Commento all’art. 6 l.r. n. 14/2019

di Mario Panzarino, Giorgio Migotto e Massimo Cavazzana

Articolo 6

Interventi edilizi di ampliamento

1. Gli interventi di riqualificazione urbana rispondono alla finalità del presente Capo e sono 1. È consentito l’ampliamento degli edifici caratterizzati, alla data di entrata in vigore della presente legge, dalla presenza delle strutture portanti e dalla copertura, nei limiti del 15 per cento del volume o della superficie, in presenza delle seguenti condizioni:
a) che le caratteristiche costruttive siano tali da garantire la prestazione energetica, relativamente ai soli locali soggetti alle prescrizioni in materia di contenimento del consumo energetico ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 “Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia”, almeno in classe A1 della parte ampliata;
b) che vengano utilizzate tecnologie che prevedono l’uso di fonti energetiche rinnovabili, secondo quanto previsto dall’Allegato 3 del decreto legislativo n. 28 del 2011.
2. L’ampliamento può essere realizzato in aderenza, in sopraelevazione o utilizzando un corpo edilizio già esistente all’interno dello stesso lotto. Sia l’edificio che l’ampliamento devono insistere in zona territoriale omogenea propria; nel caso di edificio la cui destinazione d’uso sia definita in modo specifico dallo strumento urbanistico, la parte ampliata deve mantenere la stessa destinazione d’uso dell’edificio che ha generato l’ampliamento.
3. La percentuale di cui al comma 1 è elevata fino ad un ulteriore 25 per cento con le modalità stabilite dall’allegato A, in funzione della presenza di uno o più dei seguenti elementi di riqualificazione dell’edificio e della sua destinazione d’uso residenziale o non residenziale:
a) eliminazione delle barriere architettoniche di cui alle lettere a), b) e c), del comma 1, dell’articolo 7, della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 “Disposizioni generali in materia di eliminazione delle barriere architettoniche”;
b) prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4;
c) messa in sicurezza sismica dell’intero edificio;
d) utilizzo di materiali di recupero;
e) utilizzo di coperture a verde;
f) realizzazione di pareti ventilate;
g) isolamento acustico;
h) adozione di sistemi per il recupero dell’acqua piovana;
i) rimozione e smaltimento di elementi in cemento amianto;
l) utilizzo del BACS (Building Automation Control System) nella progettazione dell’intervento;
m) utilizzo di tecnologie che prevedono l’uso di fonti energetiche rinnovabili con una potenza non inferiore a 3 kW.
4. Le percentuali di cui ai commi 1 e 3 non possono comportare complessivamente un aumento superiore al 40 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente.
5. Per promuovere l’efficientamento energetico, fino al 31 dicembre 2021(1), gli interventi di cui al presente articolo che garantiscono la prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4, possono usufruire di un ulteriore incremento del 10 per cento del volume o della superficie dell’edificio esistente; in tale caso è conseguentemente incrementata la percentuale in aumento prevista al comma 4.
6. Le percentuali di cui ai commi 1 e 3 possono essere elevate fino al 60 per cento in caso di utilizzo, parziale od esclusivo, dei crediti edilizi da rinaturalizzazione.
7. Nei limiti dell’ampliamento di cui ai commi 1, 3, 4, 5 e 6 è da computare l’eventuale recupero dei sottotetti esistenti aventi le caratteristiche di cui alle lettere a) e b), del comma 1, dell’articolo 2, della legge regionale 6 aprile 1999, n. 12 “Recupero dei sottotetti esistenti a fini abitativi”, con esclusione dei sottotetti esistenti oggetto di contenzioso in qualsiasi stato e grado del procedimento.
8. In caso di edifici composti da più unità immobiliari l’ampliamento può essere realizzato anche separatamente per ciascuna di esse, compatibilmente con le leggi che disciplinano il condominio negli edifici, fermo restando il limite complessivo stabilito ai commi 1, 3, 4, 5 e 6. In ipotesi di case a schiera l’ampliamento è ammesso qualora venga realizzato in maniera uniforme con le stesse modalità su tutte le case appartenenti alla schiera.
9. Qualora l’ampliamento sia realizzato a favore delle attività produttive di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”, e sia superiore al 20 per cento della superficie esistente, o comunque superiore a 1.500 metri quadri, trova applicazione il Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55 “Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante”.

 

(1) L’art. 1 della legge regionale 30 dicembre 2020 n. 43, pubblicata sul BUR Veneto n. 205 del 31 dicembre 2020 ha disposto la proroga al 31 dicembre 2021 del termine originariamente fissato.

SOMMARIO: 1. Gli interventi di ampliamento: le novità2. Interventi minimi: le regole di base dell’ampliamento2.1. Il raggiungimento della classe A1 e l’uso di fonti di energia rinnovabili2.2. L’«esistenza» del fabbricato2.3. La localizzazione dell’ampliamento3. L’aumento delle percentuali di ampliamento: l’incentivazione di nuove buone pratiche4. L’ampliamento meditante utilizzo di crediti da rinaturalizzazione5. Il recupero dei sottotetti6. Ampliamenti di edifici composti da più unità immobiliari 7. Ampliamenti di attività a cui si applicano le norme sullo Sportello Unico

1. Gli interventi di ampliamento: le novità

“Veneto 2050”, colloca l’articolo 6 “Interventi edilizi di ampliamento” nell’ambito del Titolo III della legge, dedicato alla “Riqualificazione del patrimonio esistente”.

