Commento all’art. 8 l.r. n. 14/2019

di Vincenzo Pellegrini

Articolo 8
Interventi in zona agricola

1. Nelle zone agricole è escluso l’utilizzo del credito edilizio da rinaturalizzazione e gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 sono consentiti esclusivamente:
a) per la prima casa di abitazione e relative pertinenze;
b) in aderenza o sopra elevazione;
in deroga ai soli parametri edilizi di superficie e volume.
2. Gli interventi di cui al presente articolo sono ammissibili anche in assenza dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo e del piano aziendale di cui all’articolo 44, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11.

Sommario: 1. Prime considerazioni 2. L’applicabilità della legge “Veneto 2050” nelle zone agricole: esclusioni3. L’applicabilità della legge “Veneto 2050” nelle zone agricole: limiti4. Interventi da legge “Veneto 2050” e ampliamento ex art. 44, co. 5, l.r. n. 11/2004: (molte) analogie e (poche) differenze5. Considerazioni finali

1. Prime considerazioni

L’art. 8 della legge regionale n. 14/2019 detta puntualmente la disciplina per gli interventi previsti dalla legge “Veneto 2050” in zona agricola.

L’interpretazione della presente disposizione non può prescindere da un breve inquadramento preliminare, alla luce dell’evoluzione che la disciplina dell’edificazione “premiale” nelle zone agricole ha subito nella successione delle leggi regionali cd. “Piano Casa”, delle quali la presente costituisce l’esito.

È anzitutto noto che la legge regionale urbanistica n. 11 del 2004 disciplina l’edificazione agricola agli articoli 43 e seguenti. In particolare, l’edificazione sia di case di abitazione sia di annessi rustici funzionali alla produzione è, come noto, subordinata all’art. 44 commi 1 e 2 a rigorosi presupposti soggettivi ed oggettivi, consistenti (in sintesi) nella qualifica soggettiva del richiedente come imprenditore agricolo e nella redazione di un piano aziendale a comprova della sussistenza di alcuni requisiti di vitalità dell’azienda.

In esito ad un intervento di interpretazione autentica approvato dal legislatore regionale con l’art. 5 della l.r. n. 30/2010 – intervento indotto dalla posizione interpretativa opposta assunta dalla giurisprudenza in una nota vicenda giudiziaria in Comune di Cortina d’Ampezzo (TAR Veneto, sez. III, n. 353/2009 e Consiglio di Stato, sez. IV, n. 798/2010) – è stato tuttavia chiarito che la possibilità di ampliamento della prima casa di abitazione fino alla corrispondenza di 800 metri cubi, disciplinato dal comma 5 dell’art. 44 cit., prescinde invece dalla necessaria sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi di cui ai primi due commi dell’art. 44 l.r. n. 11/2004.

In tale contesto si sono succedute le leggi regionali sul “Piano Casa” ed il rapporto tra l’applicazione delle premialità volumetriche (o di superficie) concesse “in deroga” dalla legislazione regionale speciale e le limitazioni all’edificazione ordinaria in zona agricola ha certamente rappresentato il profilo di maggiore impegno interpretativo.

Rammentiamo invero che nella formulazione originaria della legge regionale 14/2009 non era contenuta una previsione specifica per le zone agricole e ciò aveva lasciato spazio ad alcuni dubbi interpretativi. Prevaleva tuttavia la convinzione della applicabilità della disciplina premiale del “Piano Casa” anche in difetto dei requisiti soggettivi ed oggettivi prescritti dall’art. 44 l.r. n. 11/2004 per la generalità degli interventi in zona agricola, ivi inclusi gli edifici produttivi (cd. annessi rustici). In tal senso, peraltro, si schierava la prassi regionale, con la circolare del Presidente della Giunta regionale n. 1 dell’8 novembre 2011, che precisava che, in assenza di limitazioni espresse, la disciplina del Piano Casa andava applicata anche in zona agricola senza necessaria presenza di requisiti soggettivi od oggettivi ulteriori.

Come noto, con il terzo “Piano Casa” del Veneto il legislatore regionale introduceva per la prima volta una norma dedicata specificamente alle zone agricole (art. 3 bis), confermando – questa volta in termini espressi – l’applicabilità delle premialità sia alla residenza sia agli annessi rustici (i.e. fabbricati funzionalmente destinati alla conduzione del fondo).

