Commento all’art. 2 l.r. n. 14/2019

di Dario Meneguzzo e Matteo Acquasaliente

Articolo 2

Definizioni

1. Ai fini della presente legge, si intende per:

a) qualità architettonica: l’esito di un coerente e funzionale sviluppo progettuale, architettonico, urbanistico e paesaggistico che rispetti i principi di utilità e funzionalità, con particolare attenzione all’impatto visivo sul territorio, alla sostenibilità energetica ed ecologica, alla qualità tecnologica dei materiali e delle soluzioni adottate, in un percorso di valorizzazione culturale e identitaria dell’architettura e degli spazi urbani;

b) manufatti incongrui: le opere incongrue o gli elementi di degrado di cui alla lettera f), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14 “Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio””, individuati, anche su istanza di soggetti privati, dallo strumento urbanistico comunale, secondo quanto previsto dall’articolo 4;

c) rinaturalizzazione del suolo: intervento di restituzione di un terreno antropizzato alle condizioni naturali o seminaturali di cui alla lettera a), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14, attraverso la demolizione di edifici e superfici che hanno reso un’area impermeabile, ripristinando le naturali condizioni di permeabilità, ed effettuando le eventuali operazioni di bonifica ambientale; la superficie così ripristinata deve consentire il naturale deflusso delle acque meteoriche e, ove possibile, di raggiungere la falda acquifera;

d) crediti edilizi da rinaturalizzazione: capacità edificatoria di cui al comma 4, dell’articolo 36, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, riconosciuta dalla strumentazione urbanistica comunale in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14, a seguito della completa demolizione dei manufatti incongrui e della rinaturalizzazione del suolo, secondo quanto previsto dall’articolo 4;

e) fonti energetiche rinnovabili: le fonti energetiche rinnovabili non fossili di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”;

f) materiale di recupero: materiali inerti che hanno cessato la loro qualifica di rifiuti a seguito di specifiche operazioni di recupero, incluso il riciclaggio, e che quindi soddisfano i criteri specifici adottati o da adottare nel rispetto delle condizioni definite dall’articolo 184 ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”;

g) prima casa di abitazione: unità immobiliare con destinazione residenziale, in proprietà, usufrutto o altro diritto reale, in cui l’avente titolo o i suoi familiari risiedono oppure si obblighino a stabilire la residenza e a mantenerla per un periodo non inferiore a cinque anni successivi all’agibilità dell’edificio. Per familiari si intendono il coniuge e i parenti fino al terzo grado in linea retta;

h) ambiti di urbanizzazione consolidata: gli ambiti di cui alla lettera e), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 giugno 2017, n. 14;

i) prestazione energetica dell’edificio: prestazione energetica risultante dall’applicazione del decreto ministeriale 26 giugno 2015 “Adeguamento del decreto del Ministro dello Sviluppo economico, 26 giugno 2009 – Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici”.

Sommario: 1. Premessa2. Qualità architettonica3. Manufatti incongrui4. Rinaturalizzazione del suolo5. Crediti edilizi da rinaturalizzazione6. Fonti energetiche rinnovabili7. Materiale di recupero8. Prima casa di abitazione9. Ambiti di urbanizzazione consolidata10. Prestazione energetica dell’edificio11. Considerazione conclusive

1. Premessa

Le definizioni sono espressioni indispensabili per cogliere la ratio della legge e per dipanare eventuali dubbi interpretativi e applicativi della stessa. Anche la l.r. n. 14/2019 non fa eccezione a questa regola: l’art. 2 contiene nove definizioni che, in parte, riproducono quelle contenute nella l.r. n. 14/2017 (“Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo e modifiche della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”), in parte ne specificano alcuni concetti e, infine, ne introducono di nuovi.

Dalla lettura di queste nozioni si desume che la l.r. n. 14/2019 dà nuovo impulso al rinnovamento energetico ed allo sviluppo eco-sostenibile.

