinciale può introdurre, in sede di approvazione del piano di assetto del territorio (PAT), modifiche d’ufficio.

Il citato provvedimento di Giunta regionale risulta altresì necessario per poter applicare il comma 4 bis dell’articolo 17, l.r. n. 11/2004, così come introdotto dall’articolo 22, co. 2; tale disposizione impone al Comune di verificare, qualora risulti necessario individuare aree nelle quali programmare interventi di nuova urbanizzazione, il rispetto dei limiti del consumo di suolo definiti ai sensi dell’articolo 13, co. 1, lettera f), l.r. n. 11/2004 .

Analogamente, risulta indispensabile far riferimento all’ articolo 13, co. 1, lettera f), l.r. n. 11/2004 per l’individuazione, da parte del Comune, degli ambiti e delle aree da destinare alla rilocalizzazione e alla ricomposizione insediativa di edifici demoliti per il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 36, co. 5 bis, l.r. n. 11/2004, così come modificato dall’articolo 25, co. 4 della legge in commento.

Commento all’art. 27 l.r. n. 14/2017

di Giorgio Migotto

Art. 27

Modifica dell’articolo 46 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”

1. Dopo la lettera g) del comma 2 dell’articolo 46 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è aggiunta la seguente:

“g bis) la metodologia per la definizione dei bilanci energetici in ambito comunale ed intercomunale e i sussidi operativi per la messa a punto delle misure e delle azioni di governo del territorio finalizzate al contenimento dei consumi energetici degli insediamenti, al miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici e delle strutture pubbliche e private, alla razionalizzazione delle reti di produzione e distribuzione di energia in ambito urbano, in accordo con il piano energetico regionale e con le disposizioni statali e regionali in materia.”.

Nel complessivo quadro di riordino, attuato dalla l.r. n. 14/17, il legislatore regionale non poteva tralasciare di intervenire anche su alcuni aspetti legati alle prestazioni energetiche dei singoli fabbricati, nonché, in un’ottica più generale di contenimento energetico, di intere aree o quartieri delle nostre città, introducendo il concetto di “bilancio energetico” di ambito comunale ed intercomunale.

In qualche modo, una sorta di “certificazione di comportamenti energetici virtuosi della collettività”, in un contesto di partecipazione e fruizione pubblica, volta ad interventi di efficientamento energetico di ampio respiro.

Tali tematiche trovano definizione nell’introduzione, all’interno della l.r. n.. 11/04 “Norme per il governo del territorio” e, precisamente, all’articolo 46, “Attività di indirizzo”, del concetto di “bilancio energetico” di livello comunale e intercomunale, inteso quale risultato finale di un insieme di “buone pratiche”, volte al contenimento complessivo dei consumi energetici degli edifici, sia pubblici che privati, delle reti di distribuzione dell’energia, il tutto in accordo con le direttive e le linee già individuate nel piano energetico regionale, di cui alla deliberazione consiliare n. 6 del 9 febbraio 2017.

Coerentemente con i principi generali, enunciati all’articolo 1, l’innovativa norma regionale sul contenimento del consumo di suolo prevede la riqualificazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, da attuarsi, anche attraverso la riorganizzazione e riqualificazione del tessuto insediativo esistente, quando quest’ultimo, presenti caratteristiche di “degrado edilizio”.

Un “degrado edilizio” che in alcuni casi diventa anche “degrado urbanistico”, che possiamo riscontrare non solo analizzando le matrici ambientali di un determinato contesto abitativo, ma anche, a scala ridotta, esaminando gli aspetti statico-strutturali o il profilo squisitamente prestazionale-energetico di un fabbricato.

Risparmio energetico e contenimento del consumo energetico, efficientamento degli edifici, rigenerazione urbana ed edilizia sostenibile, sono termini che anni fa, il più delle volte, sentivamo pronunciare in occasione di convegni, mostre o presentazioni di libri di autori o progettisti che potevano apparire, per certi versi, come dei sognatori quasi disincantati, ignari dell’esistenza di certi contesti di degrado e abbandono di alcune periferie urbane, sorte in anni in cui il boom edilizio e la speculazione poca attenzione rivolgevano alla qualità degli edifici, concentrandosi, il più delle volte, sulla sola quantità, sui metri cubi o sui metri quadri da mettere sul mercato al miglior prezzo.

La realtà, oggi, ci dimostra che quei sognatori avevano ragione.

Chi, in maniera avveduta e precorrendo i tempi, ha realizzato, negli anni scorsi, edifici energeticamente efficienti indiscutibilmente aveva visto giusto, non solo in termini di qualità della vita da parte dei fruitori, ma anche, visti i continui rincari della bolletta energetica, in termini di risparmio economico e di maggiore appetibilità e valore del fabbricato nel momento in cui si fosse manifestata la necessità di metterlo in vendita.

Nello specifico, l’articolo 27 della legge regionale n. 14/17, aggiungendo la lettera g bis), al comma 2, dell’articolo 46 “Attività di indirizzo”, della l.r. n. 11/04, attribuisce alla Giunta regionale il compito di provvedere, tramite l’adozione di appositi provvedimenti:

  • al contenimento dei consumi energetici degli insediamenti;
  • al miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici e delle strutture pubbliche e private;
  • alla razionalizzazione delle reti di produzione e distribuzione di energia in ambito urbano;

il tutto in accordo, e non poteva essere diversamente, con quanto previsto dal piano energetico regionale e dalle vigenti disposizioni statali e regionali in materia.

A tale proposito, il quadro di riferimento, in materia di contenimento ed efficientamento energetico dei fabbricati con l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, è assai articolato, considerato l’ambito del presente contributo, si rimanda ai contenuti del “Piano energetico regionale – Fonti rinnovabili, risparmio energetico ed efficienza energetica (PERFER)”- Deliberazione del Consiglio regionale n. 6 del 9 febbraio 2017, Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto n. 20 del 21/02/2017.

In materia di prestazione e certificazione energetica degli edifici si segnalano, le novità introdotte dai decreti emanati, in data 26 giugno 2015, dal Ministro dello Sviluppo Economico (G.U. n. 162 del 15.07.2015).

Su scala regionale, invece, appare doveroso qui ricordare alcune norme finalizzate all’incentivazione delle fonti di energia rinnovabili ed all’efficientamento e riqualificazione energetica degli edifici.

La legge regionale n. 4 del 9 marzo 2007 “Iniziative ed interventi regionali a favore dell’edilizia sostenibile” affronta opportunamente il tema della ‘bioedilizia’ ed in genere dell’edilizia sostenibile basata sulla realizzazione del manufatto edilizio secondo principi di compatibilità dello stesso con l’ambiente.

Obiettivi della legge sono il miglioramento della qualità della vita, il benessere e la salute dell’uomo, privilegiando azioni volte a favorire il risparmio energetico e l’impiego delle fonti rinnovabili con il riutilizzo delle acque piovane, utilizzando materiali da costruzione e componenti per l’edilizia, che non determinano lo sviluppo di gas tossici, emissione di particelle, radiazioni o gas pericolosi, inquinamento dell’acqua o del suolo. Una legge che, pare opportuno qui ricordare, privilegia l’impiego di manufatti di cui sia possibile il riutilizzo anche al termine del ciclo di vita dell’edificio e la cui produzione comporti un basso consumo energetico.

