Commento all’art. 3 l.r. n. 14/2019

di Silvano Ciscato e Alessandro Veronese

Articolo 3

Ambito di applicazione

1. Gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 si applicano agli edifici con qualsiasi destinazione d’uso negli ambiti di urbanizzazione consolidata, nonché nelle zone agricole nei limiti e con le modalità previsti dall’articolo 8.

2. Gli interventi di cui al comma 1 sono subordinati all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria ovvero al loro adeguamento in ragione del maggiore carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie.

3. Nel caso di edifici che sorgono su aree demaniali o vincolate ad uso pubblico, gli interventi di cui alla presente legge sono subordinati allo specifico assenso dell’ente tutore del vincolo.

4. Gli interventi di cui al comma 1 non trovano applicazione per gli edifici:

a) vincolati ai sensi della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. Nel caso di immobili oggetto di vincolo indiretto, ai sensi dell’articolo 45 del citato decreto legislativo, gli interventi sono consentiti unicamente laddove compatibili con le prescrizioni di tutela indiretta disposte dall’autorità competente in sede di definizione o revisione del vincolo medesimo;

b) oggetto di specifiche norme di tutela da parte degli strumenti urbanistici e territoriali che non consentono gli interventi edilizi previsti;

c) aventi destinazione commerciale, qualora siano volti ad eludere o derogare le disposizioni regionali in materia di commercio, in particolare con riferimento alla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 “Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella regione del Veneto”;

d) anche parzialmente abusivi;

e) ricadenti all’interno dei centri storici ai sensi dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765”, salvo che per gli edifici che risultino privi di grado di protezione, ovvero con grado di protezione di demolizione e ricostruzione, di ristrutturazione o sostituzione edilizia, di ricomposizione volumetrica o urbanistica, anche se soggetti a piano urbanistico attuativo; in tali casi devono comunque essere rispettati i limiti massimi previsti dal n. 1), del primo comma, dell’articolo 8, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968;

f) ricadenti nelle aree con vincoli di inedificabilità di cui all’articolo 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive”, o dichiarate inedificabili per sentenza o provvedimento amministrativo;

g) ricadenti in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata (P3) dai Piani stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico di cui al decreto legge 11 giugno 1998, n. 180 “Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione Campania”, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, nelle quali non è consentita l’edificazione ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 9;

h) che abbiano già usufruito delle premialità di cui alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche” e successive modifiche ed integrazioni, salvo che per la parte consentita e non realizzata ai sensi della predetta legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 e comunque nel rispetto di quanto previsto dalla presente legge.

Sommario: 1. Il primo comma1.1. Aree ed ambiti di urbanizzazione consolidata1.2. La variabilità nel tempo degli ambiti di urbanizzazione consolidata1.3. L’efficacia nel tempo dei provvedimenti ricognitivi degli AUC – 2. Il secondo comma2.1. Le opere di urbanizzazione primaria2.2. La localizzazione delle opere di urbanizzazione primaria2.3. Il concetto di esistenza delle opere di urbanizzazione primaria2.4. L’implementazione delle dotazioni urbanizzative. La via ordinaria2.5. L’implementazione delle dotazioni urbanizzative. La via derogatoria2.6. Il permesso di costruire convenzionato3. Il terzo comma4. Il quarto comma4.1. Il raccordo tra la l.r. n. 14/19 e la l.r. n. 14/09: la lett. h)4.2. La lett. a): gli edifici monumentali ed i vincoli indiretti4.3. La lett. b): le disposizioni di tutela di fonte urbanistica e territoriale4.4. La lett. c): l’inderogabilità della normativa settoriale sul commercio4.5. La lett. d): gli edifici anche parzialmente abusivi4.6. La lett. e): i centri storici4.7. La lett. f): le aree inedificabili4.8. Le fasce di rispetto stradali4.9. La lett. g): le aree di elevata o molto elevata pericolosità idraulica

1. Il primo comma

L’art. 3 “Ambito di applicazione” detta i criteri discretivi degli edifici beneficiari delle facoltà ampliative previste dalla legge.

Il primo criterio, enunciato al comma 1[1], è localizzativo. Il beneficio interessa (al netto, ovviamente, delle esclusioni, che si vedranno oltre) gli edifici[2] ubicati negli ambiti di urbanizzazione consolidata[3] e nelle zone agricole.

1.1. Ambiti ed Aree di urbanizzazione consolidata

La legge, all’art. 2, identifica i primi con le zone di cui alla lettera e), del comma 1, dell’articolo 2, della l.r. n. 14/2017. Ossia, con l’insieme delle parti del territorio già edificato, comprensivo delle aree libere intercluse o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa, delle dotazioni di aree pubbliche per servizi e attrezzature collettive, delle infrastrutture e delle viabilità già attuate, o in fase di attuazione, nonché le parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato e i nuclei insediativi in zona agricola.

E precisa che tali ambiti “non coincidono necessariamente con quelli individuati dal piano di assetto del territorio (PAT) ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera o), della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11”. I quali ultimi, in effetti, sono definiti[4] aree di urbanizzazione consolidata, e non già ambiti.

Le due accezioni non sono necessariamente sovrapponibili, ma vanno comunque coordinate, giacché, non risultando abrogata la prima, deve dedursi che la seconda le si accosti. La distinzione tra le due, pervero, non è solo lessicale, ma si dispiega anche nel procedimento formativo, la prima inscrivendosi nel percorso ordinario di formazione del Piano di Assetto del Territorio, la seconda in un iter a sé stante, semplificato e domestico, coniato dall’art. 14 della l.r. n. 14/2017.

La nozione di area di urbanizzazione consolidata, di cui al predetto art. 13, comma 1, lett. o) della l.r. n.11/2004, in cui sono sempre possibili interventi di nuova costruzione o di ampliamento di edifici esistenti attuabili nel rispetto delle norme tecniche di cui al comma 3, lettera c), da leggersi giustapposta alle lettere l) e p) del medesimo comma 1 dell’art. 13, risponde all’esigenza di tracciare un perimetro stabile della città costruita[5], ossia del nucleo invariabile di quel “tessuto insediativo esistente” le cui potenzialità debbono essere pienamente sfruttate (art. 13, comma 1, lett. k) prima di programmare espansioni, costituendo la prima risorsa cui obbligatoriamente attingere per soddisfare il fabbisogno di sviluppo edilizio[6].

L’Allegato B1 all’atto di indirizzo ai sensi dell’art. 50, comma 1, lett. f), della l.r. n.11/2004, approvato con d.g.r. n. 3811/2009, le definisce “aree caratterizzate da insediamenti e urbanizzazioni consolidate o in via di realizzazione in cui sono ancora possibili interventi di nuova costruzione o di ampliamento di edifici esistenti attuabili con la diretta applicazione delle Norme di Attuazione e del Regolamento Edilizio”, specificando in nota che “Si tratta sicuramente delle zone di completamento e delle aree a servizi (zone F) già realizzate, con l’aggiunta delle zone in corso di trasformazione. Si intendono in corso di trasformazione anche gli Ambiti di Piano Attuativo con la relativa convenzione già stipulata”.

Pare, pertanto, che le aree di urbanizzazione consolidata debbano includere il territorio già edificato o in via di edificazione, comprensivo dei c.d. vuoti urbani, ossia delle superfici inedificate[7], purché servite dal reticolo infrastrutturale esistente, oltre ai nuclei insediativi ubicati in zona agricola[8].

In proposito, pare opportuno esporre un caveat: l’eventuale trasformazione di tali superfici inedificate e non impermeabilizzate, incluse in area di urbanizzazione consolidata[9], non è liberalizzata; ossia, non è sottratta al bilancio del consumo di suolo. L’art. 12, comma 1, lett. a), della l. r. n. 14/2017[10] detta una franchigia limitata agli interventi previsti – all’interno dell’AUC – dagli strumenti urbanistici vigenti al 24 giugno 2017. Eventuali previsioni trasformative posteriori, pertanto, consumeranno suolo, e dovranno essere assunte – salve le eccezioni che si vedranno oltre – a valle dei percorsi definiti dal comma 4bis dell’art. 17 della l. reg. 11/2004, introdotto dall’art. 22 della l. reg. 14/2017.

In breve, pare che l’elemento-chiave per identificare le superfici appartenenti a dette aree abbia natura sostanziale, e consista nel loro inserimento nella geografia urbana tracciata dalla città, pubblica e privata, esistente o in via di realizzazione[11]. Sono, insomma, le superfici, edificate o meno, incluse in quadranti infrastrutturati e nel loro complesso compromessi dalle trasformazioni, avvenute o in corso, dell’originaria superficie naturale.

Di qui l’irreversibilità della loro caratterizzazione quali aree di urbanizzazione consolidata. Fondandosi essenzialmente sulla presenza di dotazioni infrastrutturali, detta caratterizzazione non viene intaccata da eventuali interventi di rinaturalizzazione (ad esempio, condotti via dismissione e bonifica di siti industriali, e loro destinazione a verde) o di rinuncia all’edificazione via “variante verde” ai sensi dell’art. 7 della l. reg. 4/2015[12].

Si ritiene, infatti, che l’intera disciplina sul consumo di suolo debba sottostare al basilare principio (lo si potrebbe definire dogma) di concentrazione dell’edificato entro un perimetro dai contorni regolari. Di conseguenza, il fabbisogno edilizio dovrà essere concentrato all’interno del perimetro urbano, riempiendone anzitutto gli eventuali vuoti.

Di riverbero, le aree in esame si estenderanno con la progressiva ultimazione degli ambiti di trasformazione via via pianificati. In proposito, si ritiene che il PAT dovrà essere correlativamente aggiornato, sino a giungere, con lo scoccare della data/traguardo (il conclamato 2050) o comunque con l’esaurimento del capitale di superficie trasformabile, a tracciare la perimetrazione finale delle aree urbanizzate, realizzando così la coincidenza tra aree ed ambiti di urbanizzazione consolidata[13].

* * *

Come appena veduto, invece, gli ambiti di urbanizzazione consolidata comprendono, oltre alle aree di urbanizzazione consolidata, anche le parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato[14]. Ossia, sotto il profilo fattuale, non ancora trasformate.

La definizione, dunque, che mostra di non temere l’ossimoro includendo nell’urbanizzazione consolidata ciò che per definizione urbanizzato non è, si estende anche alle parti del territorio esterne alla città costruita, alla città in costruzione ed ai loro reticoli infrastrutturali, che risultino giuridicamente pronte per la trasformazione in via di intervento edilizio diretto.