2. Qualità architettonica

Nonostante difetti una legge regionale/statale[1] sulla qualità architettonica degli edifici, il legislatore regionale pone molta attenzione a questo profilo che, tuttavia, non deve essere inteso in senso restrittivo, ovvero limitato alle mere modalità progettuali e costruttive dell’immobile. Il concetto di qualità architettonica, infatti, è onnicomprensivo, spaziando dalle tecniche costruttive scrictu sensu intese, alla bioedilizia, all’integrazione dell’edificato con il paesaggio ed il contesto urbano circostante, alla valorizzazione energetica. Trattasi, in definitiva, di un concetto c.d. “filosofico” di ampio respiro, che impone una nuova cultura del costruire, come conferma il suo richiamo nelle finalità della legge (cfr. art. 1).

Giova ricordare che questa definizione, per essere concretamente intesa nella sua effettiva portata innovativa, deve essere necessariamente coordinata con quella contenuta nell’art. 9, c. 1 della l.r. n. 14/2017, rubricato «Politiche per la qualità architettonica, edilizia ed ambientale, per la riqualificazione e per la rigenerazione» [2].

Per dare concreta attuazione a tale obiettivo prefissato dalla legge, è indispensabile un dialogo tra i committenti e i loro professionisti e gli enti interessati (Comune, Provincia, Regione, SS.BB.AA.), tramite i rispettivi organi (Commissione edilizia, Commissione locale per il paesaggio, Conferenza di servizi), che dovranno ricercare professionisti competenti in materia.

A nostro parere la qualità architettonica non esige un rigido appiattimento su schemi tradizionali e collaudati, perché anche un edificio moderno, a certe condizioni, può valorizzare dal punto di vista visivo un territorio con caratteristiche tradizionali. L’importante è trovare il giusto punto di equilibrio tra i valori in gioco. In ogni caso si tratta di una valutazione più tecnica che giuridica.

3. Manufatti incongrui

L’articolo 2, comma 1, lett. b) della legge rinvia alla definizione di opere incongrue contenuta nella legge sul contenimento di consumo di suolo, aggiungendo solo che i manufatti incongrui sono individuati, anche su istanza di soggetti privati, dallo strumento urbanistico comunale, secondo quanto previsto dall’articolo 4, che disciplina la procedura di individuazione mediante una variante urbanistica.

La definizione di manufatti incongrui o di elementi di degrado è contenuta nell’art. 2, c. 1, lett. f) della l.r. Veneto n. 14/2017: «gli edifici e gli altri manufatti, assoggettabili agli interventi di riqualificazione edilizia ed ambientale di cui all’articolo 5, che per caratteristiche localizzative, morfologiche, strutturali, funzionali, volumetriche od estetiche, costituiscono elementi non congruenti con il contesto paesaggistico, ambientale od urbanistico, o sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza». Come si desume facilmente dalla lettura della norma, essa si riferisce a tutte le costruzioni (edifici e non) che sono in contrasto con l’ambiente circostante in ragione sia della loro struttura edilizia obsoleta, sia del grado di abbandono e di vetustà, sia del pericolo per l’ambiente e/o la sicurezza privata/pubblica. La l.r. n. 14/2019 attribuisce ai Comuni, anche su impulso dei soggetti privati proponenti, il compito di classificare, in un apposito elenco normato dall’art. 4, i manufatti incongrui che devono essere demoliti per generare i crediti edilizi da rinaturalizzazione, come previsto nelle finalità dell’art. 1. A tal proposito, l’art. 16 attribuisce alla normativa del PAT e del PI/PRG la funzione, rispettivamente, di fissare i criteri direttivi e di individuare specificatamente queste «opere incongrue».

L’art. 5, inoltre, statuisce che le somme introitate dagli enti per la cessione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione devono essere utilizzate, prioritariamente, per la demolizione dei manufatti incongrui; altre disposizioni sulle opere incongrue si rinvengono anche negli artt. 5, 9 e 10 della l.r. n. 14/2017.