Anche con la nuova legge regionale “Veneto 2050”, come con la precedente, il Legislatore ha optato per dedicare agli interventi in zona agricola una specifica previsione, ossia l’art. 8 in commento.

A differenza di quanto fin qui avvenuto, la norma sulle zone agricole è tuttavia diretta a tracciare la netta distinzione tra queste ed il resto del territorio, sottolineando per le zone agricole, anche nel tenore letterale, un chiaro rapporto tra regola (non applicabilità delle premialità introdotte dalla legge) ed eccezione (applicazione solo ed esclusivamente nei casi e nei modi indicati). Invero, l’individuazione degli interventi ammissibili in zona agricola avviene anzitutto esplicitando ciò che non è ammesso (“è escluso l’utilizzo del credito edilizio da rinaturalizzazione”) e, per quelli ammessi, limitandone comunque in modo puntuale i casi (“gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 sono consentiti esclusivamente (..)”).

La norma costituisce la chiara conferma dell’orientamento dell’urbanistica alla massima preservazione delle aree agricole, come argine all’espansione disordinata dell’edificazione e come vero e proprio “polmone verde”, con precipua valenza paesaggistica ed ambientale, in linea (non solo con la “petizione di principio” già contenuta nell’art. 44 comma 1 l.r. n. 11/2004, ma soprattutto) con la legge regionale sul “Consumo del Suolo”.

La compenetrazione tra istanze di sviluppo urbano ed esigenze di tutela dell’ambiente e del paesaggio costituisce, indubbiamente, uno dei profili dinamici di maggiore impegno della futura pianificazione del territorio e l’approccio alla “trasformabilità” (rectius ai limiti di trasformabilità) della zona agricola ne rappresenta il primo ed irrinunciabile presidio.

La norma in commento rafforza consapevolmente tale indirizzo culturale e normativo.

2. L’applicabilità della legge “Veneto 2050” nelle zone agricole: esclusioni

Come innanzi anticipato l’articolo in commento si apre con l’individuazione degli interventi edilizi della legge “Veneto 2050” che non possono essere realizzati in zona agricola (“nelle zone agricole è escluso l’utilizzo del credito edilizio da rinaturalizzazione).

In tal senso, il legislatore regionale chiarisce sin dall’esordio che gli interventi realizzabili in zona agricola non potranno beneficiare dei crediti edilizi da rinaturalizzazione, come definiti dall’art. 2, lett. d), e disciplinati dall’art. 4 della legge regionale n. 14 del 2019.

Si badi che la norma impedisce che i crediti generati vengano utilizzati in zona agricola, ma non esclude (direi, ovviamente) che i crediti possano essere generati per effetto di interventi effettuati in zona agricola, che anzi rappresenta una delle aree maggiormente vocate agli interventi di rinaturalizzazione mediante demolizione degli edifici incongrui.

In altri termini, il divieto espressamente posto dal legislatore regionale è riferito esclusivamente all’utilizzo dei crediti da rinaturalizzazione, ossia al cd. “atterraggio” di siffatti crediti in zona agricola.

In coerenza con siffatta previsione, il Legislatore regionale si premura pertanto di stabilire espressamente, che nelle ipotesi (limitate, v. infra) di interventi di ampliamento e di riqualificazione ammissibili ai sensi della normativa “Veneto 2050” in zona agricola, non si potrà beneficiare dell’incremento di cui all’art. 6, comma 6 né di quello di cui all’art. 7, comma 5, ossia di quelli conseguenti all’utilizzo del credito da rinaturalizzazione.

In linea con tale impostazione e con una rigorosa tendenza al rafforzamento della vocazione “naturalistica” della zona agricola, l’art. 7, comma 7, della legge regionale n. 14/2019 differenzia altresì la disciplina di tale zona omogenea rispetto alle altre zone del territorio con riferimento ai manufatti collocati in zona impropria, consentendone la demolizione e ricostruzione con adeguamento dell’uso solo per quelli collocati in zona diversa da quella agricola; nel mentre, per quelli insistenti in zona agricola, la demolizione potrà dare solo diritto al riconoscimento di un credito da rinaturalizzazione da utilizzare obbligatoriamente in altra zona del territorio comunale che non abbia destinazione agricola.