Pare opportuno, qui, sottolineare che nell’Ambito di Urbanizzazione Consolidata non rientra sic et simpliciter qualunque superficie inedificata circondata dalla texture urbana.

Al riguardo, è opportuna una rapida esegesi delle due definizioni, rese all’art. 2, comma 1, lett. e) della l. reg. 14/2017, che prima facie appaiono bisognose di specificazione, poiché potenzialmente equivocabili:

  • aree libere intercluse o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa;
  • dotazioni di aree pubbliche per servizi e attrezzature collettive.

L’elemento che deve guidare l’interpretazione è costituito dal sintagma destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa. Esso deve intendersi, ovviamente (si tratta di definizioni che appartengono alla medesima lettera dello stesso comma) ispirato, ed allineato, alla medesima concezione che include in AUC le parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato. Ed in tal senso va interpretato.

Ora: la quidditas comune a dette fattispecie non può che rinvenirsi nella trasformabilità immediata, ossia non subordinata all’intermediazione di strumenti attuativi.

Conseguentemente, tra le aree libere intercluse o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa vanno incluse solamente le aree inedificate che risultino giuridicamente suscettibili di trasformazione rebus sic stantibus[15]. Ossia che risultino incluse in Z.T.O. edificabile e siano munite delle principali opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Parchi urbani ed in genere scoperti inedificabili (ad esempio, perché di interesse storico-ambientale) sono viceversa privi di tale potenziale trasformativo. E, pertanto, non presentano la caratteristica essenziale per poter essere inclusi in AUC.

Per aree destinate alle dotazioni di aree pubbliche per servizi e attrezzature collettive si devono intendere quelle sulle quali insista un progetto di opera pubblica approvato: al riguardo, non può ritenersi sufficiente a legittimare l’inclusione in AUC della mera previsione dell’opera, effettuata a livello pianificatorio generale. Serve un progetto approvato, con il quale solo s’invera la condizione di immediata trasformabilità che, come veduto costituisce l’elemento-chiave per l’inclusione in AUC degli scoperti liberi[16].

In sintesi: l’elemento chiave, che costituisce il quid pluris che distingue gli ambiti dalle aree di urbanizzazione consolidata ha dunque natura giuridico-formale. Le seconde comprendono anche i suoli trasformabili, purché tali siano immediatamente, ossia senza intermediazione. Vale a dire senza necessità di previa approvazione di uno strumento attuativo o di un progetto di opera pubblica che sia[17].

L’ambito di urbanizzazione consolidata di cui all’art. 2 della l. reg. 14/2017, pertanto, è formato da una diade: la città costruita ed in costruzione, e la città programmata e pronta per la trasformazione.

1.2. La variabilità nel tempo degli ambiti di urbanizzazione consolidata

Quest’ultima non è diacronicamente stabile.

Nel corso del tempo, infatti, e nei limiti del suolo consumabile ai sensi della l.r. n.14/2017 e della d.g.r. n. 668/2018, nuovi PUA possono essere approvati. I terreni interessati, di conseguenza, maturano il presupposto giuridico-formale per essere inseriti in AUC.

Ed in effetti devono esservi collocati. Ciò, non solo per ragioni di parità di trattamento con i terreni omologhi, ossia facenti parte di PUA precedentemente approvati e perciò già inclusi in AUC. Ma anche perché i principi cardine della legislazione sul contenimento del consumo di suolo impongono che le zone compromesse (ossia trasformate o in corso di trasformazione) siano saturate, prima che sia ammissibile ricorrere a nuove espansioni. E la saturazione non può essere conseguita se non attraverso la densificazione promossa dalla l.r. n.14/2019. Va da sé, dunque, che ogni area sulla quale sia approvato un PUA debba essere aggregata alla piastra – l’AUC, appunto – deputata a soddisfare per prima il fabbisogno di sviluppo edilizio.

Ergo, l’AUC va costantemente aggiornato, integrandovi i PUA via via approvati.

Di converso, un PUA approvato può scadere inattuato[18]. Per altro verso, prima della scadenza di legge, i lottizzanti potrebbero rinunciare all’iniziativa, ed avanzare un’istanza ai sensi dell’art. 7 della l. reg. 4/2015[19].

In tale caso, viene meno quell’immediata trasformabilità sulla quale, come appena veduto, riposa l’inclusione, negli ambiti di urbanizzazione consolidata, delle parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato.

Nell’ottica del contenimento del consumo di suolo di cui all’art. 1 della l.r. n.14/2017, pertanto, tale condizione sostanziale dev’essere recepita:

  1. a livello urbanistico, tutelando la risorsa territoriale non più utilizzabile attribuendole lo status protetto di superficie naturale o seminaturale o, in presenza delle condizioni di cui all’art. 2 co. 1, lett. b) della l.r. n. 14/2017, di superficie agricola;
  2. a livello edilizio escludendo anche la possibilità di trasformazione puntiforme, condotta per la via della l.r. n. 14/2019[20].

È del tutto evidente, infatti, che il mancato utilizzo di una risorsa territoriale, per definizione limitata e non rinnovabile, sulla quale sia stato approvato un PUA, manifesti plasticamente l’assenza dei presupposti concreti per la sua, pur precedentemente programmata, trasformazione. Ossia, in ultima analisi, della domanda di quelle nuove costruzioni in quel luogo. E, per converso, attesti la ricorrenza delle condizioni che ne giustificano il congelamento di tale risorsa, a protezione del predetto status, sino all’eventuale momento in cui maturino – nel quadro della legislazione vigente – esigenze che giustifichino la riproposizione del suo sfruttamento.

Di conseguenza, ogni qualvolta un PUA approvato scada inattuato, l’area interessata cessa di far parte dell’ambito consolidato ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e), della l.r. n. 14/2017; sul fronte pianificatorio, tale ambito dovrà essere conseguentemente ridimensionato. Ecco dunque la predetta reversibilità della caratterizzazione di tali parti del territorio quali ambiti di urbanizzazione consolidata.

L’area, tuttavia, non perderà automaticamente l’edificabilità, che le è garantita dallo strumento conformativo, vale a dire dal P.I. Residuerà in capo ai lottizzanti, pertanto, la possibilità di riproporre il Piano attuativo. Questo, fintantoché il Comune non eserciti la facoltà di stralciare l’edificabilità a suo tempo assegnata all’ambito[21]. In tale ultimo caso, l’eventuale riproduzione dell’edificabilità in loco sarà assoggettata – sul livello pianificatorio operativo – ai commi 4 e 4bis dell’art. 17 della l. reg. 11/2004, e – sul livello pianificatorio strategico – al disposto della lett. k) dell’art. 13 della l. reg. 11/2004, come sostituita dall’art. 20 della l. reg. 14/2017.

Se, viceversa, il PUA approvato fosse regolarmente attuato[22], maturerà la condizione che ne giustifica la caratterizzazione stabile quale area di urbanizzazione consolidata, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera o), della l. reg. 11/2004. Caratterizzazione che, viceversa, non sarà più reversibile, essendo l’ambito di PUA oramai pienamente parte della città costruita.

Ne deriva, in estrema sintesi, che la caratterizzazione di tali parti del territorio quali ambiti di urbanizzazione consolidata ai sensi dell’art. 2 della l. reg. 14/2017 è modificabile e reversibile.

***

Fondamentale corollario: se Gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 si applicano agli edifici con qualsiasi destinazione d’uso negli ambiti di urbanizzazione consolidata e l’AUC varia nel tempo, simmetricamente deve variare lo statuto degli edifici esistenti nelle aree incluse nell’AUC[23].

1.3. L’efficacia nel tempo dei provvedimenti ricognitivi degli AUC

Quanto esposto sembra poter orientare l’interprete nell’individuazione dell’effettivo ambito di urbanizzazione consolidata cui applicare, nel corso del tempo, le norme di cui alla l.r. n. 14/2019.

Al riguardo, pare utile formulare alcune considerazioni a corollario.

Anzitutto, una che s’incentra sulla valenza dei due successivi due momenti definitori dei ridetti AUC definiti dalla l.r. n. 14/2017.

Il primo, previsto dal comma 9 dell’art. 13, è provvisorio, ed il suo conio è affidato ad un atto deliberativo comunale, indifferentemente giuntale o consiliare, che doveva essere emanato entro il 24 agosto 2017.

Il secondo, a regime, è affidato alla variante domestica al PAT prevista dal successivo comma 10, vede il suo procedimento formativo disciplinato dall’art. 14 ed il suo termine di emanazione scadere il 31 dicembre 2019, in forza del disposto dell’art. 48-ter della reg. 11/2004, come modificato dall’art. 17, comma 7, della l.r. n.14/2019.

Tale successione fa scaturire una questione: se l’applicazione della l.r. n. 14/2019 debba attendere la formazione della predetta variante domestica al PAT, oppure se possa avvenire sulla base della delibera ricognitiva ai sensi del comma 9 dell’art. 13 della l.r. n. 14/2017.

In proposito osservato che, pur nella sua declinata provvisorietà, la delibera di cui al comma 9 dell’art. 13 dispiegava da subito effetti sul territorio, giacché determinava direttamente ed immediatamente l’inclusione o l’esclusione di un determinato lotto nell’ o dall’AUC, con ogni effetto conseguente.

Pertanto, in astratto, si ritiene che le disposizioni della l.r. n. 14/2019 possano essere applicate anche sulla base di detta delibera, in attesa della variante domestica al PAT.

Si profila tuttavia un non esiguo problema di coordinamento diacronico.

Come esposto in precedenza, la ricognizione basata sul dato formale, in base alla quale sono inseriti in AUC (anche) i PUA approvati, è reversibile. Piani attuativi che al 24 agosto 2017 risultavano approvati, infatti, potrebbero nel frattempo essere scaduti inattuati[24]. Idem per quelli inclusi in AUC dalle imminenti varianti al PAT redatte ai sensi degli artt. 13 comma 10 e 14 della l.r. medesima.

E si è veduto come, di riverbero, i PUA via via approvati dovrebbero anch’essi essere aggregati all’AUC.

Si profilano, dunque, due soluzioni: l’una, formale, in base alla quale gli effetti della legge qui commentata:

  • si applicherebbero comunque alle superfici che fossero state ab origine incluse negli AUC, a prescindere dal fatto che, dopo l’approvazione della delibera ai sensi dell’art. 13 comma 9, o, poi, della variante domestica al PAT, i PUA di appartenenza siano scaduti inattuati;
  • non si applicherebbero ai PUA che fossero sopravvenuti alla formazione degli atti definitori degli AUC ai sensi dell’art. 2 della l.r. n. 14/2017.