4. Rinaturalizzazione del suolo

Tale nozione rileva in particolare per i crediti edilizi da rinaturalizzazione, disciplinati dall’articolo 4 della legge.

L’articolo 2, comma 1, lettera c), la definisce mediante un rinvio alla nozione di “superficie naturale e seminaturale” contenuta nella legge sul contenimento del consumo del suolo, che viene però integrata con alcune specificazioni che riguardano la bonifica ambientale e il deflusso delle acque meteoriche. La legge vuole che la rinaturalizzazione sia un dato effettivo e concreto e non puramente estetico e apparente: la superficie si può considerare ripristinata solo ove consenta il naturale deflusso delle acque meteoriche e, se le condizioni del sottosuolo lo rendono possibile, anche di raggiungere la falda acquifera.

Per poter generare i crediti edilizi da rinaturalizzazione, la demolizione dei manufatti incongrui di cui alla lett. b) deve comportare l’effettiva naturalizzazione o semi-naturalizzazione del suolo, che l’art. 2, c. 1, lett. a) della l.r. n. 14/2017 individua come: “tutte le superfici non impermeabilizzate, comprese quelle situate all’interno degli ambiti di urbanizzazione consolidata e utilizzate, o destinate, a verde pubblico o ad uso pubblico, quelle costituenti continuità ambientale, ecologica e naturalistica con le superfici esterne della medesima natura, nonché quelle destinate all’attività agricola”.

Praticamente, l’eliminazione del manufatto incongruo o della superficie impermeabilizzata di degrado, deve comportare il ripristino effettivo e concreto delle pregresse ed originarie condizioni naturali di permeabilità del terreno, ovvero permettere e garantire nel tempo il normale deflusso nel sottosuolo delle acque meteoriche e, ove possibile, il raggiungimento della falda acquifera.

A tale scopo il legislatore regionale indica, a titolo esemplificativo, le «eventuali operazioni di bonifica ambientale»: ciò significa che è onere dell’attuale proprietario del sito degradato[3] ed inquinato porre in essere tutte le misure previste dalla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006 (c.d. T.U. ambiente) per eliminare il problema di inquinamento del sito. La norma, quindi, attribuisce al proprietario del manufatto incongruo o dell’elemento di degrado da rimuovere l’obbligo giuridico di verificare, preventivamente, che il sottosuolo sia esente da inquinamento; in caso contrario, infatti, egli avrà l’onere di effettuare la bonifica dell’area, come normata dall’art. 240, lett. p) T.U. ambiente[4], al fine di ottenere l’integrale ripristino ambientale, come definito dall’art. 240, lett. q) T.U. ambiente[5].

In mancanza di tali adempimenti, quindi, il soggetto titolare del manufatto incongruo non potrà usufruire dei crediti da rinaturalizzazione dallo stesso generato; parimenti, se dopo la rinaturalizzazione si scoprissero nuovi e/o diversi fenomeni di inquinamento del sottosuolo, è logico supporre che l’applicazione del principio comunitario «Chi inquina paga», come interpretato dalla giurisprudenza italiana, permetta di circoscrivere le responsabilità dei vari soggetti coinvolti. L’attuale proprietario del fondo inquinato, infatti, dovrà porre in essere le misure emergenziali di cui all’art. 240, c. 1, lett. m) e n) del d. lgs. n. 152/2006, fermo restando la responsabilità esclusiva dell’autore dell’inquinamento, in caso di responsabilità colposa o dolosa accertata dall’Autorità competente, ex art. 242 del d.lgs. n. 152/2006, quelle concorrenti e/o sostitutive del proprietario c.d. incolpevole o degli altri soggetti interessati, ex art. 245 del d.lgs. n. 152/2006 e, infine, quelle residuali dell’Amministrazione ex art. 250 del d.lgs. n. 152/2006.