Una menzione particolare deve poi essere riservata al “Piano Casa”.

La legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 ha avuto nel Veneto un “successo” che potremmo definire clamoroso ed inaspettato. Il Piano Casa, la cui efficacia è durata fino al 31.3.2019, ha avuto il fine di promuovere misure per il sostegno del settore edilizio attraverso interventi finalizzati al miglioramento della qualità abitativa per preservare, mantenere, ricostituire e rivitalizzare il patrimonio edilizio esistente favorendo l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e delle fonti di energia rinnovabili.

In questi anni di vigenza della legge sono stati decine di migliaia gli interventi di ampliamento resi possibili dal Piano Casa. Interventi edilizi che, oltre una certa soglia, prevedono                obbligatoriamente l’utilizzo di tecnologie che impieghino l’uso di qualsiasi fonte di energia rinnovabile con una potenza non inferiore a 3 kW o un contestuale intervento di riqualificazione dell’intero edificio che ne migliori la prestazione energetica. Incentivi sono anche previsti per gli interventi di messa in sicurezza sismica.

Gli ultimi dati elaborati dagli Uffici regionali che si occupano del monitoraggio del Piano Casa confermano inoltre una ripresa degli interventi di demolizione e successiva ricostruzione degli edifici in classe energetica A, previsti dall’articolo 3. Ciò significa che, coerentemente con i principi e le finalità rinvenibili anche nella l.r. n. 14/17, il Piano Casa promuove la sostituzione e il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente al 31 ottobre 2013 mediante la demolizione e ricostruzione degli edifici legittimati da titoli abilitativi che necessitano di essere adeguati agli attuali standard qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza. Le premialità stabilite dall’art. 3 prevedono incrementi volumetrici fino al 70 per cento, qualora per la ricostruzione vengano utilizzate tecniche costruttive che portino la prestazione energetica dell’edificio alla corrispondente classe A.

L’incremento volumetrico può arrivare fino all’80 per cento, qualora l’intervento comporti l’utilizzo delle tecniche costruttive di cui alla legge regionale 9 marzo 2007, n. 4.

Ricordiamo inoltre, i benefici previsti dall’art. 5 del Piano Casa “Interventi per favorire l’installazione di impianti solari e fotovoltaici e di altri sistemi di captazione delle radiazioni solari” che incentivano la realizzazione di sistemi di captazione delle radiazioni solari addossati o integrati negli edifici, quali serre bioclimatiche, pareti ad accumulo e muri collettori atti allo sfruttamento passivo dell’energia solare, la realizzazione di pensiline e tettoie fotovoltaiche.

I benefici previsti dall’articolo 7 “Oneri e incentivi , qualora l’intervento riguardi la prima casa di abitazione e vi sia il concomitante utilizzo di 3kW di energia derivante da una qualsiasi delle fonti di energia rinnovabile, si concretizzano nell’esonero totale dal versamento del contributo di costruzione.

A seguito dell’abrogazione della legge sul “Piano Casa” la Regione Veneto ha approvato la legge regionale 4 aprile 2019, n. 14, “Veneto 2050”, che ha ripreso le misure incentivanti e premiali previste dalla legge sul “Piano Casa”, modificandone però le finalità. Anche la legge “Veneto 2050” introduce infatti incentivi volumetrici e misure premiali legati all’esecuzione di interventi di ampliamento e demolizione e ricostruzione del patrimonio edilizio esistente, ma tali incentivi sono finalizzati a conseguire un incremento della qualità edilizia e dell’efficienza energetica dei fabbricati nonché al fine di promuovere forme di rigenerazione e riqualificazione di aree abbandonate o la demolizione di edifici incongrui.

In definitiva, le novità introdotte dall’articolo 27 della l.r. n. 14/17 vanno ad ampliare la gamma di interventi, già previsti da alcune norme regionali, volti a migliorare l’efficienza energetica non solo del singolo fabbricato o gruppo di edifici, ma in una visione più generalizzata, estesa all’intero Comune o ad un insieme di Comuni.

Un approccio nuovo, attento e sensibile ad un utilizzo avveduto delle risorse di cui disponiamo, specialmente di quelle che non saranno più rinnovabili nel tempo, delle quali dobbiamo avere grande cura attraverso un utilizzo consapevole e responsabile, soprattutto nei confronti delle generazioni a venire.

Commento all’art. 26 l.r. n. 14/2017

di Andrea Comacchio, Barbara Lazzaro, Anna Fumagalli e Rita Boccardo

Art. 26

Modifica dell’articolo 45 ter della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”

1. Dopo la lettera i) del comma 6 dell’articolo 45 ter della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è aggiunta la seguente:

“i bis) la promozione della formazione dei Parchi agro-paesaggistici-sovracomunali, per la tutela e valorizzazione del territorio rurale, del paesaggio e delle attività agricole, anche con la partecipazione dei produttori locali e degli abitanti delle aree interessate. I parchi hanno le seguenti finalità:

1) l’arresto della dispersione insediativa e il conseguente contenimento del consumo di suolo;

2) la formazione di una rete ecologica estesa a scala territoriale e la salvaguardia della biodiversità;

3) la progressiva riconversione dell’agricoltura verso la multiproduttività, favorendo la sicurezza alimentare, le filiere corte, l’agricoltura biologica e quella che recupera le tradizioni locali e che preserva la biodiversità;

4) il ritorno alla terra con il recupero dei terreni abbandonati o sottoutilizzati e la creazione di nuove economie connesse all’agricoltura;

5) la tutela dei beni storici e culturali presenti nel territorio rurale, lo sviluppo dei valori paesaggistici e della qualità dell’abitare, la diffusione dei principi della bioarchitettura, la creazione di itinerari culturali;

6) la bellezza e il decoro del paesaggio.”.

Nell’ambito del titolo V bis della l.r. n. 11/2004, dedicato al paesaggio, viene integrato l’articolo 45 ter, che fissa il ruolo e le competenze della Regione Veneto.

L’articolo in questione riconosce un principio fondamentale: la tutela e la valorizzazione del territorio rurale, del paesaggio e delle attività agricole devono essere considerate le più efficaci “politiche attive” di contrasto al consumo di suolo. Per tale finalità, la Regione promuove la formazione (progettazione e istituzione) di Parchi agro-paesaggistici sovracomunali, capaci di coniugare forme di agricoltura più sensibili verso l’ambiente e l’integrità del territorio, con la salvaguardia della biodiversità, la tutela dei beni storici e culturali, la tutela del paesaggio, il contenimento del consumo di suolo e il recupero dei terreni abbandonati.

A partire dalla Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 20 ottobre 2000), che definisce il paesaggio come “una determinata parte di territorio, così percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalla loro interrelazioni” , fino al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d.lgs. n. 42/2004) che reinterpretata tale definizione allargando il paesaggio al “territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, è indubbio che il paesaggio rurale, più di altre categorie tipologiche, risulta caratterizzato proprio dall’interazione di fattori naturali ed antropici. Già nel 1961 Emilio Sereni lo definiva “quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale”.