Di fatto, l’articolo 6 – assieme al successivo articolo 7 – costituisce il principale “braccio operativo” della l.r. n. 14/2019, sul quale il Legislatore regionale ha chiaramente riposto grandi speranze: prima di tutte quella di eguagliare il “successo”, per certi versi senza precedenti, degli articoli 2 e 3 dell’abrogato “Piano Casa”, che appaiono all’evidenza gli antecedenti “storici” delle nuove norme.

Ciò è vero ancor di più in relazione all’articolo 6 che, per caratteristiche, modalità applicative e benefici, riprende per molti versi il ben noto articolo 2 della legge regionale n. 14/2009, fattispecie che ha rappresentato circa il 90% delle centomila pratiche edilizie presentate in 10 anni in applicazione del “Piano Casa”. Considerato questo background storico, è dunque lecito attendersi, negli anni a venire, una applicazione su vasta scala della norma in commento ed una grande attenzione ai suoi meccanismi di funzionamento.

Ciò premesso in linea generale, è bene fin da subito sottolineare che l’articolo 6 della l.r. n. 14/2019 – mentre mantiene un evidente rapporto di ascendenza formale con l’art. 2 del “Piano Casa” – presenta tuttavia molte ed importanti novità sostanziali rispetto alla norma previgente, connesse in modo evidente allo spirito della nuova legge.

Non è un mistero come all’origine dell’introduzione del “Piano Casa” vi è stata la necessità di far fronte ad una emergenza economica; ciò che il Legislatore ha ritenuto di attuare mediante il recupero del patrimonio edilizio e l’incentivo alla sostenibilità energetica ed ambientale. Per converso, nella nuova iniziativa legislativa, la tutela del patrimonio edilizio, il miglioramento della qualità della vita e la sostenibilità ambientale non sono più mezzi da usare in via temporanea ed eccezionale, ma fini il cui perseguimento viene potenziato, messo a regime e collocato nella prospettiva ormai ineludibile del contenimento del consumo di suolo.

A tal fine, l’articolo 6 propone una serie di incentivi (ampliamenti in percentuale) a fronte di determinati interventi di efficientamento energetico e di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, rappresentati da numerose e specifiche misure elencate nel testo di legge.

Il Legislatore, consapevole della complessità del tema – non esente da valutazioni di tipo tecnico, più che giuridico – ha predisposto un Allegato A, nel quale, attraverso una serie di schede, elenca tutte le misure premiali riconosciute a chi intenda ampliare un edificio (articolo 6) e a chi intenda demolirlo e ricostruirlo (articolo 7). Per ogni ulteriore approfondimento in merito all’Allegato A, si rimanda allo specifico commento.

2. Interventi minimi: le regole di base dell’ampliamento (comma 1 e 2)

Già dalla lettura del primo comma della norma sono evidenti le novità connesse alle nuove finalità della legge: obbligo di miglioramento energetico ed assenza di limiti temporali all’applicabilità della normativa di favore che – diversamente dai “Piani Casa” – rimane vigente a tempo indeterminato, seppur con riferimento solo agli edifici esistenti alla data di entrata in vigore della legge, ovverossia dal 6 aprile 2019.

2.1. Il raggiungimento della classe A1 e l’uso di fonti di energia rinnovabili

Il primo comma dell’articolo 6 consente un ampliamento minimo, fino al 15% del volume o della superficie degli edifici esistenti purché le caratteristiche costruttive della parte ampliata, per i soli locali soggetti alle prescrizioni in materia di contenimento del consumo energetico.  Sono però escluse dall’applicazione delle prescrizioni del d.lgs. 192/05, così come previsto dal Decreto interministeriale 26 giugno 2015 – Adeguamento linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici, le categorie di edifici che risultano non comprese in quelle classificate sulla base della destinazione d’uso di cui all’articolo 3, D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, il cui utilizzo standard non prevede l’installazione e l’impiego di sistemi tecnici, quali box, cantine, autorimesse, parcheggi multipiano, depositi, strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi, (art. 3, c. 3, lett. e) del decreto legislativo) o i manufatti, comunque, non riconducibili alla definizione di edificio dettata dall’art. 2 lett. a) del decreto legislativo (manufatti cioè non qualificabili come “sistemi costituiti dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli impianti e dispositivi tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno”). Si ritiene pertanto che nel caso si ricada in una delle fattispecie sopra richiamate, non ricadendo in locali soggetti alle prescrizioni in materia di risparmio energetico, sia possibile l’ampliamento senza dover ottemperare al requisito previsto nel comma 1, lettera a).

A titolo di esempio si riporta il caso di una richiesta di aumento di volume per la realizzazione di un portico aperto su tre lati adiacente ad un’abitazione esistente, si ritiene che nella fattispecie sia possibile usufruire dell’ampliamento del 15% previsto dalla norma senza ovviamente dover rispettare il limite del raggiungimento della classe A1 per l’ampliamento, in quanto si ricade nel caso di manufatto esterno all’edificio cioè non qualificabile come “sistemi costituiti dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli impianti e dispositivi tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno”.