Conclusivamente, si ricorda che l’art. 4, c. 1, lett. c) attribuisce alla Giunta regionale del Veneto il potere di redigere «le modalità per accertare il completamento dell’intervento demolitorio e la rinaturalizzazione» ed al Comune, ai sensi dell’art. 4, c. 2, lett. a), n. 2), il compito di approvare una variante urbanistica al PI/PRG che individui i manufatti incongrui da demolire per ragioni di pubblico interesse, puntualizzando i «costi di demolizione e di eventuale bonifica, nonché di rinaturalizzazione», nonché, ai sensi dell’art. 4, c. 2, lett. b), esplicitando la «definizione delle condizioni cui eventualmente subordinare gli interventi demolitori del singolo manufatto e gli interventi necessari per la rimozione dell’impermeabilizzazione del suolo e per la sua rinaturalizzazione».

Altre disposizioni che trattano il tema della rinaturalizzazione del suolo si rinvengono negli artt. 9 e 15.

5. Crediti edilizi da rinaturalizzazione

L’oggetto del “credito edilizio” è la cubatura edificabile connaturata alla proprietà (cfr. sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980), ed esso, ai sensi dell’art. 2643, n. 2 bis c.c., deve essere trascritto nei Registri immobiliari per essere opposto ai terzi.

Trattasi, in sostanza, di una quantità volumetrica riconosciuta a seguito di interventi di demolizione di manufatti incongrui, eliminazione degli elementi di degrado, realizzazione degli interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica, architettonica ed ambientale, in applicazione delle disposizioni contenute negli strumenti urbanistici.

A livello regionale, i crediti edilizi da rinaturalizzazione sono previsti dall’art. 5 della l.r. n. 14/2017, che ne attribuisce il loro riconoscimento al PI, in conformità all’art. 36, c. 3 della l.r. n. 11/2004, secondo cui: «La demolizione delle opere incongrue, l’eliminazione degli elementi di degrado, o la realizzazione degli interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica, architettonica, energetica, idraulica e ambientale di cui al comma 1, e gli interventi di riordino delle zone agricole di cui al comma 5 bis, determinano un credito edilizio», da leggersi in combinato disposto con il successivo comma 4: «Per credito edilizio si intende una capacità edificatoria riconosciuta a seguito della realizzazione degli interventi di cui al comma 3 ovvero a seguito delle compensazioni di cui all’articolo 37. I crediti edilizi sono annotati nel Registro Comunale Elettronico dei Crediti Edilizi (RECRED) di cui all’articolo 17, comma 5, lettera e), e sono liberamente commerciabili. Il PI individua e disciplina gli ambiti in cui è consentito l’utilizzo dei crediti edilizi, mediante l’attribuzione di indici di edificabilità differenziati, ovvero di previsioni edificatorie localizzate, in funzione degli obiettivi di cui al comma 1, ovvero delle compensazioni di cui all’articolo 37, nel rispetto dei parametri e dei limiti di cui all’articolo 13, comma 1, lettera k)».

I crediti edilizi da rinaturalizzazione costituiscono un bonus edificatorio, espresso in termini di volume o superficie a seconda dei casi e delle scelte dell’Amministrazione coinvolta, ex art. 4, c. 1 lett. a), che consegue alla completa ed integrale demolizione del manufatto incongruo ed alla rinaturalizzazione del suolo, come definito dalla successiva lettera d).

La disciplina puntuale ed esaustiva dei crediti edilizi da rinaturalizzazione, invece, è contenuta nell’art. 4, ma essi vengono trattati anche negli artt. 5, 6, 7, 8, 9, 12 e 15.

6. Fonti energetiche rinnovabili

La l.r. n. 14/2019 introduce, per la prima volta, questa definizione che rinvia al d. lgs. n. 28/2011 “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE” per individuare, nello specifico, le fonti energetiche rinnovabili non fossili.