Più recentemente (DM n. 17070 del 19/11/2012) il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha definito il paesaggio rurale tradizionale e di interesse storico, riferito alle porzioni di territorio classificato come rurale e/o elementi lineari o puntuali, che pur continuando il loro processo evolutivo, conservano evidenti testimonianze della loro origine e della loro storia, mantenendo un ruolo nella società e nell’economia.

In proposito, l’«Atlante Ricognitivo degli Ambiti di Paesaggio del Veneto», ricompreso negli elaborati del PTRC adottato nel febbraio 2009, con l’individuazione dei 14 ambiti omogenei di paesaggio nel territorio regionale, rappresenta l’attuale quadro di riferimento per la conoscenza dei caratteri del paesaggio veneto e dei processi di trasformazione che lo interessano, con la contestuale definizione di 37 obiettivi di qualità paesaggistica; all’interno di tale suddivisione acquistano rilevanza, e non solo per estensione, gli ambiti agricoli di rilievo paesaggistico, caratterizzati dall’integrazione del sistema ambientale e del relativo patrimonio naturale con l’azione dell’uomo volta alla coltivazione e trasformazione del suolo.

Fra le definizioni paesaggistiche tematiche del PTRC, si trova anche la Rete Ecologica Regionale, che individua l’articolazione spaziale funzionale dei caratteri ecosistemici del paesaggio.

Nel Veneto vaste aree del territorio rurale costituiscono, per le loro caratteristiche paesaggistiche, un prezioso patrimonio di interesse storico-culturale della collettività intera, da conservare, tutelare e valorizzare. Si pensi alle vaste aree montane che delimitano il lago di Garda e i monti Lessini, che arricchiscono il patrimonio storico della Città di Verona con una forte relazione con gli elementi naturali e paesaggistici. Nell’area vicentina emergono con forza le bellezze dei monti Berici e dell’Altopiano, uniti da una vasta area di risorgive caratterizzata dalla estesa presenza di aree prative. Analoghe vaste superfici a prato sono presenti nell’alta Padovana, mentre nella porzione più a sud il graticolato romano e la bonifica antica disegnano con regolarità il territorio. Anche l’area trevigiana è fortemente caratterizzata dalle colline vitate e dagli ampi coltivi irrigui della pianura, così come estremamente vario è il territorio della provincia di Venezia, solcato dai corsi d’acqua dei fiumi di risorgiva e da assetti territoriali di bonifica recente nella parte orientale. Infine, Rovigo trova nell’area deltizia un ambiente unico, dominato paesaggisticamente dagli ampi rilevati arginali dei rami deltizi del Po, dalle grandi colture e i vasti specchi acquei delle zone vallive e lagunari prossimi al mare. Ampi territori boschivi dell’area alpina e prealpina della provincia di Belluno sono solcati, nella Valbelluna, da una sequenza di nuclei edificati intervallati da ampi spazi a destinazione agricola e boschiva.

I paesaggi agrari non sono però giardini; la loro formazione ed evoluzione dipende da un complesso di soggetti e di processi ambientali, sociali ed economici. L’agricoltura non è, pertanto, solamente una attività di produzione di cibo, ma un sistema di relazioni che la configura come un imprescindibile fattore sociale ed economico di conservazione, gestione e trasformazione dei paesaggi.

In molte aree del Veneto l’evoluzione delle aziende agricole ha portato verso modelli produttivi specializzati che, in assenza di norme volte a tutelare la risorsa suolo, ha facilitato i cambiamenti d’uso, l’omogeneizzazione del territorio coltivato, l’abbandono degli edifici rurali. Nel contempo, la progressiva distanza fra agricoltore e consumatore ha allontanato la società dal mondo rurale; la conoscenza degli aspetti naturalistici, storici e culturali del territorio, un tempo patrimonio condiviso, è divenuto oggi una materia complessa e specialistica che richiede l’impegno e il contributo della collettività intera.

Tutto ciò ha favorito, anche sotto l’azione delle successive riforme della politica agricola comunitaria, un generale riesame dei tradizionali obiettivi del settore primario; stanno infatti prendendo sempre più piede forme di agricoltura più sensibili verso l’ambiente e l’integrità del territorio: la produzione biologica, la prima trasformazione agroalimentare dei prodotti agricoli, una serie di nuove attività orientate alla produzione di molteplici servizi complementari di carattere ricreativo, turistico, didattico, sociale, energetico ed ambientale. Sul mercato cominciano ad affermarsi aziende agricole multifunzionali con modelli organizzativi innovativi che trovano opportunità economiche nel massimizzare queste attività integrative.

Del resto, l’evoluzione del rapporto tra agricoltura e territorio è al centro dell’attenzione dell’Unione Europea che, con l’ultima modifica della Politica agricola comunitaria, ha inaugurato una nuova fase di programmazione di sviluppo rurale. Nel Programma di Sviluppo Rurale del Veneto 2014-2020 viene infatti riconosciuto il ruolo centrale dell’agricoltura nella produzione di una serie di benefici, direttamente connessi ai diversi modelli di produzione e trasformazione del cibo, che possono contribuire al benessere e alla qualità della vita della popolazione. Beni e servizi pubblici quali la regolazione del ciclo dell’acqua, la tutela della biodiversità, del paesaggio, la tutela delle risorse idriche e della sicurezza idraulica, la prevenzione del dissesto idrogeologico, la fissazione del carbonio e la mitigazione dei cambiamenti climatici, la conservazione del suolo, sono ora monitorati e apprezzati.

È una fase questa di enorme cambiamento, che pone al centro delle politiche comunitarie, e degli strumenti di programmazione regionale adottati per darne applicazione, la responsabilità delle aziende nella gestione del territorio e le guida, anche attraverso l’implementazione dei programmi agro-ambientali, verso un graduale passaggio da un sostegno al reddito indifferenziato ad un sostegno per la produzione di beni pubblici. La conservazione del paesaggio e delle peculiarità territoriali rientra tra queste finalità.

Il cambiamento della percezione del paesaggio e il riconoscimento da parte della società del suo valore culturale oltre che naturalistico può aprire a nuovi servizi ambientali, turistici, didattici, ma anche a nuovi prodotti; la qualità del prodotto si arricchisce così di nuovi significati, che nascono da articolati rapporti tra il prodotto e il sistema territorio e tra produttore e consumatori. Questo modo di interagire tra le parti è fattore fondamentale per il raggiungimento dello sviluppo rurale e della protezione delle risorse paesaggistiche e ambientali.

In quest’ottica deve essere letta e positivamente valutata la volontà della Regione Veneto di sostenere la formazione, sul proprio territorio, non solo a livello locale ma di area vasta, di parchi agro-paesaggistici che si pongano come obiettivo la riqualificazione del territorio rurale nei suoi diversi sottosistemi, che definiscono la complessità e la dinamicità del territorio stesso: il sistema agricolo-produttivo, il sistema agroambientale, il sistema del paesaggio agrario e dell’architettura rurale.