L’altra, sostanziale, secondo la quale il venir meno della situazione che legittimava l’inserimento in AUC (costituita dall’inclusione in un PUA approvato e vigente) comporterebbe, per il Comune, l’obbligo di adeguare i suoi provvedimenti, escludendo dall’AUC gli ambiti territoriali dei PUA scaduti senza attuazione. E, di converso, l’approvazione di uno strumento attuativo ne imporrebbe l’aggregazione all’AUC.

Alla luce dei veduti principi generali coniati dalla legge, una forma di cristallizzazione degli AUC, che mantenesse al loro interno ambiti di PUA inattuati, ed escludesse ambiti attuativi di nuova approvazione parrebbe inappropriata, poiché da un lato sottrarrebbe sine die risorse territoriali “vergini” alle norme sul consumo di suolo, dall’altro, impedirebbe la densificazione di ambiti già compromessi.

Non solo: il mantenimento in AUC di ambiti attuativi inattuati perpetuerebbe l’ampliabilità degli edifici esistenti[25] ante 6 aprile 2019 in essi inclusi. In palese violazione della ratio del primo comma dell’articolo in commento. Infatti, limitando il beneficio ampliativo alle costruzioni incluse in AUC, la disposizione congela tutto quanto sia edificato al di fuori di esso. Nell’evidente obiettivo di arrestare il consumo randomico di suolo.

In breve, il mancato, tempestivo adeguamento dell’AUC all’effettiva situazione degli ambiti attuativi tracciati sul territorio comunale, cozzerebbe frontalmente contro i principi informatori della legislazione che promuove il contenimento del consumo del suolo.

Parrebbe preferibile, e corroborato dal percorso formativo semplificato che la rende rapidamente adeguabile, ritenere che gli atti ricognitivi che perimetrano gli AUC debbano essere rimodulati, ogniqualvolta la composizione degli AUC sia incisa dalla nuova approvazione, o dalla scadenza senza attuazione, di un PUA.

Adeguando via via adeguare la perimetrazione degli AUC l’Amministrazione potrà disporre disponga di una sempre aggiornata cognizione del tessuto insediativo esistente, il cui integrale sfruttamento, come accennato, costituisce obbligatorio preludio (contemplando l’utilizzo di nuove risorse territoriali esclusivamente quando non esistano alternative alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto insediativo esistente…) all’avvio di nuove trasformazioni, a prescindere dalla quantità di territorio trasformabile assegnata a ciascun Comune dalla Regione con la delibera giuntale 668 del 15 maggio 2018.

Infine, in sede di riedizione periodica del PAT, il Comune dovrà tenere conto della situazione aggiornata degli AUC di cui alla l.r. n.14/2017, riportandola nel dimensionamento[26], e inserendo i PUA attuati nella perimetrazione delle aree di urbanizzazione consolidata di cui alla lett. o) del comma 1 dell’art. 13 della l.r. n. 11/2004, ossia nel nucleo stabile ed invariabile della città costruita.

***

Va qui formulato un caveat: le aree situati al di fuori dell’AUC non debbono essere sbrigativamente ritenute inedificabili. Esistono, inoltre, ambiti esterni all’AUC la trasformazione dei quali non comporta consumo di suolo.

Questi ultimi sono gli ambiti di cui alle lett. c), d), e), f) g) ed h) del comma 1 dell’art. 12[27], e[28] degli ambiti di cui ai commi 4, 5 e 6 dell’art. 13 della l. r. n. 14/2017[29].

La loro trasformazione non comporta consumo di suolo, per espressa deroga contenuta nella disposizione citata. Tuttavia, gli edifici ivi esistenti non godranno del beneficio di cui alla legger regionale in commento, sino all’approvazione degli strumenti attuativi eventualmente previsti in zona, o comunque al maturare delle condizioni dianzi esaminate che ne legittimino l’inclusione in AUC.

V’è, poi, il caso delle zone mediatamente trasformabili. Ossia, delle zone che lo strumento conformativo designa per l’espansione edilizia ma prive dello strumento attuativo[30], ovvero designate per ospitare un’opera pubblica, non ancora giunta allo stadio della progettazione esecutiva.

Tali zone, anch’esse esterne all’AUC, posseggono uno status edificatorio transeunte, soggetto a consunzione per decorrenza del termine quinquennale per l’approvazione dello strumento attuativo o del progetto esecutivo dell’opera pubblica.

In caso di finalizzazione delle progettazioni (rispettivamente urbanistico-attuativa ed esecutiva) entro detto termine, nulla quaestio: le aree andranno sussunte in AUC.

In mancanza, si verificherà la decadenza di cui al comma 7 dell’art. 18 della l. r. n. 11/2004, e l’Amministrazione dovrà provvedere a pianificare la “zona bianca” così formatasi[31].

Va da sé che tale nuova pianificazione dovrà, ordinariamente, ottemperare in toto alla l. r. n. 14/2017, e pertanto – sul livello pianificatorio operativo – applicare i commi 4 e 4bis dell’art. 17 della l. reg. 11/2004, e – sul livello pianificatorio strategico – il disposto della lett. k) dell’art. 13 della l. reg. 11/2004, come sostituita dall’art. 20 della l. reg. 14/2017.

V’è, però, un’eccezione. L’art. 23, comma 3, della l.r. n. 14/2017 ha introdotto il comma 7bis[32] dell’art. 18 della l.r. n. 11/2004, che ha coniato una corsia preferenziale finalizzata alla conferma delle aree di espansione soggette a strumenti attuativi non approvati[33]. È evidente che detta conferma – come noto subordinata al vaglio discrezionale del Comune – si situa su di un piano diverso rispetto alle previsioni di espansione che si localizzino, ad esempio, su aree agricole. Ed invero l’interpretazione al riguardo corrente in dottrina[34] esclude che tale conferma debba seguire l’iter consensuale-competitivo delineato ai commi 4 e 4bis della l.r. n.11/2004.

In caso di conferma, sarà evitata la formazione della “zona bianca”, ed il prosieguo seguirà la traccia già esposta: se entro il termine di durata della conferma sarà approvato il piano attuativo, l’ambito entrerà in AUC, con conseguente applicabilità della l.r. n. 14/2019 alle preesistenze la cui costruzione strutturale e copertura sia precedente al 6 aprile 2019.

2. Il secondo comma

Il comma ricalca il comma 4 dell’art. 9 della l.r. n.  14/2009, fatta eccezione per l’abbandono della deroga che, nella prima legge sul “Piano Casa” e successive modifiche ed integrazioni, favoriva le prime case di abitazione. Le quali, ora, sono soggette al regime ordinario.

Sul punto, le circolari regionali esplicative[35] di quest’ultima si sono limitate a proporre stringate parafrasi.

Va effettuata, pertanto, un’esegesi attenta.

2.1. Le opere di urbanizzazione primaria

Anzitutto, va definito l’oggetto: le opere di urbanizzazione primaria sono elencate al comma 7 dell’art. 16 del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e constano di strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato. A questi si aggiungono, in forza dell’art. 86, comma 3, del d.lgs. 259 del 2003, le infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici e le opere relative, nonché, in base al comma 7-bis del D.P.R. 380/2001, i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni.

Poi, va analizzata la relazione tra l’oggetto e gli interventi edilizi ammessi dalla legge in esame: qui il tema non si presenta banale.

2.2. La localizzazione delle opere di urbanizzazione primaria

In primo luogo, va definito il perimetro entro il quale debbono essere ubicate le opere urbanizzative la cui esistenza legittima l’intervento. In proposito, si ritiene che detto perimetro coincida con la sub-zona omogenea di appartenenza. Com’è noto, infatti, gli strumenti urbanistici locali scompongono le Zone urbanistiche fondamentali di cui all’art. 2 del d.m. n. 1444/1968 in una pluralità, talvolta in una pletora, di sottozone, sovente coincidenti con ambiti lottizzatori attuati, distinte tra loro da lievi variazioni della disciplina-base. È da ritenere che tali sottozonizzazioni omogenee costituiscano la piastra sulla quale misurare l’esistenza delle opere urbanizzative in funzione dell’intervento ampliativo ai sensi della legge in commento.

2.3. Il concetto di esistenza delle opere di urbanizzazione primaria

Ciò posto, va veduto che cosa si intenda per esistenza di opere di urbanizzazione primaria. Il concetto di esistenza, di per sé, farebbe intendere che gli interventi siano ammissibili in presenza di opere urbanizzative primarie, a prescindere dal loro dimensionamento. La seconda parte del comma, tuttavia, “veste” il concetto di esistenza con il requisito dell’adeguatezza. Tant’è che il suo raggiungimento è condicio sine qua non dell’applicazione della legge ampliativa.

E, giacché si verte sul dimensionamento, l’adeguatezza non può essere misurata con valutazioni estemporanee e casistiche; l’unica unità di misura possibile è costituita rapporto tra dimensionamento dell’edificato ed aree ed attrezzature per servizi definito dal PAT, ai sensi dell’art. 31 della l.r. n. 11/2004. O, in una prospettiva di maggior favore all’esercizio delle facoltà ampliative offerte dalla legge in esame[36], ed al prezzo di un poco commendevole abbassamento dei livelli di dotazioni urbanizzative previste dal Piano (ossia a scapito della città pubblica) scendere sino al quoziente minimo degli “standards” urbanistici di cui al combinato disposto del d.m. n. 1444/1968 e dell’art. 17 della legge n. 765/1967.

Va detto che tale concetto di esistenza delle opere di urbanizzazione primaria, espressa in termini di loro adeguatezza alle prescrizioni di legge, è allineato al paradigma enucleato dalla giurisprudenza per l’applicazione dell’art. 12, comma 2, del d.P.R. 380/2001.

La disposizione recita: “Il permesso di costruire è comunque subordinato alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte del comune dell’attuazione delle stesse nel successivo triennio, ovvero all’impegno degli interessati di procedere all’attuazione delle medesime contemporaneamente alla realizzazione dell’intervento oggetto del permesso”.

E, come accennato, in proposito la giurisprudenza insegna che l’espressione “esistenza” delle opere di urbanizzazione va intesa nel significato di adeguatezza delle opere medesime ai bisogni collettivi; e che, pertanto, tale valutazione circa la congruità del grado di urbanizzazione di un’area non può che essere effettuata alla stregua della normativa sugli standards urbanistici vigenti al momento dell’istanza edificatoria[37].

Pare importante, a questo punto, considerare che la legge in esame – che, a differenza delle pregresse normative sul piano-casa, non ha termine di efficacia – riversa sulla città costruita un massiccio potenziale ampliativo, che si riverbera nella possibile tracimazione dei pesi insediativi, rispetto alle dotazioni e alle infrastrutture esistenti.