Il suddetto testo normativo ha il compito di definire gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e di quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti. Si sofferma anche sulle norme relative ai trasferimenti statistici tra gli Stati membri, ai progetti comuni tra gli Stati membri e con i paesi terzi, alle garanzie di origine, alle procedure amministrative, all’informazione e alla formazione, nonché all’accesso alla rete elettrica per l’energia da fonti rinnovabili, fissando i criteri di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi (cfr. art. 1), da leggersi assieme con i quattro Allegati alla legge.

L’utilizzo delle suddette fonti energetiche rinnovabili è fortemente incentivato dalla l.r. n. 14/2019, che ne richiede la loro installazione per poter usufruire sia dell’ampliamento del 15% previsto dall’art. 6, c. 1, lett. b), sia del bonus del 5% previsto dall’Allegato A richiamato dall’art. 6, c. 3, lett. m), sia per realizzare l’intervento di riqualificazione del tessuto edilizio con incremento del 25% di cui all’art. 7, c. 1, lett. b).

Giova ricordare che, rispetto alla l.r. Veneto n. 14/2009 (cfr. art. 7), non si rinvengono più gli sgravi fiscali-contributivi connessi all’installazione delle suddette fonti energetiche sull’immobile ampliato; tuttavia, come visto supra, la percentuale del bonus edificatorio passa dal 10% al 15%.

Infine, l’art. 15 prevede il monitoraggio regionale anche di tali impianti.

7. Materiale di recupero

Anche la definizione di materiale di recupero è innovativa: essa rinvia alla descrizione contenuta nell’art. 184 ter del d. lgs. n. 152/2006 rubricato «Cessazione della qualifica di rifiuto»[6], come interpretato dalla giurisprudenza[7].

L’utilizzo del materiale di recupero comporta un bonus edificatorio del 5% previsto dall’Allegato A sia nel caso di ampliamento di cui all’art. 6, c. 3, lett. d), sia nell’ipotesi di demolizione e ricostruzione dell’art. 7, c. 2, lett. c).

8. Prima casa di abitazione

La definizione di prima casa di abitazione è indispensabile per poter usufruire degli interventi edificatori previsti dagli artt. 6 e 7 nelle zone agricole (cfr. art. 8) e per poter ottenere alcuni sgravi fiscali-contributivi (cfr. art. 10). A contrariis si desume che, in via generale ed ordinaria, gli interventi de quibus possono essere realizzati su tutti gli edifici esistenti alla data di entrata in vigore della legge (06.04.2019), indipendentemente dalla destinazione d’uso (cfr. art. 3) ed a prescindere dalla destinazione a prima casa di abitazione dell’avente titolo.

Merita sottolineare che l’attuale definizione di «familiari» è più restrittiva di quella contenuta nell’art. 1 bis, c.1, lett. b) della l.r. Veneto n. 14/2009, dato che non comprende più né i parenti in linea collaterale né gli affini entro il secondo grado.

Parimenti, rispetto alla previgente formulazione dell’art. 1 bis, c. 1, lett. a) della l.r. n. 14/2009, la prima casa di abitazione prevede l’obbligo di mantenere la residenza per almeno cinque anni dall’agibilità dell’immobile, ora SCIA agibilità. È logico supporre che tale limite temporale debba applicarsi anche a coloro che già possiedono ivi la residenza, al fine di evitare facili elusioni della normativa. Come si desume dall’art. 10, c. 3 e 4, la violazione di quest’obbligo di legge legittima il Comune a richiedere l’intero versamento del contributo di costruzione, maggiorato del 200%.