La citata Convenzione europea dispone di “integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio”.

Bene, siamo di fronte ad un territorio dinamico, interessato da una serie di fenomeni che tendono a modificarne l’equilibrio: l’espansione urbana e i cambiamenti d’uso del suolo; la perdita di terreni coltivabili; la perdita degli elementi naturali e paesaggistici; i conflitti d’interesse tra le diverse parti sociali; la perdita di contatto tra produzione e consumo del cibo; l’insicurezza alimentare delle fasce più povere della popolazione. Pertanto, si fa sempre più pressante l’esigenza di definire e attuare nuovi modelli di gestione integrata dei terreni agricoli, in grado di perseguire finalità di natura socio-economica e ambientale-paesaggistica.

Con l’applicazione dell’innovato articolo 45 ter della l.r. n. 11/2004 viene finalmente riconosciuta l’importanza di sviluppare un ragionamento specifico sullo spazio rurale e sull’integrazione fra politiche agricole e politiche di pianificazione urbanistica e territoriale, attraverso l’approvazione di strumenti nei quali la valorizzazione, la riqualificazione, la gestione integrata dei differenziati e molteplici contesti rurali, figurino tra gli obiettivi prioritari e strategici.

Ma affinché questo strumento urbanistico sia realmente efficace, diventa fondamentale che il territorio del Parco agro-paesaggistico venga conosciuto in tutte le sue componenti e peculiarità: negli aspetti fisici e morfologici, vegetazionali e naturalistici, ecologici, insediativi ed architettonici, storici e culturali, l’uso del suolo, le vocazioni agricole, le componenti e i caratteri ambientali e paesaggisti. In proposito è opportuno richiamare il compito che la stessa legge regionale n. 11/2004 attribuisce ai piani di assetto del territorio comunali e intercomunali (PAT-PATI) nell’assunzione di scelte in materia di pianificazione urbanistica sulla base di un quadro conoscitivo completo e approfondito, che contenga “il complesso delle informazioni necessarie che consentono un’organica rappresentazione e valutazione dello stato del territorio e dei processi evolutivi che lo caratterizzano, riferimento indispensabile per la definizione degli obiettivi e dei contenuti di piano per la valutazione di sostenibilità”. Recentemente è intervenuta la Giunta regionale con la deliberazione n. 816/2017, che ha approvato gli “Orientamenti operativi” tesi a fornire uno schema metodologico per l’analisi, la valutazione, la pianificazione del territorio rurale, finalizzato alla predisposizione del Quadro Conoscitivo e del progetto del PAT; tali “Orientamenti operativi” potranno costituire un valido supporto anche nelle scelte che daranno fondamento alla istituzione dei parchi agro-paesaggistici sovracomunali.

Uno dei punti di forza di tale strumento sarà proprio la capacità del territorio del parco di sviluppare le molteplici funzioni dell’attività agricola a cui si associano una serie di benefici per la collettività sopra richiamati. Ecco che nei parchi agro-paesaggistici-sovracomunali la pianificazione della produzione di cibo, insieme a quella ambientale e territoriale, potranno assumere un ruolo di primo piano all’interno della più generale strategia di sviluppo del territorio, in grado di garantire la sostenibilità delle produzioni agricole e delle trasformazioni del territorio; ciò non può avvenire senza il coinvolgimento attivo delle comunità locali presenti sul territorio.

In questo senso i parchi in argomento potranno essere uno strumento di gestione in grado di costruire un nuovo rapporto “dinamico” tra agricoltura e territorio, cittadini e agricoltori, spazi pubblici e privati, favorendo un’interazione armonica e sostenibile tra paesaggio, ambiente e attività economiche locali; più ancora, possono divenire il “terreno” sul quale dare attuazione a forme innovative di gestione del patrimonio ambientale e paesaggistico, quali i contratti di paesaggio, le reti d’impresa, collaborazioni pubblico-private, i pagamenti per i servizi ecosistemici.

In questo contesto, il ruolo della Regione dovrà essere quello di promotrice e soggetto attivo – al fine di sostenere le trasformazioni del territorio evocate nei 6 punti dell’elenco definito nell’integrazione dell’articolo 45 ter – favorendo investimenti e facilitando l’accesso agli strumenti finanziari a sostegno dei Parchi agro-paesaggistici, da quelli locali (ad esempio con elementi di perequazione urbanistica) ai bandi regionali (PSR) ed europei, lasciando spazio e sostenendo le iniziative locali.

Commento all’art. 25 l.r. n. 14/2017

di Vincenzo Pellegrini

Art. 25

Modifica dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”

1. Al comma 1 dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, dopo le parole “riqualificazione urbanistica, paesaggistica, architettonica,” sono aggiunte le parole “ energetica, idraulica”.

2. Il comma 3 dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è sostituito dal seguente:

“3. La demolizione delle opere incongrue, l’eliminazione degli elementi di degrado, o la realizzazione degli interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica, architettonica, energetica, idraulica e ambientale di cui al comma 1, e gli interventi di riordino delle zone agricole di cui al comma 5 bis, determinano un credito edilizio.”.

3. Il comma 4 dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è sostituito dal seguente:

“4. Per credito edilizio si intende una capacità edificatoria riconosciuta a seguito della realizzazione degli interventi di cui al comma 3 ovvero a seguito delle compensazioni di cui all’articolo 37. I crediti edilizi sono annotati nel Registro Comunale Elettronico dei Crediti Edilizi (RECRED) di cui all’articolo 17, comma 5, lettera e), e sono liberamente commerciabili. Il PI individua e disciplina gli ambiti in cui è consentito l’utilizzo dei crediti edilizi, mediante l’attribuzione di indici di edificabilità differenziati, ovvero di previsioni edificatorie localizzate, in funzione degli obiettivi di cui al comma 1, ovvero delle compensazioni di cui all’articolo 37, nel rispetto dei parametri e dei limiti di cui all’articolo 13, comma 1, lettera k).”.

4. Dopo il comma 5 dell’articolo 36 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è aggiunto il seguente:

“5 bis. Gli interventi di riordino della zona agricola sono finalizzati alla riqualificazione dell’edificato inutilizzato o incongruo esistente, alla riduzione della dispersione insediativa e alla restituzione all’uso agricolo di suoli impermeabilizzati e di aree occupate da insediamenti dismessi. Il piano regolatore comunale individua, nel rispetto dei limiti definiti ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera f), gli ambiti e le aree da destinare alla rilocalizzazione e alla ricomposizione insediativa di edifici demoliti per le finalità di cui al presente comma, preferibilmente all’interno delle aree di urbanizzazione consolidata di cui all’articolo 13, comma 1, lettera o), nonché le modalità di riconoscimento del credito edilizio. Sono in ogni caso tutelate e valorizzate le testimonianze del territorio agricolo ed incentivati la loro conservazione e il loro recupero ai fini della promozione del turismo rurale.”.