In relazione alla lettera b), per converso, è utile precisare che la condizione posta dalla norma è il mero utilizzo delle fonti rinnovabili: per giovarsi dunque dell’ampliamento di cui al primo comma non sarà necessario, di per sé, produrre una soglia minima di energia mediante l’uso di rinnovabili (il che si deduce a contrario dalla circostanza che il raggiungimento della soglia dei 3 kW consente, per converso, di giovarsi di un ulteriore premio volumetrico ai sensi del successivo comma 3). Ciò non toglie che il raggiungimento di specifiche soglie di produzione (rectius, di copertura dei consumi mediante utilizzo di fonti rinnovabili) potrebbe essere reso necessario proprio dal rispetto del d.lgs. n. 28/2011 richiamato dalla norma in commento, ove applicabile allo specifico intervento.

L’ampliamento concesso dalla nuova legge, insomma, non viene più riconosciuto senza vincoli “di sostenibilità” energetica ma diviene una condizione necessaria per potersi giovare anche solo in misura minima del bonus di ampliamento.

È davvero un cambio di paradigma, rispetto al passato: questa “condizionalità necessaria”, infatti, finisce per garantire che ogni intervento ammesso dalla legge – che di per sé comporta un aumento del carico antropico sul territorio – debba misurarsi con l’efficientamento energetico e l’utilizzo di fonti rinnovabili, temi che nell’applicazione della nuova legge non saranno quindi più lasciati all’iniziativa del privato, per quanto modesto possa essere l’impatto di quest’ultima.

Di fatto, si tratta della conferma che il raggiungimento di elevati standard in materia di rendimento energetico degli edifici è ormai un elemento imprescindibile, una sorta di certificato di qualità del prodotto che, se da un lato consente il mantenimento del valore dell’immobile nel tempo, dall’altro permette anche apprezzabili economie gestionali ed ambientali.

2.2. L’«esistenza» del fabbricato

Come si è detto, la nuova normativa è pensata come strumento “a regime” e non eccezionale, destinata a regolare senza limiti temporali gli interventi di riqualificazione ed ampliamento dei fabbricati: di qui, l’eliminazione del termine di efficacia temporale della disciplina agli edifici esistenti ad una certa data (che nell’ultima versione del “Piano Casa” era fissato al 31 ottobre 2013).

Ma, se a seguito dell’abrogazione della l.r. n. 14/2009 è venuto meno il riferimento al 31 ottobre 2013, con l’entrata in vigore della legge regionale 25 luglio 2019, n. 29 è stato chiarito che l’edificio è da considerarsi esistente qualora siano presenti le strutture portanti e la copertura alla data del 6 aprile 2019 (data di entrata in vigore della legge), mentre non risulta alcun riferimento circa la presenza o meno dell’agibilità, che dunque non deve ritenersi necessaria.

Il Legislatore regionale, anche a fronte di alcuni dubbi interpretativi emersi dalle prime letture della legge, ha ritenuto opportuno emanare a breve distanza dalla promulgazione della legge una specifica disposizione legislativa, con la quale, sgombrando il campo da ogni incertezza, ha precisato che è possibile applicare i benefici di Veneto 2050 esclusivamente agli edifici esistenti alla data di entrata in vigore della legge e dunque non a quelli successivamente venuti ad esistenza.

Quanto alla definizione di edificio esistente, essa riprende quanto già disposto in tema dalla Circolare regionale n. 1/2014, secondo cui “per poter essere considerato “esistente” l’edificio deve essere perlomeno caratterizzato dalla presenza delle strutture portanti e della copertura, mentre non ne è richiesta l’agibilità.

Si tratta peraltro di una definizione che collima con quella data in tema dalla giurisprudenza ormai consolidata, secondo cui “un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente” (cfr. di recente, TAR Puglia – Bari, sez. III, 09/04/2018, n. 530 ed in termini Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2018 n. 1725, TAR Lombardia – Brescia, Sez. I, 26 settembre 2017 n. 1167) ed un tanto poiché “in mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare l’esistenza e la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 ottobre 2014 n. 5174 ed in termini, Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2016 n. 1025).

2.3. La localizzazione dell’ampliamento

Il testo del secondo comma 2 dell’articolo in commento è chiaro ed i contenuti non dovrebbero dare luogo a letture che si discostino da quello che è il tenore letterale della norma: anche in questo caso, tuttavia, importanti sono le novità meritevoli di qualche accenno.

Secondo le disposizioni del comma secondo, la parte ampliata, generata dall’edificio esistente, dovrà essere obbligatoriamente realizzata in aderenza al medesimo edificio, oppure in sopraelevazione o, infine, utilizzando un edificio già presente all’interno dello stesso lotto.

Rispetto alla normativa previgente, vi è quindi qualcosa di più e qualcosa di meno. Quanto alle aggiunte, viene precisata la possibilità di procedere all’ampliamento mediante sopraelevazione: specificazione opportuna, per quanto il concetto di “aderenza” (l’unico in precedenza utilizzato ai fini di definire le modalità dell’ampliamento in continuità fisica) sia stato nella prassi fin qui inteso in genere anche in senso verticale, e dunque comprensivo anche della sopraelevazione (e così anche in giurisprudenza, si veda TAR Veneto, II, 30 giugno 2010, n. 2745, secondo cui l’ampliamento concesso dall’allora “Piano Casa” poteva “essere realizzato in continuità rispetto al corpo di fabbrica preesistente, ma non importa se in aderenza, in appoggio o in sopraelevazione. Invero, ciò che interessa al legislatore è che l’ampliamento ne sia una prosecuzione fisica e non costituisca una nuova entità distinta dal precedente edificio”).