9. Ambiti di urbanizzazione consolidata

L’ambito di urbanizzazione consolidata è delineato dall’art. 2, c. 1, lett. e) della l.r. n. 14/2017: «l’insieme delle parti del territorio già edificato, comprensivo delle aree libere intercluse o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa, delle dotazioni di aree pubbliche per servizi e attrezzature collettive, delle infrastrutture e delle viabilità già attuate, o in fase di attuazione, nonché le parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato e i nuclei insediativi in zona agricola. Tali ambiti di urbanizzazione consolidata non coincidono necessariamente con quelli individuati dal piano di assetto del territorio (PAT) ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera o), della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11». In attuazione di tale disposizione, quasi tutti i Comuni del Veneto, ai sensi dell’art. 13, c. 9 della l.r. n. 14/2017, hanno provveduto a circoscrivere tali aree con una delibera del Consiglio comunale o della Giunta comunale, prontamente inviata alla Regione Veneto entro il 25.08.2017.

Solamente pochi Comuni hanno omesso di adempiere a tale richiesta: in tal caso la Regione ha provveduto sua sponte, approvando la d.g.r. n. 1325 del 25.09.2018 (pubblicata sul B.U.R. n. 97 del 25.09.2018).

In seguito, l’Allegato B, punto 3 (pagg. 12-13 e figura 3.1) della d.g.r. n. 668 del 15.05.2018 (pubblicata sul B.U.R. n. 51 del 25.05.2018) ha dettato alcune indicazioni pratico-operative per uniformare, a livello regionale, l’individuazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata effettuata, a monte, dai singoli Comuni – e indicati con un tratteggio nella figura 3.1. sotto riportata –, al fine di ottenere un’effettiva omogeneità di disciplina tra i vari Comuni del Veneto, secondo la seguente tabella riepilogativa a cui gli enti si devono adeguare, adottando un’apposita variante urbanistica, ex art. 48, c. 1-ter l.r. n. 11/2004 ed artt. 4, c. 2, lett. a) e 13, c. 10 l.r. n. 14/2017, entro il termine del 31.12.2019, come prorogato dall’art. 17, c. 7, rispetto al previgente del 25.11.2019. Nella tabella gli ambiti di urbanizzazione consolidata sono indicati dalla linea tratteggiata.

Tanto esposto, l’esatta individuazione degli ambiti di urbanizzazione consolidata è fondamentale per applicare correttamente la l.r. Veneto n. 14/2019 poiché, come previsto dall’art. 3, c. 1, solo all’interno di dette zone è ammesso realizzare l’ampliamento di cui all’art. 6 e l’intervento di riqualificazione edilizia di cui all’art. 7, fatta salva la disciplina “derogatoria” per le zone agricole di cui all’art. 8.

Giova ricordare che l’art. 11, c. 5 attribuisce alcuni poteri derogatori e discrezionali al Comune, con riferimento alle cessioni di standard collegati agli interventi di demolizione e ricostruzione degli immobili.

10. Prestazione energetica dell’edificio

Parimenti nuova si rivela l’ultima definizione dell’art. 2, che rinvia alle disposizioni del decreto interministeriale del 26.05.2015 “Adeguamento linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici”, che si pone la finalità di favorire l’applicazione omogenea e coordinata dell’attestazione della prestazione energetica degli edifici e delle unità immobiliari su tutto il territorio nazionale.

Questa definizione, al pari delle lettere e) fonti energetiche rinnovabili e f) materiale di recupero, permette di ottenere i bonus edificatori previsti dalla normativa. Nello specifico, la qualità energetica dell’intero edificio è indispensabile per realizzare sia l’ampliamento del 15% previsto dall’art. 6, c. 1, lett. a) (Classe A1 della parte ampliata) o l’ulteriore bonus del 15% di cui all’Allegato A previsto dall’art. 6, c. 3, lett. b (Classe A4 dell’intero edificio), sia per l’aggiuntivo incremento del 10% previsto dall’art. 6, c. 5 (Classe A4 dell’intero edificio, purché l’intervento venga realizzato entro il 31.12.2020).