La norma in commento modifica l’art. 36 l.r. n. 11/2004. Come noto l’articolo 36 cit. è una delle norme della legge urbanistica veneta ritenute a suo tempo “rivoluzionarie”, avendo introdotto – prima ancora che vi fosse una corrispondenza a livello nazionale – uno strumento giuridico innovativo per compensare l’eliminazione delle opere incongrue e degli elementi di degrado, in un’ottica (centrale nella l.r. n. 14/2017) di riordino e riqualificazione urbana e ambientale, ossia il “credito edilizio”. Lo strumento del credito edilizio avrebbe dovuto costituire il vero “grimaldello” per forzare la tradizionale urbanistica di espansione a favore di una urbanistica del recupero degli spazi e della qualità urbana; ma a ben vedere, nei 13 anni trascorsi dall’introduzione della norma esso è stato più discusso che realmente applicato per le potenzialità che possedeva e che possiede. L’istituto del “credito edilizio” ha un’indubbia occasione di riscatto con la l.r. n. 14/2017, non tanto per la norma in commento (norma per lo più di aggiustamento e coordinamento), ma perché costituisce ancora il principale strumento di “compensazione” del privato nelle attività di Riqualificazione edilizia e ambientale (art. 5 l.r. n. 14/2017) e di riqualificazione urbana (art. 6 l.r. n. 14/2017), interventi abitualmente a “sacrificio” o “sottrazione” di volume per la eliminazione di opere incongrue e elementi di degrado. La legge regionale n. 14/20017, non diversamente da quanto accadde con l’entrata in vigore della l.r. n. 11/2004, affida dunque al credito edilizio il ruolo di garantire appetibilità e sostenibilità economica al recupero degli spazi e al miglioramento della qualità urbana, ove sottolinea (all’art. 5 cit.) che il PI “definisce le misure e gli interventi finalizzati al ripristino al recupero e alla riqualificazione nelle aree occupate dalle opere di cui al comma 1 e prevede misure di agevolazione che possono comprendere il riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata (…). Le demolizioni devono prevedere l’eventuale delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse, salvo eccezioni motivate e prestazioni di adeguate garanzie” oppure (art. 6 c. 3 cit.) ove ribadisce che “il P.I. può prevedere il riconoscimento di crediti edilizi per il recupero di potenzialità edificatoria negli ambiti di urbanizzazione consolidata (…)”. Nessuna reale novità rispetto a quanto già consentito e previsto dalla l.r. n. 11/2004, ma certamente il “credito edilizio” acquista una nuova centralità nel contesto di una normativa mirata alla limitazione dell’uso del suolo e alla rinaturalizzazione del suolo impropriamente occupato.

Veniamo all’analisi delle modifiche introdotte dall’art. 25 della legge regionale 29 maggio 2017 n. 14, per il vero non determinanti. La norma in commento riprende anzitutto la definizione di credito edilizio, introducendo solo alcune modeste precisazioni al precedente testo dell’art. 36 della l.r. n. 11/2004. Il comma 1, nell’integrare l’art. 36 co. 1 della testé citata legge regionale, interviene sulla definizione del campo di applicazione del credito edilizio, aggiungendo, tra gli obbiettivi degli interventi di riqualificazione programmabili nel contesto del PAT e compensabili anche mediante l’attribuzione di crediti edilizi, anche quelli di riqualificazione “energetica, idraulica”. Trattasi di una precisazione che, pur potendosi a livello teorico ritenere già inclusa nel concetto di riqualificazione urbanistica e architettonica e quindi consentita in via interpretativa, intende all’evidenza sottolineare in termini espressi e incontestabili che il diritto di credito edilizio non si deve considerare esclusivamente come forma di compensazione della contestuale riduzione dei volumi incongrui esistenti, bensì quale misura premiale di carattere generale nel contesto degli obbiettivi di riqualificazione degli edifici e del territorio, sottolineando al contempo la forte attualità del bisogno di interventi mirati anche in via esclusiva alla messa in sicurezza idraulica e al miglioramento dell’efficienza energetica delle costruzioni (e non solo). La disposizione in commento, poi, al comma 3, sostituendo il comma 4 dell’art. 36 l.r. n. 11/04, introduce alcune precisazioni alla definizione di credito edilizio: da un lato, identifica il diritto di credito edilizio non più, come la precedente lettera dell’art. 36 cit., con “una quantità di volumetria” bensì con “una capacità edificatoria”, che può dunque essere espressa con diverse unità di misura (come ad esempio la superficie utile), con ciò intendendo dare libertà nel quantificare il diritto di credito edilizio con riferimento all’unità di misura più consona alla destinazione d’uso; dall’altro lato, sempre in una apparente ottica di mero chiarimento, accanto alla previsione secondo cui il PI individua e disciplina gli ambiti in cui è consentito l’utilizzo dei crediti edilizi “mediante l’attribuzione di indici di edificabilità differenziati” aggiunge “ovvero di previsioni edificatorie localizzate”, con ciò chiarendo che il diritto di credito edilizio può essere anche posto a servizio di specifiche opere ed interventi di riqualificazione (si pensi, ad esempio, agli interventi di nuova edificazione individuati nell’ambito del PI secondo la procedura di cui all’art. 17, co 4bis, lett. b) l.r. n. 11/2004).

La norma in commento aggiunge poi un ulteriore comma alla legge urbanistica regionale, ossia il comma 5 bis, dedicato esclusivamente agli interventi di riordino della zona agricola, alle finalità di tali interventi e alla compensabilità mediante attribuzione di crediti edilizi. La possibilità di utilizzo dell’istituto del credito edilizio anche in zona agricola non è una novità, essendo già consentito dal testo di legge previgente che non contemplava limitazioni in relazione alla destinazione di zona. La norma ha tuttavia introdotto una esplicitazione delle finalità, nella prima parte, ed ha sottolineato, nella seconda parte, la preferenza attribuita alle aree di urbanizzazione consolidata per il cd. “atterraggio” della capacità edificatoria prodotta da demolizioni di edifici inutilizzati o incongrui esistenti. La modifica additiva della norma è all’evidenza in linea con i principi sottesi alla legge regionale n. 14/2017, tra i quali all’art. 3 c. 3 è incluso espressamente (lett. c) il recupero e la valorizzazione del terreno agricolo nonché (lett. d) il miglioramento della sicurezza idraulica anche favorendo la demolizione dei manufatti che vi insistono, con restituzione del sedime e delle pertinenze a superficie naturale e ove possibile agli usi agricoli e forestali “disciplinando l’eventuale riutilizzo, totale o parziale, della volumetria o della superficie, dei manufatti demoliti negli ambiti di urbanizzazione consolidata o in aree allo scopo individuate nel PI”.

Sia nella nuova lettera del comma 4 dell’art. 36, introdotta dall’articolo in commento, sia nel testo del comma 5 bis aggiunto al medesimo 36, è poi contenuto il riferimento all’art. 13, c. 1 lett. k), inteso a sottolineare come anche l’attribuzione dei crediti edilizi debba avvenire nel rispetto dei parametri di dimensionamento fissati dal PAT anche nel rispetto della legge sul contenimento del consumo del suolo.