3. L’applicabilità della legge “Veneto 2050” nelle zone agricole: limiti

Tale rigore conservativo della zona agricola trova conferma anche nella disciplina degli interventi ammessi, ove – a rammentarne l’eccezionalità, mediante l’utilizzo dell’avverbio “esclusivamente” – il Legislatore regionale dispone che gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 sono ammessi: a) per la prima casa di abitazione e relative pertinenze; b) in aderenza o sopra elevazione; c) in deroga ai soli parametri edilizi di superficie e volume”.

L’innovazione rispetto alla precedente disciplina del “Piano Casa” è di immediata evidenza, in quanto il legislatore della legge “Veneto 2050” limita le premialità alla “prima casa di abitazione e relative pertinenze”; sicché scompare ogni riferimento ad altri edifici ubicati in zona agricola ed in particolare agli edifici funzionali alla conduzione del fondo (cd. annessi rustici)[1]

Quanto al concetto di prima casa di abitazione anche per le zone agricole il rinvio è chiaramente riferito alla definizione di cui all’art. 2, lett. g) della l.r. n. 14/2019 al cui commento pertanto si rinvia. Aggiungiamo solo che anche per l’edificio prima casa di abitazione e relative pertinenze in zona agricola oggetto degli interventi di ampliamento e riqualificazione, vale la regola per cui deve comunque trattarsi di edifici fisicamente esistenti alla data di entrata in vigore della l.r. n. 14/2019.

La conclusione è imposta anzitutto da ragioni di ordine sistematico, solo si consideri che anche la norma in commento è collocata nel Titolo III avente ad oggetto la “Riqualificazione del patrimonio edilizio esistente”.

Non pare invece necessario che l’edificio esistente debba essere anche già destinato a prima casa di abitazione e ciò lo si desume sia dalla definizione di “prima casa di abitazione” sia dall’impostazione letterale del comma 1, lettera a), dell’articolo 8, laddove accompagna il contenuto dell’intervento (i.e. prima casa di abitazione) con la preposizione “per”, il che suggerisce che per l’applicazione della premialità sia sufficiente la “destinazione finale” dell’edificio esistente (ed oggetto di intervento) a prima casa di abitazione.

Per quanto riguarda il concetto di “relative pertinenze”, esso va correlato rigorosamente alla funzione abitativa e dunque a manufatti a servizio e ornamento dell’abitazione, secondo la definizione isolata dalla copiosa giurisprudenza in materia urbanistica ed edilizia; è invece chiaro che il riferimento alla pertinenza dell’abitazione non possa essere utilizzato per inglobare surrettiziamente ed impropriamente nell’intervento manufatti che, pur aderenti fisicamente all’unità abitativa o insistenti nel medesimo contesto, siano invece pacificamente funzionali all’attività agricola (ad esempio annessi rustici come stalle, fienili, magazzini, etc.), pena la frustrazione della lettera e della chiara ratio della norma, diretta a vincolare le premialità della legge esclusivamente alla prima casa di abitazione.

Il Legislatore regionale ha evidentemente sentito il bisogno di introdurre la precisazione in commento (i.e. “relative pertinenze”) al solo scopo di evitare un’interpretazione eccessivamente restrittiva della nozione “prima casa di abitazione”, consapevole che l’impostazione della norma in commento, strutturata come eccezione alla regola, avrebbe potuto indurre l’interprete ad una aderenza alla lettera eccessivamente rigorosa.

Nessun dubbio, pertanto, che per effetto della puntualizzazione del legislatore regionale in ordine alla tipologia degli edifici che in zona agricola possono essere oggetto degli interventi di cui alla legge regionale n. 14/2019 (i.e. prima casa di abitazione e relative pertinenze), debba concludersi, senza pretese di esaustività della casistica, che gli interventi “premiali” non possano interessare le seconde case, gli annessi rustici, gli agriturismi e gli altri edifici ubicati in zona agricola diversi dalla prima casa di abitazione, che rimarranno dunque normati solamente dalla disciplina “ordinaria”.

Più interessanti sotto il profilo interpretativo sono i due successivi limiti applicativi degli interventi di ampliamento e riqualificazione previsti della legge “Veneto 2050” in zona agricola sub art. 8 c. 1 lett. b) e c).

Si tratta di previsioni che ad una prima lettura paiono del tutto chiare, mentre non mancano alcuni profili di dubbio sul coordinamento delle stesse con gli artt. 6 e 7.