Analogamente, per quanto concerne l’intervento di riqualificazione del tessuto edilizio, l’adeguamento energetico comporta un incremento del 25% previsto dall’art. 7, c. 1, lett. a) (Classe A1 dell’intero edificio), sia per l’ulteriore bonus del 15% di cui Allegato A richiamato dall’art. 7, c. 2, lett. b) (Classe A4 dell’intero edificio), sia per l’aggiuntivo incremento del 20% previsto dall’art. 7, c. 4 (Classe A4 dell’intero edificio, purché l’intervento venga realizzato entro il 31.12.2020).

11. Considerazione conclusive

Da quanto esposto si deduce che la l.r. Veneto n. 14/2019 si pone davvero l’obiettivo di migliorare la qualità architettonica dell’edificato già esistente e di ottimizzare quella futura, utilizzando numerosi incentivi di c.d. green economy.

Desta un po’ di perplessità il fatto che, se da un lato vi è la finalità concreta di densificare l’ambito di urbanizzazione consolidata, dall’altro permane la possibilità – seppur notevolmente ristretta rispetto alla previgente l.r. n. 14/2009 la quale, come noto, permetteva di realizzare un ampliamento staccato sino a 200 metri dall’esistente – di consumare suolo anche in zona agricola e, soprattutto, di sfruttare notevoli bonus edificatori, aggiuntivi rispetto a quelli c.d. ordinari, in deroga al consumo del suolo.

In definitiva, nonostante si tratti di una legge certamente innovativa ed allineata con l’obiettivo europeo di consumo del suolo pari a zero nel 2050, forse, si sarebbe potuto osare di più.

Invero, si sarebbero potute negare definitivamente le capacità edificatorie delle zone agricole, ad eccezione delle aree di coloro che hanno i presupposti soggettivi ed oggettivi di imprenditore agricolo e, parimenti, si sarebbero potute imporre le ulteriori innovazioni energetiche e/o costruttive di cui all’Allegato A senza però attribuire altri vantaggi edificatori in deroga, ma semmai sgravi fiscali-contributivi.

In ogni caso, la linea tracciata dalla Regione è chiara e conforme al diktat europeo ed al sentire sociale.

 

[1] In realtà, durante la XV Legislatura (2006-2008), era stato presentato un disegno di legge recante la «Legge Quadro Sulla Qualità Architettonica».

[2] L’art. 9, c. 1 della l. r. n. 14/2017 recita: «La qualità architettonica si persegue mediante una progettazione che, recependo le esigenze di carattere funzionale, formale, paesaggistico, ambientale e sociale poste alla base dell’ideazione e della realizzazione dell’opera, garantisca l’armonico inserimento dell’intervento nel contesto urbano o extraurbano, contribuendo al miglioramento dei livelli di vivibilità, fruibilità, sicurezza, decoro e garantendone il mantenimento nel tempo».

[3] La giurisprudenza sostiene che il c.d. proprietario incolpevole del sito inquinato ha l’obbligo di adottare esclusivamente le misure emergenziali di messa in sicurezza di emergenza e di messa in sicurezza operativa, a condizione che la spesa possa essere sostenuta senza conseguenze economiche eccessive, mentre quelle ordinarie di bonifica spettano – di regola – al responsabile colposo o doloso dell’inquinamento o, se tale soggetto non è facilmente individuabile, all’Amministrazione competente: “Va ribadito che la pubblica amministrazione non può imporre al proprietario di un’area contaminata, che non sia (anche) l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di attuare le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica di cui all’art. 240 comma 1 lett. m) e p), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253 del medesimo decreto in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare (cfr. TAR Toscana, sez. II – 19/6/2018 n. 882 e la giurisprudenza richiamata). Come evidenziato da TAR Veneto, sez. III – 22/3/2018 n. 333, “Da una piana lettura degli articoli 240, lettere i), m) ed n), 242 e 245, comma 2, del D.Lgs. n.152/2006, alla luce del principio “chi inquina paga” espresso dall’art. 191, par. 2, del TFUE e ribadito dall’art. 239, comma 1, del medesimo D.Lgs. n.152/2006, emerge infatti che il solo soggetto responsabile dell’inquinamento è tenuto, ai sensi del citato 242, ad eseguire (oltre alle misure di prevenzione, la cui definizione è contenuta nella lettera i) del citato articolo 240) anche le misure di messa in sicurezza di emergenza e le opere di bonifica. Il proprietario dell’area che non sia responsabile dell’inquinamento deve invece provvedere, ai sensi del menzionato comma 2 dell’art. 245, a dare comunicazione dell’inquinamento alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente competente, nonché ad attuare unicamente le “misure di prevenzione”, con esclusione delle più gravose misure costituite dalla messa in sicurezza d’emergenza e dalla bonifica (il cui obbligo di attuazione grava, in entrambi i casi, solamente sul soggetto responsabile dell’inquinamento)”” (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 09.10.2018, n. 956).