Commento all’art. 24 l.r. n. 14/2017

di Francesca Martini e Monica Tomaello

Art. 24

Modifica dell’articolo 18 ter della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”

1. Dopo il comma 3 dell’articolo 18 ter della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è aggiunto il seguente:

“3 bis. Ferma restando l’applicazione delle disposizioni regionali finalizzate a limitare il consumo di suolo, nel valutare le proposte di cui al comma 2, il comune assicura in ogni caso la priorità al recupero di edifici esistenti e di ambiti urbanizzati dismessi o inutilizzati.”.

Con la modifica introdotta dall’articolo 22 della legge in commento è stato aggiunto il comma 3 bis all’articolo 18 ter della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11. Il citato articolo 18 ter – aggiunto dal comma 1 dell’articolo 3 legge regionale 16 marzo 2015, n. 4 – disciplina le varianti allo strumento urbanistico comunale per aree commerciali destinate a medie strutture di vendita dettando per esse una apposita procedura in deroga a quanto previsto all’articolo 18, co. 8.

Per quanto qui interessa, la norma prevede che la giunta comunale possa adottare la suddetta variante urbanistica anche su richiesta dei soggetti interessati; a tal proposito, il comma di nuova introduzione dispone che, nel valutare le proposte, il Comune assicuri in ogni caso la priorità al recupero di edifici esistenti e ambiti urbanizzati dismessi o inutilizzati.

Si tratta ovviamente di una modifica correlata alle finalità perseguite ed alle scelte operate dalla legge n. 14/2017 che, come noto, privilegia gli interventi di trasformazione urbanistico-edilizia all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata, che non comportano consumo di suolo, con l’obiettivo della riqualificazione e rigenerazione, sia a livello urbanistico-edilizio che economico-sociale, del patrimonio edilizio esistente.

Nella nuova normativa, infatti, tra gli obiettivi delle politiche territoriali, speciale importanza rivestono il recupero, il riuso, la riqualificazione e la valorizzazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata, favorendo, in particolare, la rigenerazione urbana sostenibile e la riqualificazione edilizia ed ambientale degli edifici.

Commento all’art. 23 l.r. n. 14/2017

di Roberto Travaglini

Art. 23

Modifica dell’articolo 18 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”

1. Dopo il comma 5 dell’articolo 18 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è aggiunto il seguente:

“5 bis. Il comune trasmette alla Giunta regionale l’aggiornamento del quadro conoscitivo di cui all’articolo 11 bis dandone atto contestualmente alla pubblicazione nell’albo pretorio; la trasmissione del quadro conoscitivo e del suo aggiornamento è condizione per la pubblicazione del piano.”.

2. Il comma 7 dell’articolo 18 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è sostituito dal seguente:

“7. Decorsi cinque anni dall’entrata in vigore del piano decadono le previsioni relative alle aree di trasformazione o espansione soggette a strumenti attuativi non approvati, a nuove infrastrutture e ad aree per servizi per le quali non siano stati approvati i relativi progetti esecutivi, nonché i vincoli preordinati all’esproprio di cui all’articolo 34. In tali ipotesi si applica l’articolo 33 fino ad una nuova disciplina urbanistica delle aree, da adottarsi entro il termine di centottanta giorni dalla decadenza, con le procedure previste dai commi da 2 a 6; decorso inutilmente tale termine, si procede in via sostitutiva ai sensi dell’articolo 30.”.

  1. Dopo il comma 7 dell’articolo 18 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 è aggiunto il seguente:

“7 bis. Per le previsioni relative alle aree di espansione soggette a strumenti attuativi non approvati, gli aventi titolo possono richiedere al comune la proroga del termine quinquennale. La proroga può essere autorizzata previo versamento di un contributo determinato in misura non superiore all’1 per cento del valore delle aree considerato ai fini dell’applicazione dell’IMU. Detto contributo è corrisposto al comune entro il 31 dicembre di ogni anno successivo alla decorrenza del termine quinquennale ed è destinato ad interventi per la rigenerazione urbana sostenibile e per la demolizione. L’omesso o parziale versamento del contributo nei termini prescritti comporta l’immediata decadenza delle previsioni oggetto di proroga e trova applicazione quanto previsto dal comma 7.”.

Sommario: 1. Il nuovo comma 5 bis 2. Il nuovo comma 72. Il nuovo comma 7bis.

L’art. 23 della l.r. n. 14/2004 interviene sull’art. 18 (Procedimento di formazione, efficacia e varianti al Piano degli interventi), aggiungendovi due commi, il 5 bis e il 7 bis e sostituendo il comma 7.

1. Il nuovo comma 5 bis

La disposizione si collega con quanto statuito dal nuovo art. 11 bis della l.r. n. 11/2004, introdotto dall’art. 19 della l.r. n. 14/2017, al cui commento si rinvia.

Se quest’ultima disposizione impone al Comune di trasmettere alla Giunta regionale l’aggiornamento del quadro conoscitivo predisposto in occasione della formazione del PI, così come di ogni sua variante, ai fini del monitoraggio e dello svolgimento delle attività che competono all’osservatorio della pianificazione urbanistica e territoriale di cui all’art. 8 della l.r. n. 11/2004, il nuovo comma 5 bis, inserito nell’art. 18 della medesima l.r. n. 11/2004, stabilisce che:

  1. di tale trasmissione il Comune è tenuto a dare contestuale notizia con pubblicazione nell’albo pretorio;
  2. la stessa trasmissione del quadro conoscitivo e del relativo aggiornamento costituisce una condizione per la pubblicazione del piano e, quindi, decorrendo dalla tale pubblicazione gli effetti del PI, ex art. 18, co. 6, la mancata trasmissione del quadro conoscitivo rappresenta adempimento necessario per la stessa efficacia del PI.

Appare evidente l’obiettivo della disposizione di indurre i Comuni ad alimentare l’osservatorio regionale, che viene ad assumere con la nuova l.r. n. 14/2017 un ruolo ancor più rilevante che per il passato, dovendo periodicamente relazionare sullo stato del consumo di suolo nei suoi diversi aspetti, quantitativi e qualitativi.

2. Il nuovo comma 7

La disposizione in rubrica riproduce pressoché letteralmente[1] l’originario comma 7 dell’art. 18 della l.r. n. 11/2004, cui fa peraltro seguire la precisazione che la nuova disciplina urbanistica deve essere adottata “entro il termine di centottanta giorni dalla decadenza, con le procedure previste dai commi da 2 a 6[2]; decorso inutilmente tale termine, si procede in via sostitutiva ai sensi dell’articolo 30.[3]

La norma risulta alquanto opportuna, in quanto fissa un termine sollecitatorio entro il quale il Comune è obbligato ad adottare (espressione da intendersi nella relativa accezione tecnica, come atto della Giunta, organo competente all’adozione del PI) la nuova disciplina, in sostituzione di quella contenuta nelle previsioni decadute per precedente decorso del quinquennio, così come di quella, transitoria, desumibile dall’art. 33 della l.r. n. 11/2004.[4]

Il termine sollecitatorio, che va a sostituire l’indeterminatezza della precedente versione della norma, è fissato in 180 giorni dalla decadenza delle previsioni contenute nel PI, trascorsi i quali la nuova versione del comma 7 dispone che “si procede in via sostitutiva ai sensi dell’articolo 30”.[5]

3. Il nuovo comma 7 bis

È questa la novità inserita nel corpo dell’art. 18 della l.r. n. 11/2004 che, almeno ad avviso di chi scrive, presenta le maggiori difficoltà di coordinamento con il quadro complessivo della pianificazione urbanistica comunale e con quella di carattere operativo, costituita dal Piano degli interventi, in particolare.