Pertanto, in mancanza di un orizzonte temporale dell’efficacia della legge, il predetto, consistente potenziale ampliativo garantito dalla legge, in deroga agli indici di edificabilità del Piano Regolatore Comunale (sui quali le previsioni urbanizzative sono state dimensionate) potrebbe essere attinto a fondo. Ed è del tutto evidente che ampliamenti uti singuli modesti, se largamente diffusi, metterebbero inevitabilmente in crisi il sistema infrastrutturale e dei servizi: la città pubblica, insomma. Con l’effetto di degradare la qualità urbana: risultato diametralmente opposto all’obiettivo regionale di promuovere “misure volte al miglioramento della qualità della vita delle persone all’interno delle città e al riordino urbano (…)”.

2.4. L’implementazione delle dotazioni urbanizzative. La via ordinaria

Parrebbe, pertanto, che ad ogni intervento ampliativo, per quanto molecolare, debba corrispondere un paziente, altrettanto minuzioso adeguamento dell’ossatura urbanizzativa della sottozona.

Principio siffatto pare ormai acquisito in giurisprudenza, e vale tanto per le zone già edificate, quanto per quelle oggetto di piani approvati, ossia, riprendendo le definizioni utilizzate al capo precedente, sia per le aree che per gli ambiti di urbanizzazione consolidata.

Per le aree già edificate, la giurisprudenza insegna come, in caso di nuovi innesti generatori di carico urbanistico, l’intervento urbanizzativo si imponga per garantire un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti[38].

E il paradigma non può che essere costituito dalle dotazioni e dalle infrastrutture richieste dallo strumento urbanistico generale per sostenere il carico urbanistico indotto dal nuovo intervento.

Altrettanto deve valere per i casi in cui oggetto dell’intervento ai sensi della legge in esame sia un edificio incluso in un ambito attuativo approvato o in corso di attuazione.

In tali casi, il dimensionamento dell’urbanizzazione primaria dell’ambito attuativo scorre lungo la soglia minima di legge. E, conseguentemente, dovrà essere adeguato in misura corrispondente all’incremento del peso insediativo determinato dall’intervento in progetto.

Nel caso in cui le opere urbanizzative del Piano attuativo siano eccedentarie rispetto ai minimi, si pone un tema più complesso. Da un lato, infatti, a termini di legge l’aumento del carico urbanistico indotto dal singolo intervento potrebbe essere assorbito dalle dotazioni e infrastrutture esistenti senza necessità di adeguamento.

Dall’altro, però, tale misura eccedentaria è evidente frutto di una sintesi tra interessi pubblici (è ben possibile che il PAT esiga, in determinate Zone, dotazioni e infrastrutture eccedentarie rispetto ai minimi di legge) e privati (i lottizzatori stessi potrebbero voler impreziosire il loro ambito dotandolo, ad esempio, di verde pubblico eccedentario), effettuata in sede di redazione ed approvazione della pianificazione attuativa. Pertanto, in tali casi, non sarà sufficiente verificare sic et simpliciter la sufficienza delle opere di urbanizzazione primaria, rispetto ai minimi definiti dal PAT o, nella prospettiva più favorevole, dal coordinato disposto del d.m. n. 1444/1968 e dell’art. 17 della legge n. 765/1967.

Si dovrà ottenere l’assenso dei proprietari dei lotti inclusi nell’ambito attuativo (il singolo ampliamento, infatti, vincolerebbe a sé una parte della quota eccedentaria, originariamente intesa quale beneficio collettivo) e del Comune, che dovrà accettare la diminuzione della ridondanza urbanizzativa che era stata posta alla base della disciplina lottizzatoria di quell’area.

In tutti i casi, l’obiettivo di implementare in loco le dotazioni urbanizzative appare per certi versi arduo, sia dal punto di vista degli spazi disponibili, che sovente – a tutto concedere che ci siano – sono insufficienti ad allocare standards supplementari, che dal punto di vista della funzionalità, poiché la frammentazione delle dotazioni e delle infrastrutture in una sorta di sprawl urbanizzativo, che oltretutto prescinde dalla loro effettiva fruibilità pubblica, ne infirma la capacità di assolvere alla loro funzione.

Non ignorando detta problematica, molti Comuni hanno coniato, in applicazione analogica del principio di cui all’art. 32, comma 2, della l.r. n. 11/2004[39], disposizioni che definiscono le ipotesi in cui è ammessa la monetizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, ed i criteri di calcolo del relativo importo equivalente, aprendo in tal modo alla delocalizzazione delle dotazioni a standards e delle infrastrutture.

La legge affronta questa problematica, alla cui (parziale) soluzione, in mancanza di disposizioni locali del genere appena accennato, appresta il percorso derogatorio di cui al comma 5 dell’art. 11.

2.5 L’implementazione delle dotazioni urbanizzative. La via derogatoria

La disposizione appena citata recita: “Gli strumenti urbanistici comunali possono individuare gli ambiti di urbanizzazione consolidata nei quali gli interventi di riqualificazione di cui all’articolo 7 consentono la cessione al comune di aree per dotazioni territoriali in quantità inferiore a quella minima prevista dagli articoli 3, 4 e 5 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, qualora sia dimostrato che i fabbisogni di attrezzature e spazi collettivi nei predetti ambiti, anche a seguito del nuovo intervento, sono soddisfatti a fronte della presenza di idonee dotazioni territoriali in aree contermini oppure in aree agevolmente accessibili con appositi percorsi ciclo pedonali protetti e con il sistema di trasporto pubblico. In tale caso il mantenimento delle dotazioni territoriali, infrastrutture e servizi pubblici stabiliti dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968, è assicurato dalla monetizzazione, in tutto o in parte, della quota di dette aree”.

Com’è noto, l’ipotesi di riqualificazione del tessuto esistente di cui all’art. 7, ossia di demolizione e ricostruzione in ampliamento, consente l’allocazione di pesi insediativi anche doppi dei preesistenti.

In tal caso – ma, testualmente, non nell’ipotesi di ampliamenti ai sensi dell’art. 6 – la legge consente di ricorrere ad una sorta di smaterializzazione della quota di dotazioni, delle infrastrutture e dei servizi pubblici dovuta per il singolo intervento, che si convertirebbe in moneta.

In sintesi, lasciando il commento approfondito alla sede appropriata: lo strumento urbanistico generale può perimetrare ambiti di urbanizzazione consolidata nei quali è possibile ridurre, fino ad azzerare, le superfici da cedere a titolo urbanizzativo. La condizione oggettiva di applicabilità di tale deroga è costituita dalla disponibilità, nei pressi o a portata di mobilità lenta o di trasporto pubblico, di dotazioni adeguate. Alla cui implementazione provvederebbero le risorse captate attraverso la monetizzazione, parziale o totale, della quota urbanizzativa di spettanza dei singoli interventi. Si tratta di una disposizione volta a consentire l’applicazione della legge in esame alle Zone (tipicamente, le A e le B), prive di possibilità di ospitare rafforzamenti delle dotazioni e delle infrastrutture.

In verità, l’idea di delocalizzare le opere urbanizzative, rispetto alle aree generatrici dei pesi insediativi, non è una novità; è un rimedio, sinora sfruttato per attenuare ed allontanare – nei limiti del possibile – le tensioni infrastrutturali generate dal tessuto urbano più risalente, e fragile. In questo caso, invece, la delocalizzazione è volta a consentirne la densificazione.

Si tratta di un’opzione delicata, poiché può incidere su equilibri urbani precari.

Opportunamente la legge affida al Comune la scelta se avvalersi o meno (Gli strumenti urbanistici comunali possono individuare …) di questo strumento.

In caso affermativo, si ritiene che il provvedimento ricognitivo degli ambiti ammessi a monetizzazione delle dotazioni e delle infrastrutture dovrà contenere, oltre ai criteri di determinazione dell’importo equivalente, anche l’individuazione precisa delle aree destinate ad accogliere le opere da realizzare mediante le risorse ricavate dalla monetizzazione, e dello specifico capitolo di bilancio a ciò riservato.

In caso negativo, in tutti i casi in cui mancherà la reperibilità fisica di aree da destinare alle opere urbanizzative integrative, l’applicazione della legge in esame non sarà possibile.

In altri termini: semplicemente non facendo uso del potere di cui al comma 5 dell’art. 11, i Comuni potrebbero precludere in via di fatto l’esercizio delle facoltà ampliative/ricostruttive previste dalla legge in esame, nelle zone edificatoriamente sature e più carenti dal punto di vista delle dotazioni infrastrutturali degli AUC.

2.6. Il permesso di costruire convenzionato

Ciò posto, lo strumento cui affidare il reperimento delle dotazioni e delle infrastrutture urbanizzative, è costituito dal permesso di costruire convenzionato, introdotto nell’ordinamento nazionale dal decreto-legge n. 133/2014 (c.d. “Sblocca Italia”), che ha inserito l’art. 28-bis nel d.P.R. n. 380/2001.

Donde, in questa sede ci si limita ad una constatazione: posto che la legge sottopone a permesso di costruire gli interventi che richiedono l’adeguamento delle opere di urbanizzazione in ragione del maggior carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie, ogniqualvolta non sia ammessa la monetizzazione[40] o non vi si ricorra, l’intervento non potrà essere abilitato con SCIA.

3. Il terzo comma

La disposizione riprende testualmente il comma 3 dell’art. 1 della l.r. n. 14/2009 nel testo introdotto dal comma 2 dell’art. 1 della l.r. n. 32/2013, che ha sostituito le parole “di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5” con la parola “edilizi” e che ha soppresso le parole “titolare della proprietà demaniale o”.

Anche in questo caso, le circolari regionali esplicative[41] della l.r. n. 14/2009 si sono limitate a proporre stringate parafrasi la disposizione, del resto, è limpida, et in claris non fit interpretatio.

Ci si può limitare ad osservare che essa non esclude l’applicabilità della legge agli edifici pubblici, pacificamente rientranti tra gli edifici con qualsiasi destinazione d’uso negli ambiti di urbanizzazione consolidata, nonché nelle zone agricole.

Oggetto precipuo della disposizione, comunque, sono gli edifici che sorgono su aree demaniali, o vincolate ad uso pubblico, utilizzati da privati concessionari o proprietari in base ad atti convenzionali che ne disciplinano le modalità ed i limiti di utilizzo.

Tali edifici in astratto godono delle medesime facoltà ampliative, e sono sottoposti alle medesime condizioni, previste dalla legge in esame per il patrimonio edilizio rientrante nel suo orizzonte di azione.