Invero, l’art. 8 precisa al comma 1, lettera b), che gli interventi di cui agli artt. 6 e 7 della l.r. n. 14/2019 in zona agricola aventi ad oggetto la prima casa di abitazione e relative pertinenze devono essere (tassativamente e non in via preferenziale) realizzati solo “in aderenza o sopra elevazione”. Viene invece omesso ogni richiamo alla possibilità – consentita in termini generali dall’art. 6, comma 2, della l.r. n. 14/2019 – di realizzare gli interventi di ampliamento “utilizzando un corpo edilizio già esistente all’interno dello stesso lotto”.

Memori della forte dignità interpretativa che deve essere data al “silenzio” nelle disciplina delle eccezioni (“esclusivamente (…) in aderenza o sopra elevazione”), potrebbe dunque sostenersi che in zona agricola le prime case di abitazione debbano essere ampliate (rectius: anche attraverso la demolizione e ricostruzione), ai sensi del combinato disposto degli artt. 6, 7 e 8 l.r. n. 14/2019, senza poter utilizzare, allo scopo, un corpo edilizio già esistente all’interno dello stesso lotto ed avente destinazione diversa dalla destinazione abitativa, sia esso o meno aderente al corpo di fabbrica destinato all’abitazione.

Una simile interpretazione proverebbe tuttavia davvero troppo, posto che il riutilizzo di volumi esistenti per finalità coerenti con ciò che è ammesso dalla legge – piuttosto che l’edificazione di nuovi – costituisce scelta che semmai rafforza la direzione della legge e la riduzione degli impatti dell’edificazione nella zona agricola.

Ipotizzando infatti di avere in zona agricola una prima casa di abitazione con annessa una stalla, dovrebbe concludersi – aderendo alla lettura formalistica innanzi prospettata – nel senso che l’ampliamento premiale potrebbe essere realizzato in sopraelevazione all’abitazione principale oppure in aderenza, ma mediante la realizzazione di un nuovo corpo (l’ampliamento), risultando invece preclusa la possibilità di utilizzare (rectius: recuperare) il corpo di fabbrica già esistente (ad es. la stalla).

Non pare davvero che sia questa l’intenzione del legislatore e che piuttosto debbano farsi delle opportune distinzioni.

Va anzitutto osservato che, sussistendo la possibilità giuridica di ampliamento di un volume-superficie esistente con una determinata destinazione, se tale ampliamento viene eseguito mediante “sacrificio” di un volume esistente con destinazione diversa, il bilancio del carico urbanistico è positivo (i.e. riduzione del volume complessivo esistente) e deve dunque ritenersi che di regola sia sempre ammesso, anche nel silenzio della norma[2]. La circostanza, poi, che l’ampliamento della superficie abitativa mediante “utilizzo” di volume esistente con diversa destinazione avvenga attraverso una demolizione e successiva ricostruzione del volume residenziale piuttosto che attraverso un recupero del volume esistente da destinare al “nuovo utilizzo”, è circostanza che attiene alla tecnica edificatoria (o al tipo di intervento edilizio) ma non ne toglie la coerenza con il principio succitato.

Ciò posto, pare evidente, ad avviso di chi scrive, che i limiti posti dalla norma in commento riguardino esclusivamente la posizione fisica dell’ampliamento dell’abitazione e che esso possa essere eseguito in aderenza o in sopraelevazione, indipendentemente dalla circostanza (ininfluente) che ciò avvenga utilizzando o meno volumi esistenti aventi altra destinazione.

Di conseguenza, in forza di tale dovrebbero ritenersi esclusi, ai sensi della legge in esame, esclusivamente gli ampliamenti dell’abitazione in corpi mantenuti separati dal corpo principale, anche se dovessero essere realizzati mediante recupero di un corpo edilizio esistente avente diversa destinazione.

La limitazione posta dalla norma – anche ricondotta alla lettura che si ritiene preferibile – non è comunque priva di impatto, considerato che poiché la disposizione si riferisce anche alle pertinenze dell’abitazione, si dovrà escludere (a titolo di esempio) che possa essere ricavato un locale pertinenziale dell’abitazione (ovviamente per l’ampliamento concesso dalla legge in commento) ri-utilizzando un annesso rustico insistente (ad esempio, come spetto accade) nella medesima corte o nel medesimo lotto dell’abitazione ma separato da essa.