Infatti, come già evidenziato nel commento alla nuova stesura dell’art. 18, comma 7, della l.r. n. 11/2004, il legislatore del 2017 lascia inalterata la struttura della pianificazione urbanistica comunale, che “si esplica mediante il piano regolatore comunale che si articola in disposizioni strutturali, contenute nel piano di assetto del territorio (PAT) ed in disposizioni operative, contenute nel piano degli interventi (PI)[6]

Il PAT è chiamato a delineare le scelte strategiche di assetto e di sviluppo per il governo del territorio, ad individuarne le invarianti[7] e ha validità a tempo indeterminato[8], mentre il PI, in coerenza e in attuazione del PAT, individua e disciplina gli interventi di tutela e valorizzazione, di organizzazione e di trasformazione del territorio[9] ed assume un orizzonte di efficacia per le relative previsioni relative alle aree di trasformazione e/o espansione pari a cinque anni[10].

Il PI è stato quindi pensato – in linea con la riforma delineata nel Documento INU del 1995 – quale componente operativa del Piano regolatore comunale (PRC), destinato a riassorbire le finalità programmatorie che l’art. 15 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, attribuiva al PPA[11], fino a concepirlo quale sorta di “Piano del Sindaco”, che definisce le politiche urbanistiche e ambientali di un intero mandato amministrativo comunale.

In questo quadro, appare pienamente coerente l’idea di un PI che individui le aree di trasformazione o espansione soggette a pianificazione attuativa, previsioni quest’ultime la cui efficacia venga meno con il decorso di cinque anni dall’entrata in vigore del PI, qualora i corrispondenti PUA non siano stati, nel frattempo, approvati.[12]

Regime, quello dell’efficacia quinquennale, che accomuna le citate previsioni del PI a quelle aventi ad oggetto nuove infrastrutture ed aree per servizi, per le quali la decadenza è collegata alla mancata approvazione dei progetti esecutivi, nonché a quelle riguardanti i vincoli preordinati all’esproprio.

In virtù del disposto del comma 7 dell’art. 18 della l.r. n. 11/2004 il Comune che, una volta decadute le previsioni di PI sopra richiamate per decorso del quinquennio, le voglia riproporre, le inserisce nel nuovo PI – naturalmente a seguito della verifica della persistente congruità dei relativi contenuti con la pianificazione strutturale (PAT) ed esperite le opportune forme di consultazione dei cittadini, anche attraverso le procedure ad evidenza pubblica di cui all’art. 17, co. 4 – dando ad esse un nuovo orizzonte temporale pari a cinque anni dall’entrata in vigore del nuovo piano operativo[13].

Ora il nuovo comma 7 bis dell’art. 18 della l.r. n. 11/2004 introduce una nuova, concorrente, sorte per le previsioni del PI aventi ad oggetto aree di trasformazione o espansione soggette a PUA non approvati nell’arco di validità quinquennale del PI: la possibilità, per gli aventi titolo, di chiedere al Comune una proroga del termine quinquennale e la conseguente possibilità per il Comune di “autorizzare” detta proroga, “previo versamento di un contributo determinato in misura non superiore all’1 per cento del valore delle aree considerato ai fini dell’applicazione dell’IMU. Detto contributo è corrisposto al comune entro il 31 dicembre di ogni anno successivo alla decorrenza del termine quinquennale”.

Anche se la norma in commento non ne parla, trattandosi di “proroga” la relativa richiesta dovrebbe essere presentata al Comune prima della scadenza del termine che ne è oggetto.

La norma, ancora, non quantifica il periodo di proroga che può essere richiesto, che non necessariamente deve coincidere con la durata originaria (5 anni), perché se questo avesse voluto il legislatore, avrebbe fatto meglio ad utilizzare l’espressione “rinnovo”.

Il comune, a sua volta, è facoltizzato e non certo obbligato a concedere (la norma parla di “autorizzare”) la proroga, dovendo valutare la richiesta esercitando la stessa discrezionalità tecnico-amministrativa cui è tenuto nella normale redazione del PI.

In sostanza, il risultato per il cui conseguimento sembra essere stata concepita la disposizione in commento era e resta ancora raggiungibile anche attraverso l’ordinario procedimento di redazione e perfezionamento del “nuovo” PI, apparentemente con due soli elementi differenzianti tra le diverse “soluzioni” in campo:

  • nel caso della proroga di cui al comma 7 bis, l’efficacia delle previsioni di PI che ne costituiscono l’oggetto potrebbe non avere soluzione di continuità con il compiersi del quinquennio di validità del PI[14], mentre per “reinserimento” di tali previsioni nel PI senza ricorrere alla proroga, la nuova formulazione del comma 7 stabilisce che il nuovo PI debba essere adottato entro 180 giorni dalla decadenza, con eventuale ricorso, nel caso di mancato rispetto del termine, ai poteri sostitutivi di cui all’art. 30:
  • nel caso della proroga di cui al comma 7 bis, l’accoglibilità della relativa richiesta è subordinata al versamento del contributo “determinato (ndr.: dal comune) in misura non superiore all’1 per cento del valore delle aree considerato ai fini dell’applicazione dell’IMU”, mentre per il caso di normale “reinserimento” delle previsioni decadute nel nuovo PI né l’art. 18 della l.r. n. 11/2004, né altra disposizione regionale prevedono alcun “prelievo para-fiscale”.

Confermando il giudizio fortemente critico espresso riguardo ad altre formulazioni normative volte ad inserire nella pianificazione urbanistica momenti di fiscalità locale surrettizia, la norma in commento non può che lasciare perplessi, non fosse altro perché non affronta, né tanto meno chiarisce, il suo rapporto (di concorso, oppure di alternatività) con altre, presenti a livello primario statale[15], o di regolamentazione locale[16], che potrebbero astrattamente ritenersi applicabili anche alla fattispecie qui considerata.

Va, inoltre, sottolineato che il pagamento del contributo – determinato in misura non superiore all’1% del valore delle aree considerato ai fini dell’applicazione dell’IMU – non è “una tantum”, bensì va ripetuto entro il 31 dicembre di ogni anno successivo alla decorrenza del termine quinquennale oggetto di proroga. Ritenendo che la proroga possa avere, al più, durata pari al termine originario, ciò significa che potrebbero aversi fino a 5 versamenti del contributo, che in ciascuna soluzione avrà l’ammontare definito dal comune, entro il limite fissato dalla norma in commento.