Ben più innovativo, rispetto alla disciplina previgente, appare invece quanto è stato eliminato, con il risultato in una rilevante riduzione delle modalità di intervento ammesse.

Ed infatti, archiviando definitivamente una modalità di intervento molto discussa, il Legislatore regionale non solo ha stabilito che non sarà più possibile realizzare l’ampliamento in forma di “corpo separato” in un lotto non contiguo ed entro i 200 metri ma, addirittura, ha disposto che non sarà più possibile realizzare in generale alcun ampliamento staccato né sul lotto di pertinenza né su un lotto confinante. Residua quindi oggi la sola possibilità di poter realizzare l’ampliamento derivante dall’applicazione dell’articolo 6 di “Veneto 2050” su un corpo edilizio separato che sia già esistente, ma in tal caso solo ove tale preesistenza sia collocata nello stesso lotto dell’edificio che genera il bonus.

Infine, riprendendo uno dei punti cardine del “Piano Casa”, la norma ci ricorda che sia l’edifico che genera l’ampliamento, sia l’ampliamento da questi generato, devono insistere in zona territoriale omogenea propria.

Sul punto, ricordiamo che la Circolare 1/2014 era intervenuta chiarendo la definizione del concetto di ampliamento “in zona propria” ovvero precisando che “per “zona propria” deve intendersi non la medesima zona territoriale omogenea (…) il termine va riferito, invece, a zone di territorio aventi analoga destinazione e analoghe caratteristiche insediative. Ciò significa che gli ampliamenti possono essere realizzati in zone di completamento edilizio con riferimento a fabbricati in zona di espansione e viceversa, aventi analoga destinazione d’uso, mentre non possono avvenire contaminazioni, per esempio, tra zone di completamento o di espansione residenziale e zone agricole o zone produttive; ugualmente, attese le caratteristiche specifiche del centro storico, non vi possono essere eseguiti ampliamenti di fabbricati edificati in zone di completamento o di espansione”.

Anche rispetto a tale profilo vi è una importante novità, ovvero l’eliminazione dell’unico caso di deroga in precedenza ammesso dalla legge rispetto alla regola dell’insistenza di edificio esistente e ampliamento in zona propria. Ci riferiamo ovviamente alla possibilità introdotta a suo tempo dall’art. 6, co. 2, l.r. n. 4/2015, in base al quale era consentito realizzare l’ampliamento in aderenza anche in zona impropria, ove l’edificio da ampliare fosse collocato in zona propria: intervento che ora non sarà più possibile.

Con la recente legge regionale 25 luglio 2019, n. 29, il Legislatore regionale ha infine ritenuto necessario procedere ad una modifica del comma 2 dell’articolo 6, aggiungendo le parole “nel caso di edificio la cui destinazione d’uso sia definita in modo specifico dallo strumento urbanistico, la parte ampliata deve mantenere la stessa destinazione d’uso dell’edificio che ha generato l’ampliamento”.

Tale precisazione (che, anche in questo caso, si ritiene opportuna per evitare applicazioni non in linea con le finalità della legge) chiarisce che la parte ampliata non può consentire una destinazione d’uso diversa rispetto a quella dell’edificio esistente che dà origine all’ampliamento. La limitazione, tuttavia, non ha portata generale ma vale solo nel caso in cui l’edificio in questione abbia una destinazione “definita in modo specifico”, ovvero in genere – nella prassi pianificatoria – in relazione a edifici che siano disciplinati da apposita scheda con specifiche disposizioni relative alla destinazione d’uso dell’edificio.

Il principale esempio che viene immediatamente in mente è quello relativo alle attività alberghiere, che per l’appunto sono spesso oggetto di schedatura con vincolo di destinazione: in tal senso, se l’edificio che genera l’ampliamento ha una destinazione ricettiva, anche la parte ampliata dovrà mantenere tale destinazione d’uso. E tale obbligo – per un principio di specialità fatto proprio dalla novella – dovrà necessariamente essere rispettato, ancorché lo strumento urbanistico comunale possa in generale consentire utilizzi diversi per l’area in oggetto (c.d. zone miste).

3. L’aumento delle percentuali di ampliamento: l’incentivazione di nuove buone pratiche (comma 3, 4 e 5)

Il testo va inevitabilmente analizzato tenendo “a portata di mano” l’Allegato A, parte integrante di “Veneto 2050”. Rinviando, per ogni ulteriore ragguaglio allo specifico commento predisposto per tale documento, ci limitiamo in questa sede ad alcune osservazioni di carattere più generale.

Nel “Piano Casa” che abbiamo conosciuto per diversi anni, oltre alla premialità iniziale del 20% (o 150 mc per gli edifici unifamiliari) garantita per tutti gli edifici, venivano poi concesse ulteriori premialità a seconda che venissero installati 3 kW da fonti rinnovabili (+10%), oppure si portasse l’edificio generatore di ampliamento alla classe energetica ‘B’ (in questo caso solo per i fabbricati con destinazione residenziale, +15%); erano poi previsti ulteriori incentivi per la messa in sicurezza sismica dell’intero edificio, purché la stessa non fosse già obbligatoria per legge (5% per gli edifici residenziali e 10% per gli edifici ad uso diverso) e un ulteriore bonus (+40%) per gli interventi finalizzati al superamento delle barriere architettoniche

Nella nuova formulazione degli incentivi, prevedendo un massimo di aumento del bonus del 25% (che, sommato al 15% del comma 1, porta ad un totale del 40%), il Legislatore ha voluto da un lato ridurre l’impatto quantitativo del cumulo di incentivi (che non possono comunque superare il 40% dell’esistente) mentre dall’altro lato ha inteso comunque allargare l’offerta delle tipologie di premialità.