In concreto, tuttavia, l’esercizio di dette facoltà non è rimesso all’esclusiva iniziativa del concessionario o del proprietario, che dovrà munirsi del previo assenso dell’ente tutore.

Detto assenso non costituisce atto dovuto, ma scaturisce da una valutazione di opportunità – alla luce del pubblico interesse – condotta dall’ente, che potrebbe motivatamente negarlo, ovvero subordinarlo ad una correlativa variazione della disciplina di uso e godimento dell’immobile fissata dalla convenzione accessiva alla concessione amministrativa.

4. Il quarto comma

L’art. 3, comma 4, della l.r. n. 14/2019 delimita i casi in cui non trovano applicazione gli articoli 6 e 7 della legge regionale stessa. Nelle fattispecie previste alle successive lettere da a) ad h) non possono essere condotti né gli interventi di ampliamento (art. 6), né gli interventi di riqualificazione del tessuto edilizio tramite integrale demolizione e successiva ricostruzione (art. 7).

Per il vero, la norma in commento riprende in buona parte l’art. 9, comma 1, lettere da a) a g), della previgente l.r. n. 14/2009. La riedizione, però, non sempre è meramente ripropositiva del vecchio testo, di talché è opportuna un’analisi partita delle lettere del comma 4 dell’art. 3, per coglierne le diverse sfumature, non per rieditare commenti, che altri hanno già scritto in materia. L’esposizione sarà, quindi, volta in particolare all’approfondimento delle novità introdotte.

4.1 Il raccordo tra la l.r. n. 14/19 e la l.r. n. 14/09: la lett. h)

Sempre in via preliminare, giova anche osservare come sia di fresco conio la lettera h) del nuovo testo, dalla quale merita principiare la disamina, non solo per l’indubbia novità, ma anche per la sua natura di raccordo tra vecchia e nuova disciplina.

L’art. 17, comma 1, l.r. n. 14/2019 dispone che gli interventi edilizi proposti entro il 31 marzo 2019 continuino ad essere disciplinati dalla l.r. n. 14/2009, di modo che le segnalazioni certificate di inizio attività o le istanze di permesso di costruire seguano la previgente norma regionale.

L’art. 3, comma 4, lett. h), della legge regionale in commento, vieta di principio il cumulo tra le premialità del vecchio Piano Casa e le premialità del nuovo Piano Casa, ma con un’eccezione di rilievo, ossia “salvo che per la parte consentita e non realizzata ai sensi della predetta legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 e comunque nel rispetto di quanto previsto dalla presente legge”.

La ratio della norma appare essere chiara, nel senso di vietare che coloro, che hanno usufruito degli indici premiali concessi dalla l.r. n. 14/2009, possano ora cumulare agli stessi gli indici premiali di cui alla l.r. n. 14/2019. Non è però vietato, essendo anzi consentito, che, laddove l’indice premiale concesso in base alla l.r. n. 14/2009 non sia stato speso o non sia stato consumato completamente, il residuo volumetrico possa essere speso, a determinate condizioni.

Non si tratta, invero, di una semplice operazione aritmetica (di per sé forse neppure agevole), perché, ove anche residuasse una potenzialità edificatoria inespressa in base alla l.r. n. 14/2009, essa comunque potrebbe essere spesa solo nel rispetto della l.r. n. 14/2019. Se anche un edificio esistente alla data del 31 ottobre 2013 non avesse usufruito per nulla dell’indice premiale ex l.r. n. 14/2009, quest’ultimo potrebbe essere applicato solo nel rispetto della disciplina oggi vigente. Ad esempio, neppure un metro cubo derivante dalla l.r. n. 14/2009 potrebbe oggi essere speso per un edificio situato al di fuori degli ambiti di urbanizzazione consolidata, o per ampliare un edificio senza che ricorrano le condizioni previste dall’art. 6.

Un’ulteriore precisazione non sembra inutile riguardo alla locuzione utilizzata dal legislatore regionale, laddove si riferisce alla “parte consentita e non realizzata dalla predetta legge regionale 8 luglio 2009, n. 14”. Per “parte consentita e non realizzata”, in particolare, non sembra doversi ritenere necessariamente assentita (con PdC) o segnalata (con SCIA), quindi assistita da un titolo edilizio già rilasciato o da una segnalazione di inizio attività già inoltrata, ma consentita in potenza dalla l.r. n. 14/2009. È sufficiente che il premio di volumetria o superficie sia conferito dalla previgente norma, anche se non ancora tradotto in atto.

Nel caso, quindi, sussistesse una SCIA o un PdC (l’una come l’altro validi ed efficaci), perfezionata o rilasciato sulla base della l.r. n. 14/2009, ovvero anche una segnalazione di inizio attività o un’istanza di permesso di costruire presentate entro il 31 marzo 2019, l’intervento edilizio potrebbe essere realizzato alle condizioni previste dal titolo, anche se in contrasto con la l.r. n. 14/2019, in forza di quanto previsto dall’art. 17, comma 1, della l.r. n. 14/2019.

Nel caso, in cui invece, non sia stato richiesto alcun PdC o presentata alcuna SCIA entro il 31 marzo 2019, o i titoli – pur antea richiesti ed ottenuti – siano medio tempore decaduti, la volumetria o la superficie assentibile in base a detta legge e mai utilizzata, potrà comunque essere spesa anche nella vigenza della l.r. n. 14/2019, sempre nel rispetto delle condizioni previste dalla vigente norma.

A ben vedere, quindi, gli indici premiali previsti dalla l.r. n. 14/2019 non potranno essere calcolati sul volume o sulla superficie dell’immobile derivante dall’applicazione del precedente Piano Casa. Ma rimane possibile – sussistendo le condizioni previste dal vigente Piano Casa – usufruire del previgente Piano Casa per la parte consentita e non realizzata in base alla l.r. n. 14/2009.

Il che sembra far risorgere, di fatto, il vecchio Piano Casa, il quale, nonostante la sua abrogazione espressa da parte dell’art. 19, comma 1, l.r. n. 14/2019, potrà ancora orientare, come novello Lazzaro, chi potesse ancora rosicchiare qualcosa (o molto) in base alla l.r. n. 14/2009, salvo, comunque, il rispetto della vigente normativa.

Una volta illustrata la novità dell’art. 3, comma 4, lett. h), della l.r. n. 14/2019, vanno analizzate le altre lettere, di cui si compone il comma stesso, per comprende se e cosa sia stato modificato rispetto al previgente art. 9, sottolineando sin d’ora come l’attuale norma disciplinante l’Ambito di applicazione della legge regionale sia ora più opportunamente collocata all’art. 3, ossia fra le prime disposizioni della norma.

4.2. La lett. a): gli edifici monumentali ed i vincoli indiretti

L’art. 3, comma 4, lett. a), della l.r. n. 14/2019 esclude l’applicazione degli articoli 6 e 7 agli edifici “vincolati ai sensi della parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. Nel caso di immobili oggetto di vincolo indiretto, ai sensi dell’art. 45 del citato decreto legislativo, gli interventi sono consentiti laddove compatibili con le prescrizioni di tutela indiretta disposte dall’autorità competente in sede di definizione o revisione del vincolo medesimo”.

Il previgente art. 9, comma 1, lett. b), della l.r. n. 14/2009 si fermava alla prima frase – invero opportunamente integrata dalla locuzione “e successive modificazioni”, mancante nel vigente testo – e non contemplava espressamente la possibilità di applicare il Piano Casa nel caso di immobili gravati da vincolo indiretto, ove gli interventi fossero compatibili con le prescrizioni di tutela indiretta.

Rispetto alla norma in commento, si rendono necessarie alcune chiose di prima lettura.

La prima osservazione è, in realtà, una precisazione, meglio, una serie di precisazioni: ai sensi dell’art 2, comma 1, del d.lgs. 42/2004 il patrimonio culturale è articolato in beni culturali (disciplinati dalla parte II del decreto) e beni paesaggistici (disciplinati dalla parte III del decreto). Nessuna esclusione ex lege è prevista in relazione ai beni paesaggistici, di talché rispetto agli immobili vincolati sotto il profilo paesaggistico gli articoli 6 e 7 della l.r. n. 14/2019 potranno essere applicati, previo conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica.

Sono, invece, del tutto esclusi dall’applicazione degli articoli 6 e 7 della l.r. n. 14/2019 gli immobili qualificati come beni culturali ed astretti dal vincolo di tutela diretta, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 42/2004, quindi gli immobili, rispetto ai quali è stata notificata al proprietario la dichiarazione di interesse culturale.

Con riferimento, invece, agli immobili astretti dal vincolo di tutela indiretta, ai sensi dell’art. 45 del d.lgs. 42/2004[42], la novella regionale ammette l’applicabilità degli articoli 6 e 7, unicamente laddove compatibili con le prescrizioni di tutela indiretta disposte dall’autorità competente in sede di definizione o di revisione del vincolo medesimo.

La seconda osservazione, quindi, attiene alla novità introdotta dalla l.r. n. 14/2019, ossia all’applicabilità del Piano Casa anche agli immobili gravati da vincolo indiretto, ricorrendo le condizioni anzi viste[43]. Ora non è più revocabile in dubbio che gli articoli 6 e 7 della l.r. n. 14/2019 possano applicarsi agli immobili astretti da vincolo indiretto ex art. 45 del d.lgs. 42/2004.

La terza osservazione riguarda, infine, le concrete ed operative modalità, con cui i Comuni possono assentire il titolo edilizio o non inibire la segnalazione certificata di inizio attività, nel caso di ampliamenti o di demolizioni e successive ricostruzioni in relazione ad immobili soggetti a vincolo indiretto.

L’art. 3, comma 4, lett. a), della l.r. n. 14/2019, infatti, consente gli interventi del Piano Casa anche rispetto ad immobili astretti dal vincolo di tutela indiretta, ove compatibili con le prescrizioni di tutela indiretta. Il giudizio di compatibilità non può che spettare alla Soprintendenza, salvo forse i casi in cui il vincolo di tutela indiretta sia compiutamente “vestito” (ipotesi non facile, specie nei provvedimenti di vincolo più risalenti) e dettagli con estrema precisione gli interventi ammessi.