Tale ultima scelta, applicata nel concreto, potrebbe talvolta rivelarsi perfino contraria al chiaro obbiettivo di limitare il consumo di suolo (salvo, ovviamente, che l’intervento sia compatibile con lo strumento urbanistico comunale; si vedano tuttavia di seguito le riflessioni sugli interventi ex art. 7 in zona agricola).

In altri termini, pare che il legislatore abbia voluto impedire esclusivamente la terza modalità di ampliamento indicata dall’art. 6, co. 2, ove precisa che “L’ampliamento può essere realizzato in aderenza, in sopraelevazione o utilizzando un corpo edilizio già esistente all’interno dello stesso lotto”, ove per “corpo edilizio esistente all’interno dello stesso lotto” deve intendersi, in contrapposizione alle prime due ipotesi (aderenza o sopraelevazione), “un corpo separato”.

Quanto, poi, alla previsione secondo cui l’ampliamento debba avvenire in aderenza pare non vi siano particolari dubbi interpretativi sul fatto che il legislatore abbia utilizzato il termine non nell’accezione tecnica di cui all’art. 877 c.c., bensì in senso atecnico come sinonimo di continuità fisica, risultando dunque ammessi anche gli ampliamenti in appoggio (oltre a quelli in sopraelevazione espressamente previsti).

Venendo alla lett. c) dell’art. 8 in commento, essa non desta particolari dubbi interpretativi.

Desta, tuttavia, qualche perplessità la previsione secondo cui gli interventi in ampliamento e riqualificazione di edifici esistenti in zona agricola possano essere realizzati unicamente “c) in deroga ai soli parametri edilizi di superficie e volume” ma non anche in deroga al parametro dell’altezza, invece consentita dall’art. 11 della legge in termini sostanzialmente generali nelle altre zone omogenee.

Si tratta invero di una prescrizione che mal si concilia con il precedente limite per cui in zona agricola gli interventi di cui agli artt. 6 e 7 devono avvenire (esclusivamente in aderenza o) “…in sopra elevazione”.

Se, da un lato, appare invero comprensibile la finalità di evitare che vengano realizzate prime case di abitazione in zona agricola sviluppate (eccessivamente) in verticale – in contrasto con le forme dell’architettura rurale tipica delle campagne venete – dall’altro lato sarebbe stato sufficiente inserire un “tetto” all’aumento dell’altezza dell’edificio esistente (sufficiente, ad esempio, alla realizzazione di un piano in più), per evitare il rischio di introdurre un potenziale corto circuito tra modalità rigorosamente imposte per eseguire l’ampliamento e inderogabilità del parametro dell’altezza previsto dalla pianificazione (non essendo rare le prescrizioni di PRG che in zona agricola limitano, direttamente o indirettamente, quale effetto della tipologia di interventi ammessi, l’altezza massima degli edifici a quella esistente).

I limiti all’edificazione in zona agricola posti dall’art. 8 meritano quale ulteriore breve riflessione specificamente in relazione agli interventi previsti dall’art. 7.

Tale disposizione, invero, essendo finalizzata alla promozione della riqualificazione del tessuto edilizio, ammette interventi sostanzialmente coincidenti con la “ristrutturazione urbanistica”, essendo ivi promossi interventi di sostituzione, rinnovamento e densificazione del patrimonio edilizio, con conseguenti accorpamenti e riorganizzazioni dei volumi esistenti e “premiali” (v. amplius commento art. 7).

Ci si chiede, pertanto, come vadano coordinate le prescrizioni dell’art. 8, co.1 lettere b) e c) con la facoltà, prevista dalla stessa norma, di realizzare in zona agricola anche gli interventi di “riqualificazione del tessuto edilizio” ex art. 7.

Rilevo anzitutto che, salvo diversa prescrizione impeditiva prevista dal PRG, deve ritenersi pacificamente ammessa la demolizione integrale e la ricostruzione dell’edificio esistente con lo sfruttamento dei benefici ammessi dall’art. 7 cit., considerato che la prescrizione secondo la quale la volumetria premiale va realizzata “in aderenza o sopra elevazione”, non è incompatibile con tale tipologia di intervento.