Appare assai evidente, per come è formulato il testo – che parla di “innalzamento” della percentuale prevista dal comma 1 – che il 15% concesso dal primo comma rappresenta una sorta di “passaggio obbligato” senza il quale non sembra possibile fruire delle ulteriori premialità previste al comma 3. L’ulteriore 25% previsto dal III comma, come si è detto, è ottenibile, sulla base dei criteri stabiliti dall’Allegato A, mediante la presenza di una o più delle misure di riqualificazione elencate, previste per la destinazione residenziale e non residenziale: e qui, al di là della variazione percentuale di ampliamento, sta la vera novità.

Accanto alle misure che già in passato, anche se in termini diversi, erano state incentivate (ovvero: eliminazione delle barriere architettoniche di cui alle lettere a), b) e c), del comma 1, dell’articolo 7, della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 “Disposizioni generali in materia di eliminazione delle barriere architettoniche”; prestazione energetica dell’intero edificio corrispondente alla classe A4; messa in sicurezza sismica dell’intero edificio; tecnologie, che prevedono l’uso delle fonti energetiche rinnovabili con una potenza non inferiore a 3 kW – ovvero lett. a), b), c) ed m) di cui all’art. 6, co. 3 della legge in commento) nell’elenco previsto oggi dall’art. 6 vengono incentivate tutta una serie di nuove best practices che in precedenza non erano state prese in esame dal Legislatore regionale.

Si tratta di misure che spaziano dal campo della sostenibilità – utilizzo di materiali di recupero, adozione di sistemi per il recupero dell’acqua piovana, lett. d) e h) – a quello della tutela ambientale e dall’inquinamento – coperture a verde, isolamento acustico, rimozione e smaltimento cemento amianto, lett. e), g), i) – ed infine innalzano il livello della qualità edilizia e dell’efficienza energetica – pareti ventilate; sistemi smart building di controllo automatizzato – lett. f) ed l).

Non presenta poi particolari problemi interpretativi la disposizione di cui al quarto comma che, forse in modo un po’ ridondante, semplicemente ci ricorda che viene fissato un limite massimo per l’applicazione combinata delle premialità di cui ai commi 1 e 3. Pertanto, applicando i benefici previsti dal primo comma e sommandoli con una o più premialità previste dal ricco menù offerto dal terzo comma, in ogni caso, non si potrà superare il 40% del volume o della superficie dell’edificio esistente. Tale limite, come scopriremo leggendo i successivi commi 5 e 6, non è comunque invalicabile, in termini assoluti.

Il quinto comma propone infatti una spinta supplementare, per un lasso di tempo limitato (ovverossia sino al 31 dicembre 2020), al fine di rendere maggiormente “appetibile” il raggiungimento di un elevato standard qualitativo ed energetico, rappresentato dalla classe energetica A4 per l’intero edificio.

La norma, infatti, consente una sorta di deroga aggiuntiva, valida solo fino al 31 dicembre 2020, che comporta un ulteriore 10% di ampliamento (oltre la fatidica soglia del 40% di cui al precedente comma) riferito esclusivamente agli interventi che porteranno sia l’edificio esistente che l’ampliamento in classe energetica A4. Tale misura, alla scadenza del termine posto dal quinto comma, sarà regolata a regime quale mero elemento per il calcolo degli incentivi disposti dal precedente comma 3.

Questa ambivalenza – ancorché temporanea – della misura lascia supporre che, finché si applicherà il comma 5, il raggiungimento della classe A4 per l’intero edificio varrà comunque a calcolare, nel mix proposto dall’allegato A e dal comma 3, l’aumento fino al 25% di una misura che, normalmente (sulla base del precedente comma e dell’Allegato A), comporterebbe un aumento del solo 15%.

Quanto al termine di validità della disposizione, qualcuno potrebbe chiedersi per quale ragione tale facoltà vada a scadere al 31 dicembre 2020. Proviamo a fare due calcoli.

La nuova legge è entrata in vigore il 6 aprile 2019, la Giunta regionale, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, di “Veneto 2050” ha quattro mesi di tempo per dettare una specifica disciplina per i crediti edilizi da rinaturalizzazione (CER) e siamo quindi arrivati al 6 di agosto. A questo punto, secondo le disposizioni legislative impartite sempre dall’articolo 4, ma ora dal comma 2, i Comuni avranno 12 mesi di tempo per approvare una specifica variante con la quale andranno ad individuare i manufatti incongrui, la cui demolizione sia di interesse pubblico e darà origine ai CER. Si arriva così al 6 agosto 2020. Infine, ai sensi dell’articolo 7, comma 6, con qualche arrotondamento, si arriva al 31 dicembre 2020. Nello specifico, l’articolo 7, comma 6 della l.r. n. 14/2019, prevede che trascorsi 4 mesi dalla scadenza del termine ultimo previsto per l’adozione della variante urbanistica, è prevista una sorta di ‘tagliola’, ovverossia una riduzione del 15 per cento (in questo caso per i soli interventi di cui all’articolo 7, comma 1), qualora non venga utilizzato credito edilizio da rinaturalizzazione nella misura almeno del 10 per cento.