Il contributo viene finalizzato “ad interventi per la rigenerazione urbana sostenibile e per la demolizione”, quest’ultima riferita, s’immagina, alle opere incongrue e agli elementi di degrado di cui all’art. 36, co. 1, della l.r. n. 11/2004, laddove alla relativa rimozione non provvedano gli aventi titolo a fronte del riconoscimento di un credito edilizio.[17]

Infine, la disposizione in esame stabilisce che “L’omesso o parziale versamento del contributo nei termini prescritti comporta l’immediata decadenza delle previsioni oggetto di proroga e trova applicazione quanto previsto dal comma 7.

Laddove si ritenga che la richiesta di proroga debba essere sempre presentata prima della scadenza del termine da prorogare e che la relativa “autorizzazione” sia subordinata[18] al pagamento del contributo, si pongono, ad avviso di chi scrive, due problemi interpretativi, forieri di immaginabili incertezze operative:

  • nel caso di omesso versamento della prima “soluzione” del contributo, si può realmente parlare di “immediata decadenza”, o ci si trova, piuttosto, di fronte all’ assenza di una condizione cui è subordinata la concedibilità della proroga, mancando la quale la decadenza di perfeziona al compiersi del quinquennio di vigenza del PI?
  • l’esigenza del “previo versamento” si concilia con il termine fisso, indicato dal legislatore nel 31 dicembre di ogni anno, solo immaginando che quest’ultimo trovi applicazione esclusivamente alle corresponsioni del contributo successive alla prima, visto che questa deve precedere la concessione della proroga?

Quanto all’applicazione del comma 7 a fronte dell’omesso o parziale versamento del contributo, essa comporta che il Comune è comunque tenuto – pena il ricorso all’esercizio dei poteri sostitutivi di cui all’art. 30 – a conferire alle aree di trasformazione o espansione interessate dalla proroga venuta meno una specifica disciplina nel Piano degli interventi, la cui procedura di redazione rischia di moltiplicarsi in tanti episodi quanti solo gli aventi titolo in tutto o in parte “morosi” nel versamento del contributo.

Ciascuno di questi episodi, inoltre, dipende dai tempi e dalle modalità nelle quali si concretizza tale “morosità”, con il discutibile esito di lasciare il processo di pianificazione urbanistica comunale in balia di eventi del tutto estranei alla programmazione dell’Ente.

[1] L’unica diversità è ravvisabile con riferimento all’originario ultimo periodo, che recitava “In tali ipotesi, fino ad una nuova disciplina urbanistica, si applica l’articolo 33”, ora sostituito con “in tali ipotesi si applica l’articolo 33 fino ad una nuova disciplina urbanistica delle aree”.

[2] Art. 18 Procedimento di formazione, efficacia e varianti al Piano degli interventi

2 Il piano degli interventi è adottato e approvato dal consiglio comunale. L’adozione del piano è preceduta da forme di consultazione, di partecipazione e di concertazione con altri enti pubblici e associazioni economiche e sociali eventualmente interessati.

  1. Entro otto giorni dall’adozione, il piano è depositato a disposizione del pubblico per trenta giorni consecutivi presso la sede del comune decorsi i quali chiunque può formulare osservazioni entro i successivi trenta giorni. Dell’avvenuto deposito è data notizia mediante avviso pubblicato nell’albo pretorio del comune e su almeno due quotidiani a diffusione locale; il comune può attuare ogni altra forma di divulgazione ritenuta opportuna.
  2. Nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni il consiglio comunale decide sulle stesse ed approva il piano.
  3. Copia integrale del piano approvato è trasmessa alla provincia ed è depositata presso la sede del comune per la libera consultazione.
  4. Il piano diventa efficace quindici giorni dopo la sua pubblicazione nell’albo pretorio del comune.

[3] Art. 30 – Annullamento dei provvedimenti comunali e poteri sostitutivi

  1. Quando il comune, con riferimento alla formazione o alla variazione degli strumenti di pianificazione urbanistica, non adotti o non compia, entro i termini previsti dalla legge, atti o adempimenti cui è espressamente obbligato, il presidente della provincia esercita i poteri sostitutivi promuovendo d’ufficio, ove possibile, la convocazione dell’organo comunale competente per la deliberazione dell’atto previsto oppure assegnando un termine al comune per il compimento dell’atto o dell’adempimento. Decorso inutilmente il nuovo termine, il presidente della provincia nomina un commissario ad acta. All’atto dell’insediamento il commissario, preliminarmente all’emanazione del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se, anteriormente alla data dell’insediamento medesimo, l’amministrazione abbia provveduto ancorché in data successiva al termine assegnato

[4] Art. 33 – Aree non pianificate

  1. Si intendono aree non pianificate quelle per le quali sia intervenuta la decadenza di cui all’articolo 18, comma 7.
  2. Nelle aree non pianificate esterne al perimetro dei centri abitati, fino alla approvazione di un nuovo piano degli interventi o di una sua variante che le riguardi, sono consentiti i soli interventi ammessi per la zona agricola limitatamente alla residenza.
  3. Nelle aree non pianificate interne al perimetro dei centri abitati, fino alla approvazione di un nuovo piano degli interventi o di una sua variante che le riguardi, sono consentiti i soli interventi di cui alle lettere a), b), c), d), dell’articolo 3 del decreto del presidente della repubblica n. 380 del 2001.

[5] Si veda la precedente nota 3.

[6] Art. 12, comma 1, l.r. n.11/2004. L’art. 13, comma 1, precisa che il PAT è redatto sulla base di previsioni decennali.

[7] Art. 12, comma 2, l.r. n.11/2004.

[8] Art. 14, comma 9, l.r. n.11/2004.

[9] Art. 12, comma 2, l.r. n.11/2004.

[10] Art. 18, comma 7, l.r. n.11/2004, sia nella versione originaria, sia in quella introdotta con l’art. 23 della l.r. n.14/2017.

[11] Nella Regione Veneto il PPA è stato disciplinato dagli artt. 19-21 della l.r. 27 giugno 1985, n. 61.

[12] Sul punto si veda TAR Veneto, Sez. II, 7 aprile 2017, n. 351.

[13] Nel caso dei vincoli preordinati all’esproprio, riconoscendo ai proprietari o altri aventi titolo espropriandi l’indennizzo di cui all’art. 34, comma 4, della l.r. n. 11/2004.

[14] L’uso del condizionale discende dal fatto che se la richiesta di proroga deve essere presentata prima del compiersi del quinquennio, la norma non prescrive affatto che la sua eventuale “autorizzazione” avvenga anch’essa prima della scadenza.

[15] Si pensi, ad esempio, all’art. 16, comma 4 d-ter), del DPR 6 giugno 2001, n. 380, inserito dall’art. 17, comma 1, lett. g), numero 3), del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.

[16] NTO di PI, recanti la disciplina della “perequazione urbanistica”, che configurano obbligazioni a contenuto patrimoniale a carico dei titolari di aree oggetto di pianificazione, sulla base di asseriti plusvalori fondiari loro riconosciuti dalle “nuove” previsioni urbanistiche.

[17] Altra ipotesi potrebbe essere la demolizione di opere abusive, a norma dell’art. 31, comma 5, del DPR 380/2001, qualora non vi abbia provveduto il responsabile dell’abuso.

[18] La disposizione recita “La proroga può essere concessa previo versamento di un contributo”.