4.3. La lett. b): le disposizioni di tutela di fonte urbanistica e territoriale

L’art. 3, comma 4, lett. b), della l.r. n. 14/2019 esclude l’applicazione degli articoli 6 e 7 per gli edifici “oggetto di specifiche norme di tutela da parte degli strumenti urbanistici e territoriali che non consentono gli interventi edilizi previsti”. Si tratta di norma del tutto analoga rispetto all’art. 9, comma 1, lett. c), della previgente l.r. n. 14/2019. Ove, quindi, specifiche norme di pianificazione urbanistica e territoriale non consentano, in particolare, ampliamenti o demolizioni e successive ricostruzioni, tali interventi non potranno essere assentiti. Si tratta, quindi di analizzare caso per caso gli interventi in funzione della specifica forma di tutela introdotta, di talché non si tratta certo di un divieto assoluto d’applicazione del Piano Casa al cospetto di specifiche norme di tutela, ma di divieto relativo, nel caso in cui esse impediscano in concreto l’intervento edilizio di cui all’art. 6 o all’art. 7[44]. Si può quindi convenire con chi ha sostenuto l’ammissibilità degli interventi del Piano Casa, ove essi non siano espressamente vietati dalla specifica norma di tutela[45]. Il tema, peraltro, appare di grande delicatezza specialmente in relazione all’estensione dei gradi di protezione, sovente attribuiti dallo strumento urbanistico comunale[46].

4.4. La lett. c): l’inderogabilità della normativa settoriale sul commercio

L’art. 3, comma 4, lett. c), della l.r. n. 14/2019 non consente l’applicazione degli articoli 6 e 7 agli edifici aventi destinazione commerciale, “qualora siano volti ad eludere o derogare le disposizioni regionali in materia di commercio, in particolare con riferimento alla legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50”. Anche in questo caso si tratta di norma affatto analoga rispetto all’art. 9, comma 1, lett. f), della l.r. n. 14/2009[47]. Valga ribadire come anche in questa fattispecie la norma non introduca alcun divieto assoluto di applicazione del Piano Casa agli edifici aventi destinazione commerciale, ma un divieto relativo, impedendo solo gli interventi volti ad eludere o derogare le disposizioni di cui alla l.r. n. 50/2012, non già altri interventi (ad esempio quelli volti all’ampliamento del magazzino od a superfici non riservate alla vendita al pubblico).

4.5. La lett. d): gli edifici anche parzialmente abusivi

L’art. 3, comma 4, lett. d), della l.r. n. 14/2019 non consente l’applicazione degli ampliamenti e della demolizione integrale e successiva ricostruzione di edifici “anche parzialmente abusivi”. È vero che la norma è identica rispetto all’ultima formulazione dell’art. 9, comma 1, lett. e), della l.r. n. 14/2009, ma il punto merita un approfondimento, sulla base anche della più recente giurisprudenza[48]. Sembra, infatti, acquisita l’interpretazione strettamente formale della norma, in base alla quale, ove sussista l’abuso, anche parziale, non possa essere mai invocata l’applicazione del Piano Casa, nemmeno per la parte legittimamente assentita, così come sembra acquisita l’impossibilità di applicare il Piano Casa in sanatoria.

Invero, la dottrina[49] ha dubitato della logicità dell’interpretazione formale della nozione di edifici anche parzialmente abusivi, nulla ostando in realtà all’applicabilità del Piano Casa per la parte dell’edificio legittimamente assentita.

Si è anche giustamente ricordato[50] come l’esclusione degli edifici abusivi dall’ambito dell’applicazione delle leggi regionali di incentivazione dell’edilizia fosse principio contenuto nell’Intesa tra Stato e Regioni sottoscritta il 31 marzo 2009, dalla quale era poi derivata la l.r. n. 14/2009. Intesa che, però, non è più alla base della l.r. n. 14/2019, norma che inoltre non è più “a tempo”, ma a regime.

Va anche ricordato come, in tema di sanatoria, viga oggi la rigida applicazione del principio di doppia conformità, la c.d. sanatoria giurisprudenziale essendo orientamento recessivo[51]. Ma è proprio sulla base dell’affermazione della doppia conformità che, forse, si può giungere a risolvere il problema, che si è sempre posto rispetto al Piano Casa, ossia se tale norma possa essere fatta valere ai fini dell’ottenimento della sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001.

Lo scenario normativo ed il panorama giurisprudenziale sembrano mutati rispetto al precedente Piano Casa. L’attuale non è più misura temporanea, ma è a regime. Restringe la propria applicazione agli ambiti di urbanizzazione consolidata (nozione introdotta e definita dalla l.r. n. 14/2017 sul contenimento del consumo di suolo) ed, in parte, alle zone agricole. Dal punto di vista giurisprudenziale, è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale 11 maggio 2017, n. 107.

La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, del Piano Casa campano, di cui alla l.r. n. 19/2009. La norma prevedeva che la sanatoria ex art. 36 del D.P.R. 380/2001 si applicasse anche agli interventi previsti dal Piano Casa, purché realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo o in difformità da esso, e purché conformi alla “stessa legge” sia al momento della realizzazione delle opere, sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria. La declaratoria di incostituzionalità non è fondata sull’illegittimità costituzionale relativa alla sanatoria attraverso il Piano Casa, ma sull’illegittimità della norma campana, laddove faceva riferimento alla “stessa legge” e non alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente all’epoca dell’esecuzione dell’opera abusiva, con ciò potendo indurre l’interprete a ritenere sanabili opere conformi alla legge regionale vigente nella formulazione attuale e non anche alla disciplina vigente al momento della realizzazione delle opere.

Nulla osterebbe, forse, a ritenere legittima la sanatoria di abusi edilizi tramite il Piano Casa, laddove si trattasse di interventi realizzati dopo l’entrata in vigore del Piano Casa stesso ed a condizione che l’intervento edilizio fosse conforme tanto alla disciplina vigente al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria, quanto alla disciplina vigente al momento della realizzazione dell’opera abusiva.

Sotto questo profilo, potrebbe, quindi, non essere esclusa l’applicazione del Piano Casa in funzione sanante, ricorrendo i presupposti anzi visti[52]. Ciò a maggior ragione con l’attuale Piano Casa, che non è a tempo, ma è a regime e che – seppure alle condizioni previste dalla l.r. n. 14/2019 – ha di fatto integrato ope legis gli strumenti urbanistici comunali con le diverse carature urbanistiche riservate agli interventi di ampliamento e di demolizione integrale con successiva ricostruzione.

4.6. La lett. e): i centri storici

L’art. 3, comma 4, lett. e), della l.r. n. 14/2019 vieta l’applicazione degli articoli 6 e 7 agli edifici “ricadenti all’interno dei centri storici ai sensi dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 … omissis … salvo che per gli edifici che risultino privi di grado di protezione, ovvero con grado di protezione di demolizione e ricostruzione, di ristrutturazione o sostituzione edilizia, di ricomposizione volumetrica o urbanistica, anche se soggetti a piano urbanistico attuativo; in tali casi devono essere rispettati i limiti massimi previsti dal n. 1), del primo comma, dell’articolo 8, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968”. La norma non si distingue dall’art. 9, comma 1, lett. a), della l.r. n. 14/2009, sicché non muta la prospettiva di evidente tutela dei centri storici, impressa dagli strumenti urbanistici comunali.

4.7. La lett. f): le aree inedificabili

L’art. 3, comma 4, lett. f), della l.r. n. 14/2019, vieta l’applicazione della legge stessa in riferimento ad edifici “ricadenti nelle aree con vincoli di inedificabilità di cui all’articolo 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 … omissis …, o dichiarate inedificabili per sentenza o provvedimento amministrativo”. Norma identica rispetto all’art. 9, comma 1, lett. d), della l.r. n. 14/2009.

Il riferimento all’art. 33 della legge sul (primo) condono edilizio dovrebbe sottintendere vincoli di inedificabilità assoluta e non relativa, ma i problemi sottesi, in particolare, all’applicazione del Piano Casa entro le c.d. fasce di rispetto (stradali, autostradali, ferroviarie, aeroportuali, cimiteriali, del demanio marittimo e delle acque pubbliche) sono risultati assai complessi e per nulla scontati all’occhio attento della dottrina[53]. Sul concetto di inedificabilità per sentenza o provvedimento amministrativo pare utile richiamare la recente giurisprudenza in ordine ai vincoli di inedificabilità per previsione dello strumento urbanistico[54], che escludono l’applicazione del Piano Casa.

L’esame di tutte le fattispecie in considerazione esulerebbe dallo scopo della presente pubblicazione e sarebbe, forse, meritevole di una trattazione riservata, tante essendo le più varie sfumature.

4.8. Le fasce di rispetto stradali

Tra i molti temi, sia consentito approfondire in questa sede almeno il profilo delle fasce di rispetto stradale fuori dai centri abitati[55], tema che vede molteplici interventi giurisprudenziali e normativi, non sempre coerenti.

Di primo acchito, infatti, la lente d’indagine del giurista correrebbe al (Nuovo) Codice della Strada, di cui al d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, sede della normativa in materia. Ivi l’interprete troverebbe agilmente l’art. 16 del Codice, disciplinante proprio il vincolo di inedificabilità, inerente alle fasce di rispetto stradali fuori dai centri abitati. Con ulteriore movimento, scoverebbe, inoltre, l’art. 26 del Regolamento attuativo (D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495), volto a conferire specifica consistenza e latitudine al vincolo qui in discussione, completando così ciò che sembrerebbe costituire un quadro organico di disciplina della fattispecie.

Tuttavia, non è così semplice.

L’art. 234, comma 5, del Codice della strada, condiziona l’applicazione della disciplina di cui all’art. 16 del Codice sia alla classificazione dei centri abitati, di cui all’art. 4, sia alla classificazione delle strade, ai sensi dell’art. 2, comma 2, così ponendo fuori campo la descritta, piana, disciplina. Infatti, laddove la delimitazione dei centri abitati da parte dei Comuni è traguardo da lungo raggiunto, la classificazione delle strade di cui all’art. 2 si attesta ad oggi quale opera incompiuta; dal che potrebbe essere dubbia l’applicabilità del binomio normativo rappresentato dall’art. 16, d.lgs. n. 285/1992 e dall’art. 26, comma 3, d.P.R. n. 495/1992.

L’ermeneuta, dunque, rimasto orfano di un corpus normativo di (apparente) intuitiva applicazione, è costretto a ricercare altre disposizioni applicabili alla fattispecie. Trova conforto in ben più risalenti disposizioni, ossia nella legge urbanistica nazionale n. 1150/1942, come integrata con l’inserimento dell’art. 41 septies, ad opera dell’art. 19 l. n. 765/1967.