In buona sostanza, il Legislatore ha previsto una misura di natura straordinaria fintantoché, nella prospettiva della pulizia del territorio e del contenimento del consumo di suolo, non si saranno conclusi i procedimenti necessari a rendere disponibili i CER. Si tratta insomma di un bonus extra del 10% che rappresenta una misura compensativa, che – mentre si consente, prima alla Regione e poi ai Comuni, di ottemperare agli obblighi previsti dalla legge, di mettere in moto tutte le procedure finalizzate all’attivazione dei crediti edilizi da rinaturalizzazione – impedisce che venga penalizzato chi intenda eseguire radicali interventi di ampliamento ed efficientamento energetico degli edifici.

4. L’ampliamento meditante utilizzo di crediti da rinaturalizzazione (comma 6)

Che i CER (crediti edilizi da rinaturalizzazione) siano la vera novità, il motore di “Veneto 2050”, appare chiaro leggendo il testo della norma in commento, che consente il raggiungimento di un ampliamento massimo, sommando le premialità dei commi 1 e 3, fino al 60% dell’esistente mediante utilizzo parziale oppure esclusivo dei CER.

Nel merito osserviamo che, se da un lato appare chiaro come possa avvenire l’utilizzo parziale dei CER sino al raggiungimento della soglia invalicabile del 60%, vale a dire aggiungendo la differenza in CER del 20% alla percentuale massima del 40% ottenibile con l’applicazione dei commi 1 e 3, dall’altro qualche dubbio interpretativo potrebbe sollevare l’espressione “utilizzo esclusivo” dei CER per ottenere il 60% di ampliamento.

Sul punto, val la pena di sottolineare come la norma letteralmente indichi che le percentuali di cui ai commi 1 e 3 “possono essere elevate” sino al 60% con l’uso dei CER: tale locuzione impone di riferire l’uso dei crediti quale mezzo di potenziamento dimensionale tanto dell’intervento di ampliamento “base” (comma 1) quanto di quello incentivato (comma 3) ma esclude, per converso, che l’ampliamento mediante CER possa ritenersi una sorta di intervento “a sé stante”.

Alla stregua di tale inequivoco dato letterale, non sembra quindi ammissibile la realizzazione di un ampliamento del 60% dell’edificio con l’uso esclusivo di crediti, ovvero senza (almeno) il rispetto delle condizioni poste dal comma primo (ampliamento in A1 e uso di fonti rinnovabili). Con la conseguenza che l’intervento massimo possibile (quanto ad uso di CER) sarà per converso quello che consente il raggiungimento del 60% di ampliamento nel solo rispetto delle condizioni di cui al comma 1 (che danno di per sé sole accesso al 15%) mediante uso di CER per il residuo 45% (inteso come differenza tra la soglia minima del 15% e quella massima del 60%, ovvero eventualmente “bypassando”, per così dire, l’applicazione del comma 3).

Se questo è vero, quindi, quando la norma ha indicato l’uso “parziale” dei CER intendeva riferirsi alla misura residuale dell’ampliamento una volta applicati i commi 1 e 3 della norma in commento (ovvero: la percentuale base del 15% viene innalzata parzialmente, fino al 25%, mediante le misure di cui al comma 3 e parzialmente, per il residuo, mediante l’uso dei CER) mentre laddove – in alternativa a tale ipotesi – si è indicato l’uso dei CER nell’ampliamento come “esclusivo”, un tanto si è inteso fare per riferirsi all’innalzamento della percentuale di cui al comma 1 fino al 60% mediante il solo utilizzo di CER.

Inutile sottolineare come tali percentuali – salvo quella base di cui al primo comma, che matura (o non matura) “in blocco” alla presenza delle due condizioni previste –siano ovviamente variabili, a seconda delle caratteristiche che il privato vorrà dare al proprio intervento, secondo un criterio di modularità i cui unici vincoli “esterni” alla progettazione sono rappresentati da: (a) rispetto delle condizioni di cui al comma 1 (b) disponibilità di CER e (c) rispetto del limite massimo invalicabile del 60% dell’esistente.

Per l’effetto, ben possiamo immaginare un intervento “a regime” ex lege 14/2019 che, sulla base dell’applicazione dell’art. 6, porti all’ampliamento – a titolo esemplificativo – del 35% di un edificio esistente, derivante per il 15% dalla soddisfazione delle condizioni del primo comma, per il 10% dall’applicazione variabile, secondo i criteri di cui all’allegato A, di misure di cui al comma terzo e, infine, per il restante 10% mediante utilizzo di CER. Rimane fermo che tale 35% potrebbe comunque, ove necessario, essere innalzato sino al 60% e che, rispetto a tale limite (o comunque al limite di ampliamento prefissato nel progetto), le due percentuali di ampliamento variabili (ovvero quella di cui al terzo comma e quella dei CER) potrebbero comunque ciascuna modificarsi – e conseguentemente modificare l’altra alla stregua di “vasi comunicanti” – a seconda della maggior o minor disponibilità di crediti o del più ampio o ridotto ricorso alle misure previste dal comma 3.

5. Il recupero dei sottotetti (comma 7)

Il comma 7 altro non fa se non riprendere pedissequamente quanto già disposto, in tutte e tre le versioni dell’ormai abrogato “Piano Casa”, in relazione all’utilizzo delle premialità di ampliamento mediante recupero di sottotetti.