Il profilo di maggiore problematicità riguarda semmai la realizzabilità di interventi demolizione integrale, accorpamento o comunque redistribuzione degli edifici esistenti all’interno lotto, considerato che tale intervento parrebbe, ad una prima lettura, confliggere con il limite imposto dall’art. 8, co. 1 lett. b) [i.e. sono ammessi interventi “esclusivamente in aderenza o sopraelevazione”], che pare escludere che il volume venga ricomposto altrove rispetto alla posizione ove l’edificio esistente è situato e magari accorpato ad altri volumi ugualmente demoliti.

Pare a chi scrive che la corretta lettura deve tenere a mente che qualora un intervento di riorganizzazione dei volumi insistenti nel lotto sia compatibile con il PRG esso può (deve?) essere eseguito e la presente legge ne incentiva la realizzazione con la premialità volumetrica, in termini generali e di principio.

Pertanto, qualora il suddetto intervento sia astrattamente realizzabile perché compatibile con la disciplina urbanistica della zona agricola, esso potrà essere ovviamente realizzato godendo degli incentivi premiali previsti dall’art. 7.

Si ritiene, tuttavia, che in tal caso non possa applicarsi il limite indicato all’art. 8, co. 1 lett. b), il cui tenore letterale deve far preferire la lettura secondo cui trattasi di limite riguardante esclusivamente gli interventi di ampliamento previsti dall’art. 6 e non quelli di ricomposizione volumetrica, mediante demolizione integrale e ricostruzione, ex art. 7.

Una diversa interpretazione disincentiverebbe (invece che incentivarli) gli interventi di radicale rinnovamento del patrimonio edilizio anche in zona agricola, non consentendo proprio a tali interventi, maggiormente virtuosi nell’ottica della legge, di beneficiare della premialità prevista.

4. Interventi da legge “Veneto 2050” e ampliamento ex art. 44, co. 5, l.r. n. 11/2004

Alla luce delle considerazioni su esposte appare evidente come la nuova normativa “Veneto 2050” con riferimento gli interventi realizzabili su edifici esistenti ubicati in zona agricola, abbia perso gran parte della portata derogatoria che aveva la precedente normativa del “Piano Casa” rispetto alla disciplina a regime dettata dall’art. 44, comma 5, della l.r. n. 11/2004.

La limitazione alla deroga ai soli parametri di superficie e volume nonché la limitazione degli interventi premiali alla sola destinazione residenziale prima casa, riconduce per il resto l’esecutore al necessario rispetto delle norme contenute all’art. 44 della l.r. n. 11/2004 e in particolare al comma 5 di tale norma.

A tale proposito, pare utile rammentare che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 44, co. 5 introdotta dall’art. 34, co. 1, della legge regionale n. 3/2013, così come chiarita dalla circolare regionale n. 96 del 12 novembre 2013, l’ampliamento fino a 800 metri cubi delle case di abitazione è stato ammesso anche per gli “edifici da destinarsi a case di abitazione”; esso tuttavia è consentito “purché la destinazione abitative sia consentita dallo strumento urbanistico generale”, poiché spetta l’art. 43 assegna al PAT il compito di fissare le modalità di intervento per il recupero degli edifici esistenti (comma 1, lett. b), e attribuisce al PI di individuare “le destinazioni d’uso delle costruzioni esistenti non più funzionali alle esigenze dell’azienda agricola” (comma 2, lett. d).

Conseguentemente, anche l’esecuzione degli interventi oggetto della presente legge, quando interessino edifici che non siano già destinati ad abitazione (ma che debbano esserlo per effetto dell’intervento eseguito in zona agricola in forza del combinato disposto degli artt. 8 e 6-7 della legge “Veneto 2050”), presuppongono che la modifica della destinazione d’uso di detti edifici sia consentita dallo strumento urbanistico generale, dovendo ritenersi altrimenti precluso il cambio di destinazione.

Va osservato, inoltre, che, in termini finanche più rigorosi dell’art. 44, comma 5, l’ampliamento della legge “Veneto 2050” in zona agricola è consentito solo per le prime case di abitazione, nel mentre l’ampliamento della norma ordinaria lo consente per tutte le case da destinare ad abitazione (quindi anche alle seconde case).