Detto art. 41 septies dispone – fuori dal perimetro dei centri abitati – il rispetto di distanze minime dal nastro stradale, misurate dal relativo ciglio, stabilite con Decreto del Ministero per i lavori pubblici in concerto con i Ministeri dei Trasporti e dell’Interno, ossia con il d.m. 1° aprile 1968, in particolare con il suo articolo 4.

Quest’ultimo quadro racchiude una disciplina organica e sufficiente della fascia di rispetto stradale, corredata delle opportune definizioni, classificazioni ed estensioni spaziali del vincolo.

Allo stato, quindi, appare sostenibile l’inapplicabilità dell’art. 16 del Codice della strada e dell’art. 26 del suo Regolamento d’attuazione, e l’applicabilità della normativa previgente. Ciò in ragione, da un lato, dell’inerzia dell’Amministrazione statale, che non ha provveduto alla classificazione delle strade prevista dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 285/1992, dall’altro, dell’art. 234, comma 5, del Codice della strada, norma che rinvia all’applicazione dell’ordinamento previgente nelle more dell’individuazione comunale del centro abitato e della classificazione statale delle strade. Presupposto, quest’ultimo, ad oggi non ancora sussistente.

L’affermata tesi dell’inapplicabilità dell’art. 16 del Codice della strada e dell’art. 26 del Regolamento attuativo, invero, è stata condivisa anche da quella giurisprudenza, che si è occupata dell’argomento[56].

Va, però, dato atto di un arresto giurisprudenziale[57], che, al contrario, ritiene applicabile il Codice della strada ed il suo Regolamento attuativo, sulla base dell’argomento per cui il trasferimento delle competenze in materia stradale dallo Stato alle Regioni ed alle Province – a partire dal d.lgs. n. 112/1998 – avrebbe comportato la compiuta classificazione delle strade, rendendo quindi applicabili le norme anzi viste.

Se dovesse prevalere l’ultimo degli orientamenti giurisprudenziali sopra rassegnati, si dovrebbe fare applicazione dell’art. 16 del Codice della strada e dell’art. 26 del Regolamento attuativo, non dell’art. 41-septies della l. n. 1150/1942 e del d.m. 1° aprile 1968.

Si deve solo all’art. 26 del Regolamento attuativo (o, meglio, all’art. 1 del D.P.R. 26 aprile 1993, n. 147) l’introduzione della locuzione “ampliamenti fronteggianti le strade”, sconosciuta al sistema basato sull’art. 41-septies della l. n. 1150/1942 e sul d.m. 1° aprile 1968, norme che nulla dicevano in merito agli ampliamenti fronteggianti le strade.

Se, quindi, si dovesse ritenere applicabile il corpus normativo dato dal Codice della strada e dal Regolamento attuativo, ci si dovrebbe interrogare circa la reale portata della riferita locuzione; più precisamente, se essa debba essere interpretata nel senso che siano consentiti gli ampliamenti e le nuove edificazioni in fascia di rispetto stradale, purché tali interventi vengano realizzati in direzione opposta rispetto alla strada.

Per una risposta di tipo negativo militano i seguenti argomenti.

Una considerazione puramente letterale, posto che la nuova edificazione o l’ampliamento comunque fronteggiano la strada, del tutto irrilevante essendo il fatto che tra essi si interponga un edificio già realizzato. Altrimenti detto, la prospettiva utile è quella che si ha dalla strada; rispetto ad essa tutto è fronteggiante: sia l’edificio – in ipotesi – preesistente, sia l’ampliamento – sempre in ipotesi – realizzato dalla parte opposta rispetto alla strada. L’interposizione di un esistente edificio può forse nascondere l’ampliamento dalla strada, ma nondimeno esso fronteggia la strada, secondo una visione complessiva ed unitaria.

Un ulteriore argomento deriva dal fatto che il vincolo generato dalla fascia di rispetto stradale è generalmente qualificato come assoluto[58], irrilevanti essendo le caratteristiche concrete delle opere realizzate in fascia di rispetto stradale[59], posto che: “Le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 30 settembre 2008, n. 4719 e Cass. civ., Sez. II, 3 novembre 2010, n. 22422)[60].

Del resto, la qualificazione in termini assoluti del vincolo di rispetto stradale discende dall’adozione di una ricognizione della ratio legis in ottica particolarmente ampia. Secondo una prospettiva ristretta, il divieto sarebbe diretto esclusivamente a prevenire, da un lato, ostacoli materiali a modifiche al tracciato stradale e, dall’altro, possibili pregiudizi alla sicurezza del traffico veicolare e all’incolumità delle persone. Secondo l’ottica più ampia, invece, il vincolo insisterebbe a presidio di “una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale e, cioè, per esempio, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni[61].

Si è, però, affacciata in giurisprudenza[62] altra e diversa prospettazione, in base alla quale sarebbe comunque consentita l’edificazione all’interno della fascia di rispetto stradale, ove la nuova opera fosse retrostante rispetto alla strada.

Sia le norme in tema di fasce di rispetto stradale, sia la giurisprudenza non conducono – complessivamente – ad approdi rassicuranti.

In materia, peraltro, è intervenuta anche la legislazione veneta, con la l.r. n. 30/2016. L’art. 63, comma 5, della stessa introduce un inedito comma 4-ter all’art. 41, della l.r. n. 11/2004, incidendo sulla disciplina qui d’interesse in una triplice direzione, ossia consentendo:

  1. gli interventi di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), b), c) e d), D.P.R. n. 380/2001, ad esclusione della demolizione con ricostruzione in loco, entro la fascia di rispetto stradale, con riferimento alle costruzioni non oggetto di tutela da parte di PAT e PI;
  2. gli interventi di demolizione e ricostruzione in area agricola adiacente ai fabbricati inseriti nella fascia di rispetto stradale, sempre che il nuovo sedime sia posto in area esorbitante tale fascia ma non oltre 200 metri dal sedime originario;
  3. l’approvazione del PI, che, attraverso specifiche schede d’intervento, consenta ampliamenti di fabbricati residenziali esistenti all’interno della fascia di rispetto, purché: a) non siano superiori al 20% del volume esistente; b) siano realizzati sul lato opposto rispetto a quello fronteggiante la strada; c) siano necessari per l’adeguamento alle norme igienico-sanitarie; d) non comportino pregiudizi maggiori alle esigenze di tutela della circolazione; e) il rilascio del titolo edilizio sia preceduto dall’assenso dell’ente proprietario o gerente la strada; f) sia accompagnata dalla sottoscrizione di un atto d’obbligo dell’avente titolo a non richiedere eventuali maggiori somme a titolo di indennizzo in ipotesi di eventuali lavori da svolgere sulla sede viaria.

La novella consente in fascia di rispetto stradale ogni intervento edilizio ad esclusione della nuova costruzione e della demolizione e ricostruzione in loco. Consente, altresì, la demolizione e successiva ricostruzione dell’edificio al di fuori della fascia di rispetto stradale, anche sull’adiacente zona agricola, purché entro 200 metri rispetto al sedime originario.

Pur se con i visti limiti, alle ricordate condizioni e nel necessario quadro del Piano degli Interventi in Regione Veneto è, quindi, normativamente consentito realizzare ampliamenti in fascia di rispetto stradale. Viatico rispetto all’applicazione della vista norma regionale viene senz’altro dalla recente giurisprudenza del Consiglio di Stato[63], rispetto alla quale la disposizione veneta appare financo restrittiva.

In conclusione, il quadro dell’edificabilità in fascia di rispetto stradale non si presenta ancora con contorni nitidamente definiti, essendo interessato da oscillazioni giurisprudenziali, stimolate da un sistema normativo non certo cristallino. Ai contorni non ancora ben definiti, si aggiunge il rapporto tra art. 41, comma 4-ter, della l.r. n. 11/2004 e l.r. n. 14/2019, ossia se la seconda deroghi la prima, quanto meno rispetto agli ampliamenti da realizzare sul lato opposto a quello fronteggiante la strada. La risposta dovrebbe essere affermativa, ove non si riconoscesse natura di vincolo assoluto alla fascia di rispetto stradale, secondo quanto deduce parte della giurisprudenza[64]. Negativa, ove invece se ne riconoscesse la natura di vincolo assoluto[65], stante l’anzi visto art. 3, comma 4, lett. f), l.r. n. 14/2019.

Per quanto dianzi esposto in tema di natura e funzione della fascia di rispetto stradale, pare preferibile propendere per quest’ultima tesi.

Invero, la disposizione in commento mira a congelare lo status quo edificatorio di tutte le zone vincolate, ad evitare che la loro stessa ragion d’essere sia compromessa dalla sopravvenienza di addizioni edilizie. E non paiono profilarsi motivi che convincano a sottrarre il vincolo posto a protezione dei nastri stradali al regime proprio dei vincoli assoluti

4.9. La lett. g): le aree di elevata o molto elevata pericolosità idraulica

Infine, l’art. 3, comma 4, lett. g), della l.r. n. 14/2019 vieta l’applicazione degli articoli 6 e 7 agli edifici ricadenti in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata (P4) o elevata (P3) dai Piani stralcio di bacino, fatte salve le disposizioni di cui all’art. 9.

La formulazione del previgente art. 9, comma 1, lett. d), della l.r. n. 14/2009, invero, era diversa, posto che contemplava in generale le aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica (nulla però dicendo circa la pericolosità idrogeologica).

Da una prima analisi letterale della vigente norma, si ricava che le restrizioni operano solo con riferimento alle aree dichiarate dall’Autorità di Bacino di pericolosità idraulica o idrogeologica molto elevata o elevata, ma non operano nelle altre aree di moderata o media pericolosità (P2) o nelle altre aree, pur di rilevante pericolosità, dichiarata però da Amministrazioni diverse rispetto all’Autorità di Bacino.

L’esempio potrebbe essere dato da un vincolo idrogeologico di inedificabilità, che trova compiuta definizione in sede di PAT, precisamente nella carta delle fragilità e che non deriva da un vincolo sovraordinato, rinvenibile nel Piano d’Assetto Idrogeologico dell’Autorità di Bacino, ma dalla realizzazione geologica propedeutica alla redazione del PAT.

Se è vero che l’art. 3, comma 4, lett. g), della l.r. n. 14/2019 formalmente consentirebbe l’applicazione del Piano Casa, posto che il vincolo idrogeologico non deriverebbe dalla pianificazione dell’Autorità di Bacino, è anche vero che comunque non potrebbe essere applicato il Piano Casa, perché vi sarebbe una specifica norma dello strumento urbanistico, che non ne consente l’applicazione, come previsto dall’art. 3, comma 4, lett. b), della l.r. n. 14/2019.