Sul punto, appare quindi ancora opportuno far riferimento a quanto già ribadito nella più recente Circolare sul “Piano Casa”, ovvero che i sottotetti – purché soddisfino le condizioni minime fissate dalla l.r. n. 12/1999 – possono essere ricompresi negli interventi proposti anche dalla nuova legge, così tuttavia consumando in tutto o in parte l’ampliamento consentito. Restano ancor oggi esclusi da tale possibilità – al fine di evitare l’uso della norma a fini di sanatoria – i sottotetti che siano tuttora oggetto di contenzioso.

La novità introdotta dalla nuova legge riguarda, coerentemente con il venir meno di un limite temporale associato alla definizione di edificio esistente, l’eliminazione del limite temporale di esistenza anche per i sottotetti, per i quali dunque non vi è alcuna data – eccetto quella di entrata in vigore della legge in commento – alla quale fare riferimento al fine di poterli fare oggetto degli interventi di ampliamento previsti dall’articolo 6.

6. Ampliamenti di edifici composti da più unità immobiliari (comma 8)

Il testo in esame, esattamente com’è accaduto per il precedente comma 7, riporta sostanzialmente il testo del previgente comma quarto della l.r. n. 14/2009, con una novità, salve ovviamente le nuove e diverse percentuali di ampliamento concesse sulla base di “Veneto 2050”.

La conferma del testo è totale con riferimento al rispetto della disciplina dei rapporti condominiali, che di per sé vincola in modo piuttosto stringente ogni iniziativa edilizia che abbia ad oggetto (anche) le parti comuni degli edifici: per l’effetto, infatti, diviene necessario premunirsi di autorizzazione condominiale, da ottenere in base a diverse maggioranze, a seconda della natura dei lavori.

Sfugge a tale regola generale la sola sopraelevazione che, ai sensi dell’art. 1127 c.c., il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico dell’edificio può realizzare autonomamente, ovvero senza alcun assenso dell’assemblea condominiale, in assenza di pregiudizio per le condizioni statiche del fabbricato, per il suo aspetto architettonico e senza diminuire notevolmente l’aria o la luce che accede ai piani sottostanti.

Proprio per tali ragioni, in un’ottica retrospettiva, ben possiamo affermare che i benefici concessi in quasi 10 anni dalla l.r. n. 14/2009 hanno trovato scarsa applicazione nei condomini, e quasi mai in relazione ad interventi che abbiano interessato l’intero edificio, ma – nella maggior parte dei casi – con riguardo per l’appunto ad alloggi ubicati all’ultimo piano che, nei limiti in cui ciò è consentito dal codice civile, sono stati ampliati in via autonoma e senza ricorrere necessariamente all’assemblea condominiale.

Data la conferma della formulazione della norma e il suo richiamo alla disciplina condominiale – formulazione che del resto non potrebbe essere differente, posto che i rapporti condominiali afferiscono al diritto civile e dunque la loro disciplina è sottratta alla potestà legislativa regionale – difficilmente si potrà assistere ad un ampio utilizzo dei benefici concessi anche da “Veneto 2050”, permanendo nella fattispecie quelle oggettive difficoltà (di varia natura ma essenzialmente connesse alla regolamentazione del condominio) che non hanno consentito in passato la realizzazione su vasta scala degli ampliamenti in deroga negli immobili condominiali.

La novità più importante riguarda invece le case a schiera. In questo caso assistiamo ad una sorta di “ritorno al passato”. Il Legislatore, infatti, ha ritenuto di fare “marcia indietro” sull’applicazione degli ampliamenti concessi per le case a schiera.

Rispetto all’articolo 2, comma 4, della l.r. n. 14/2009 infatti, è stato eliminato l’ultimo capoverso, che riportava l’eccezione all’uniformità dell’intervento su tutte le case a schiera in relazione alle “unità di testa che possono avere forma diversa”.

A tale riguardo, è utile fare un po’ di storia. Il “Piano Casa” ha sempre avuto una certa attenzione alle problematiche inerenti alle case a schiera, tipologia edilizia che ha vissuto un vero e proprio boom negli anni ‘80 e ‘90, occupando intere lottizzazioni in combinazioni architettoniche più o meno variegate, a seconda del contesto o delle caratteristiche progettuali che le caratterizzavano. Nella prima e seconda versione del “Piano Casa”, l’intervento nelle case a schiera era possibile, a condizione che vi fosse un progetto unitario che comprendesse l’intero edificio, ciò evidentemente per evitare che un ricorso disomogeneo di ogni singolo proprietario potesse in qualche modo stravolgere l’unitario disegno architettonico originario. La norma, con tale formulazione, manifestò nel tempo alcune criticità applicative, dovute essenzialmente alla difficoltà di ottenere il consenso unanime di tutti i proprietari ad un progetto unitario. Con il “Piano Casa ter”, per tentare di ovviare a tali difficoltà, venne quindi introdotta la possibilità, per le unità di testa, di eseguire in maniera autonoma il proprio progetto di ampliamento in applicazione del “Piano Casa”.

La nuova formulazione della norma ha permesso l’esecuzione di diversi interventi anche sulle case a schiera, agevolando così i proprietari delle unità di testa che – in genere – dispongono di un’area di pertinenza maggiore sulla quale effettuare l’ampliamento.