Peraltro, è venuta meno la previsione che consente il calcolo della premialità sulla volumetria massima ammessa dalla disciplina urbanistica vigente; sicché anche per la zona agricola risulta ora applicata la previsione secondo cui la quantificazione della premialità debba avvenire tenendo conto del volume dell’edificio esistente e non della volumetria massima consentita dalla normativa vigente.

Resta comunque fermo che gli incrementi di volume e comunque gli ampliamenti consentiti dalla legge regionale 11/2014 e dalla legge “Veneto 2050”, concorrono e si cumulano, nei termini previsti dall’art. 11, co. 3, della legge in commento, che chiarisce in termini generali che “Gli interventi di cui agli articolo 6 e 7 sono consentiti a condizione che la capacità edificatoria, riconosciuta dallo strumento urbanistico comunale o dalle normative per l’edificazione in zona agricola, sia stata previamente utilizzata; tale capacità edificatoria può essere utilizzata anche contestualmente agli interventi del comma 1, che possono essere realizzati in più fasi, fino agli incrementi volumetrici o di superficie previsti”.

Da ultimo, così come previsto per gli ampliamenti ex art. 44, co. 5, della legge regionale n. 11 del 2004, anche gli interventi di cui agli artt. 6 e 7 della l.r. 14/2019 (riferiti tuttavia alla prima casa di abitazione in zona agricola) potranno essere realizzati anche da chi non sia in possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo e del piano aziendale di cui all’art. 44, l.r. n. 11/2004, come esplicitato dal secondo comma dell’art. 8 in commento.

5. Considerazioni finali

La legge in commento ha inteso tracciare, in termini molto più marcati che nel passato, la differenza tra la zona agricola e le rimanenti zone del territorio, sottolineando come la prima debba essere oggetto di necessaria preservazione dall’edificazione ed invece strumento pianificatorio di delicato bilanciamento ambientale e naturalistico del territorio. La regola è nessuna premialità edificatoria in zona agricola rispetto alla disciplina ordinaria. Il legislatore ha derogato a tale principio esclusivamente per la prima casa di abitazione – che pur gode già di forme di premialità nella disciplina urbanistica ordinaria – e tenuto conto della obsolescenza del tessuto residenziale in zona agricola e della onerosità degli interventi di adeguamento agli attuali standards (sia delle vecchie case rurali sia delle abitazioni costruite nella seconda metà del secolo scorso beneficiando della legislazione regionale succedutesi) la deroga appare ragionevole e potenzialmente virtuosa.

Si auspica, tuttavia, che, nell’obbiettivo di rafforzamento della direzione sopra descritta, la zona agricola divenga principalmente zona produttrice di crediti edilizi da rinaturalizzazione mediante demolizione di manufatti incongrui e ritengo che in tal senso potrebbe svolgere un ruolo di acceleratore sia la disciplina dei crediti che dovrà approvare la Giunta regionale ai sensi dell’art. 4, co. 1 della legge sia (ma forse soprattutto) la variante comunale prescritta dal comma 2 del medesimo articolo.

Pensare ad una maggiore premialità conseguente alla demolizione dei manufatti incongrui collocati in zona agricola (piuttosto che una equazione 1=1) e perfino ad una maggiore ampiezza di aree di atterraggio e destinazioni d’uso possibili per i crediti così prodotti rispetto a quelli prodotti in altre zone – attribuendo dunque ai “crediti da zona agricola” un “fattore leva” ed una migliore liquidabilità – costituirebbe l’opportuno “incentivo nell’incentivo” alla restituzione delle aree alla loro vocazione ambientale e naturalistica.

È necessario che gli enti, prima di decidere, acquisiscano consapevolezza degli strumenti che la legge fornisce in tale direzione e li utilizzino nella loro piena potenzialità.

[1] Rammentiamo che l’articolo 3 bis della legge regionale n. 14 del 2009, introdotto dalla legge regionale n. 32 del 2013, aveva fugato ogni dubbio sull’applicabilità delle premialità del “Piano Casa” agli annessi rustici, precisando al comma 1 che “Nelle zone agricole gli interventi di cui agli articoli 2 e 3 sono consentiti limitatamente agli edifici a destinazione residenziale e a quelli funzionalmente destinati alla conduzione del fondo agricolo”.

[2] Salvo ovviamente il caso in cui il volume “da sacrificare” debba essere mantenuto all’uso originario in forza di una norma di PRG o di un vincolo culturale.

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