[4] L’art. 240, lett. p) del d. lgs. n. 152/2006 così la definisce: «l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)».

[5] L’art. 240, lett. q) del d. lgs. n. 152/2006 così lo definisce: «gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici».

[6] L’art. 184 ter del d. lgs. n. 152/2006 recita: “1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

  1. a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
  2. b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
  3. c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
  4. d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
  5. L’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto.
  6. Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le

disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l’art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell’ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione.

  1. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n 209, dal decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e dal decreto legislativo 120 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti.
  2. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.

[7] La giurisprudenza considera “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore abbia l’intenzione di disfarsi: “Ai sensi dell’art.183 del D.lgs. n.152/2006, comma 1, lett.a), è “rifiuto”: “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.

In relazione alla nozione di rifiuto” la giurisprudenza ritiene che in essa rientri qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi, in qualsiasi maniera detta operazione sia compiuta (Corte di Giustizia, sez. V, 15 giugno 2000; TAR Lombardia Milano sez. IV, 27 febbraio 2014, n.534).

In particolare, la nozione di rifiuto non dipende dalla natura del materiale (che abbia o meno valore economico, che sia riutilizzabile o meno), né dall’uso che terzi faranno del materiale stesso una volta che questo sia uscito dalla sfera di controllo del produttore/detentore, ma esclusivamente dalla volontà di quest’ultimo di non voler più utilizzare il materiale stesso, secondo la sua funzione economica di origine (Cass. Pen. sez. III, 20 gennaio 2015, n.29069).

A supporto di quanto appena detto, l’art. 184-ter del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce, al primo comma, che un rifiuto cessa di essere tale, quando è sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo (ma non prima).

Il successivo comma 5 dello stesso art. 184-ter prevede chela disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.

È stato, altresì, affermato cheRientrano nella nozione di “rifiuto”, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 22 del 1997 (come risultante dalla interpretazione autentica effettuata dall’art. 14 della L. n. 187 del 2002) tutti i materiali e i beni di cui il soggetto produttore “si disfi”, con ciò intendendo qualsiasi comportamento attraverso il quale, in modo diretto o indiretto, una sostanza un materiale o un bene siano avviati e sottoposti ad attività di smaltimento o anche di “recupero”, e che sia da altri recuperato e messo in riserva, con esclusione del solo deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui i materiali o beni sono prodotti, non rilevando ad escludere la natura di rifiuto del bene l’intenzione di chi effettua il recupero, o anche la reale possibilità di reimpiego dei materiali nel ciclo produttivo (Cassazione civile sez. II 13 settembre 2006 n. 1964): nella fattispecie decisa dalla sentenza citata, la Corte Suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto costituissero rifiuti i materiali ferrosi stoccati presso una ditta di recupero e destinati parzialmente a recupero previa separazione(TAR Torino sez. II, 4 dicembre 2012, n.1303)” (TAR Sicilia, Catania, sez. I, 12.06.2018, n. 1253).

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