Nella versione odierna, tuttavia, si ritorna alla situazione precedente, con i limiti e le difficoltà interpretative che possono sorgere in alcuni casi (cosa si intende per modalità uniforme? l’intervento deve essere realizzato da tutti i proprietari della schiera o è sufficiente l’impegno a uniformarsi alla modalità di intervento concordata, ove si voglia procedervi, consentendo dunque che solo alcuni poi vi provvedano realmente?).

7. Ampliamenti di attività a cui si applicano le norme sullo Sportello Unico (comma 9)

Il comma 9 introduce un importante distinguo nella possibilità di giovarsi dei benefici accordati dal presente articolo agli edifici esistenti. Qualora l’ampliamento interessi un’attività produttiva di cui al d.P.R. 160/2010 (normativa regolante il noto procedimento di “Sportello Unico”) e sia superiore al 20% della superficie esistente, o comunque superiore a 1.500 metri quadri, infatti, il disposto in commento impone l’applicazione della l.r. n. 55/2012 (ovvero impedisce quella della l.r. n. 14/2019).

Per meglio comprendere la ratio della norma in commento, appare opportuno un breve passo indietro per esaminare la decennale prassi applicativa del Piano Casa alle attività produttive. Alla stregua della normativa abrogata, infatti, i proprietari di attività produttive, avevano due alternative procedimentali al fine di ampliare il proprio stabilimento di produzione di beni e servizi.

La prima strada – per così dire “ordinaria” – era infatti rappresentata proprio dall’applicazione della l.r. n. 55/2012 ed in particolare dagli artt. 3 (relativo agli interventi meno rilevanti e “realizzabili in deroga allo strumento urbanistico generale”) o 4 (relativo agli interventi “in variante allo strumento urbanistico generale”). L’altra strada – qualora l’attività produttiva fosse ubicata in zona propria – era costituita, per l’appunto, dall’applicazione del Piano Casa.

La scelta era nella piena disponibilità del privato, con il risultato, facilmente immaginabile, che nella stragrande maggioranza dei casi si è privilegiato il ricorso dell’applicazione del “Piano Casa”, marginalizzando in molti casi le pur “rodate” procedure di cui alla legge 55/2012.

Del resto, erano indubbi i vantaggi rappresentati dall’opzione “Piano Casa”: pur permettendo di raggiungere il medesimo obiettivo, quest’ultimo consentiva tempistiche più rapide, non imponeva il coinvolgimento del Consiglio Comunale e non poneva dubbi sul riconoscimento di un contributo straordinario (si veda sul punto la lettura della norma da ultimo privilegiata dal TAR Veneto con la sentenza n. 382/2018resa in relazione all’applicabilità dell’art. 16, co. 4, lett. d-ter), d.P.R. 380/2001 rispetto alle procedure SUAP).

Con la nuova legge, oggi, si pone fine a questa possibilità di scelta, quantomeno per gli interventi di maggior rilevanza: in alternativa agli strumenti dati in via ordinaria dalla l.r. n. 55/2012, le premialità previste dall’art. 6, l.r. n. 14/2019 potranno essere utilizzare solo per gli interventi di ampliamento di un’attività produttiva sino al 20% della superficie esistente ed in ogni caso fino ad un massimo di 1.500 mq; al di sopra di tale soglia, rimarrà per converso la sola possibilità di avvalersi delle disposizioni legislative di cui al d.P.R. n. 160/2010 ed alla l.r. n. 55/2012, seguendo i relativi procedimenti ed assumendo, ove previsti, i relativi oneri.

Con un’ulteriore attenzione: la norma fa espresso ma generico riferimento alle attività produttive di cui alla normativa sullo Sportello unico, ossia non si riferisce a quelle che “storicamente”, per così dire, sono state oggetto di procedure SUAP ma a tutte quelle attività a cui tali procedure sono astrattamente, applicabili. Considerando l’amplissima definizione di “attività produttive” recata dal d.P.R. n. 160/2010, è dunque bene sottolineare che non ci stiamo riferendo solo alle “fabbriche” ma, più in generale, alle “attività di produzione di beni e servizi, incluse le attività agricole, commerciali e artigianali, le attività turistiche e alberghiere, i servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari e i servizi di telecomunicazioni” (cfr. art. 1, co. 1, lett. i), d.P.R. 160/2010).

Il che, in via indiretta, significa che quasi tutte le attività economiche sono sottoposte ai limiti di cui al presente comma e che – per l’effetto – l’art. 6, nell’interezza dei suoi benefici ed incentivi, si applica di fatto alla sola residenza o comunque a destinazioni non aventi rilievo imprenditoriale.

A margine, rimane da chiedersi cosa potrebbe accadere in quegli edifici la cui destinazione – come spesso accade nei centri cittadini – sia mista e comporti nel medesimo fabbricato la coesistenza di un mix di funzioni, laddove ad alcune di esse (residenziali) si applichi l’intero art. 6 e ad alcune altre (commerciali o direzionali) si applichi invece il limite di cui al comma 9. Come si calcolerà il beneficio concesso dalla legge? Per singole unità? E come calcolare il bonus rispetto ad eventuali parti comuni? Ci sembra in tal caso utile suggerire l’utilizzo del criterio della “prevalenza” della destinazione, così come precisato dall’art. 23ter, co. 2, d.P.R. 380/2001, secondo cui “la destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile”, con la conseguenza che la disciplina dell’intervento sull’intero edificio dovrà essere quella applicabile alla destinazione prevalente, in termini di superficie utile, all’interno di quell’edificio.

Posted in Commentario legge regionale n. 14/2019.