 

[1] Il comma ricalca la rubrica e la struttura sistematica del precedente art. 9 della l. 14/2009, replicandone la reciproca dissonanza: la casistica applicativa, infatti, è enunciata per edifici, e non per ambiti. è localizzativo

[2] Rispetto al comma 1 dell’art. 2 della l.r. n. 14/2009 è stato soppresso il predicato esistenti, che accompagnava il sostantivo edifici, giacché con la messa a regime della deroga viene meno il requisito dell’avvenuta realizzazione dell’edificio o della presentazione dell’istanza del titolo abilitativo alla data indicata nella legge, ed è pacifico che la legge in esame sarà applicabile ad edifici ad oggi inesistenti ma che verranno realizzati in futuro.

[3] Precisiamo, subito, che si proporrà un criterio, per individuare detti ambiti, basato su elementi giuridico-formali. Si sorvolerà, dunque, sull’esemplificazione proposta dall’Allegato B della DGRV 15/05/2018, n. 668, costituita da una sorta di diagramma di flusso basato sullo zoning nominalistico risalente al d.m. 1444/68 (che, per la verità, la Regione stessa intendeva superare, sin dalla l.r. n. 11/2004). E va detto che in tale Allegato – alla fig. 3.1 – spicca una significativa restrizione, che limiterebbe le pianificazioni attuative inseribili negli ambiti di urbanizzazione consolidata alle sole “aree destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa, oggetto di un piano urbanistico attuativo in fase di realizzazione”. Ricalcando, dunque, la definizione dettata, per le aree di urbanizzazione consolidata di cui all’art. 13, comma 1, lett. o) della l.r. n. 11/2004, dall’Atto di indirizzo di cui alla DGRV 3811/2009, di cui si dirà oltre. Risparmiando commenti sulla tecnica redattiva dell’atto, va da sé che perimetrazione siffatta non possa reggere il vaglio di legittimità, a fronte del testo della l.r. n. 14/2017, che include nell’AUC le parti del territorio oggetto di un piano urbanistico attuativo approvato.

[4] La disposizione di cui all’art. 13, comma 1, lett. o), della legge urbanistica fondamentale non proponeva elementi identificativi dell’AUC, limitandosi a definirlo.

[5] Cfr. la relazione Calzavara al PdL 402, nel passaggio in II Commissione.

[6] Si accenna, qui, ad una questione che appare, in prospettiva, cruciale: nei casi in cui i proprietari di terreni liberi, inclusi nelle aree di urbanizzazione consolidata ai sensi dell’art. 13 comma 1 lett. o), non ne sviluppino il potenziale edificatorio, il Comune, a fronte di un fabbisogno insoddisfatto, potrà (o dovrà?) intervenire, per saturarne le capacità insediative prima di pianificare il consumo di suolo esterno all’AUC? La risposta, alla luce dei ridetti principi sul contenimento del consumo di suolo, pare dover essere affermativa, ed allo scopo potrebbero sovvenire strumenti officiosi quali quelli previsti agli ultimi due commi dell’art. 28 della l. 1150/1942.

[7] Siano esse qualificabili naturali (ossia frutto spontaneo della natura), seminaturali (ossia biologiche, ma scaturite o comunque incise dall’attività antropica) o agricole, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a) e b) della l.r. n. 14/2017.

[8] Come tali vanno intese non solamente le (sub)Zone E4, ma anche i non infrequenti siti produttivi impropriamente ubicati in zona agricola, sovente stabilizzati, se non anche espansi, in forza di zonizzazioni puntiformi scaturite da procedimenti derogatori ai sensi del D.P.R. 20/10/1998, n. 447, in relazione all’art. 48 comma 7bis2 della l.r. n. 11/2004 prima, poi D.P.R. 7/09/2010, n. 160 e l.r. n. 31/12/2012, n. 55.

[9] Si fa riferimento alle aree di urbanizzazione consolidata – che, come si vedrà, costituiscono il core degli AUC ai sensi dell’art. 2 della l. reg. 14/2017 – poiché sulle porzioni di territorio supplementari che distinguono questi ultimi, ossia gli ambiti dei PUA approvati, e per tutta la durata della loro efficacia, non possono rinvenirsi superfici naturali o seminaturali autonome – vale a dire non vincolate a funzioni urbanizzative – e perciò trasformabili con successive pianificazioni, né tantomeno superfici agricole.

[10] [1. Sono sempre consentiti sin dall’entrata in vigore della presente legge ed anche successivamente, in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a):]

  1. a) gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli ambiti di urbanizzazione consolidata;

[11] In caso di attuazione parziale, il Comune dovrà attingere alle garanzie, ed ultimare la trasformazione, portando il PUA alla condizione di attuato. Va eccettuato il caso in cui la parziale attuazione si limiti ad un singolo comparto, rimanendo inattuati gli altri. In tale ipotesi il Comune potrà limitarsi a completare detto comparto, attingendo alla garanzia, senza procedere nella trasformazione dei terreni inclusi in altri comparti del PUA, e rimasti allo stato naturale o seminaturale.

[12] Mantenendo la superficie, rinaturalizzata o rinunciata, all’interno dell’area di urbanizzazione consolidata, si evita che tali superficie siano de plano riallocate fuori dall’AUC, e che in tal modo si creino ulteriori sfrangiature dell’edificato (dalle quali il territorio Veneto pare già sufficientemente martoriato).

[13] Il traguardo dell’AUC, pertanto, è la stabilità. Con tutte le cautele dovute alla lunghissima gittata temporale della previsione, si ritiene che modificazioni di tale perimetrazione “finale” potrebbero conseguire solo ad interventi di espianto e rilocalizzazione dei tessuti edificati esistenti che risultino ubicati in zone inappropriate, per fragilità idrauliche, geologiche, sismiche o perché interferenti con nuove opere pubbliche. Va da sé che la riallocazione dovrà essere condotta ricorrendo alla trasformazione di aree agricole solamente se non siano disponibili risorse interne all’AUC, e comunque nel rispetto del dogma citato nel testo.

[14] La disposizione fa riferimento esclusivamente all’approvazione dello strumento attuativo. La stipula della Convenzione non è richiesta.

[15] La disposizione di riferimento in questo caso è l’art. 18bis della l. reg. 11/2004, che- echeggiando il coordinato disposto degli artt. 9 e 109 della l. reg. 61/1985, ammette sempre, in diretta attuazione degli strumenti urbanistici generali, anche in assenza dei piani attuativi dagli stessi richiesti, gli interventi (…) di completamento su parti del territorio già dotate delle principali opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

[16] Qui il richiamo è alla decadenza quinquennale dei vincoli pre-espropriativi sancita dal comma 7 dell’art. 18 della l. reg. 11/2004, che consegna le aree destinate ad una mera ipotesi trasformativa, possibile.

[17] Così la migliore dottrina: cfr. A. Calegari, Gli ambiti di urbanizzazione consolidata, in La Nuova Urbanistica Veneta – Guida pratica alla L.R.V. n. 14/2017 sul Consumo del Suolo, a cura di S. Dal Prà, G. Sartorato e A. Calegari, 2018, pp. 67 e ss.

[18] Per attuazione si intende la realizzazione delle opere di urbanizzazione e la cessione delle correlative aree a servizi. In tema di scadenza dei PUA, si ritiene che un’azione amministrativa rispettosa dei principi sul contenimento del consumo di suolo dovrà fare attento uso della facoltà di proroga dell’efficacia del PUA di cui alla seconda parte del comma 11 dell’art. 20 della l.r. n. 11/2004, limitandone la concessione ai casi in cui le opere siano già avviate. Si tenga presente anche quanto esposto alla nota 11, per l’ipotesi in cui le opere in via di realizzazione afferiscano ad un singolo comparto. Come accennato, in casi simili parrebbe conforme alla ratio legis limitare la proroga a tale comparto, escludendone gli altri.

[19] Nulla, infatti, vieta che la c.d. riclassificazione mediante Variante verde sia richiesta dopo l’approvazione di un PUA.

[20] Rimarrebbero, ovviamente, del tutto legittimi gli eventuali interventi che, nel periodo di efficacia del PUA, fossero stati abilitati ai sensi della legge in esame su edifici preesistenti inclusi nell’ambito attuativo. Anche in materia urbanistico-edilizia, infatti, vige il principio tempus regit actum, sicché, se la costruzione è sorta legittimamente alla stregua delle regole vigenti all’epoca della sua realizzazione, il successivo mutamento della situazione di fatto e/o di diritto non la rende abusiva.

[21] Unica possibilità di sottrarre – momentaneamente – l’ambito inattuato all’eventualità di stralcio dell’edificabilità è quella contemplata al comma 11 dell’art. 20 della l. reg. 11/2004.

[22] Per il caso di parziale attuazione, vale il principio esposto alla nota 11: il Comune dovrà attingere alle garanzie, ed ultimare la trasformazione, portando il PUA alla condizione di attuato, nel senso indicato alla nota 13. Se la parziale attuazione riguardasse un singolo comparto, rimanendo inattuati gli altri, il Comune potrà limitarsi a completarlo, attingendo alla garanzia, senza procedere nella trasformazione dei terreni inclusi negli altri comparti del PUA.

[23] L’ipotesi non è infrequente: si pensi agli ambiti attuativi finalizzati alla riconfigurazione ed alla ricucitura di zone edificate rade e di frangia. Le costruzioni ivi esistenti potranno godere delle facoltà ampliative di cui alla l. reg. 14/2019 tanto ed in quanto il loro ambito di appartenenza rimanga incluso in AUC.

[24] Non si pone, ovviamente, il problema opposto, ossia di PUA nel frattempo giunti ad approvazione, poiché i piani in corso di formazione al 24 giugno 2017, data di vigenza della l. re. 14, sono stati fatti salvi, e con ciò esclusi dal conteggio del consumo di suolo, in forza dell’art. 13, commi 4 e 5, della l.r. n. 14/2017.

[25] Nei termini (presenza delle strutture portanti e della copertura) definiti all’art. 6, comma 1, della l. reg. 14/2019, come novellato dall’art. 15 della l. reg. 29/2019.

[26] Ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. k), della l.r. n. 11/2004.

[27] Il testo richiamato recita: c) i lavori e le opere pubbliche o di interesse pubblico;

  1. d) gli interventi di cui al Capo I della legge regionale 31 dicembre 2012, n. 55 “Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante”;
  2. e) gli interventi di cui all’articolo 44 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, e, comunque, tutti gli interventi connessi all’attività dell’imprenditore agricolo;
  3. f) l’attività di cava ai sensi della vigente normativa;
  4. g) gli interventi di cui alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche”, le cui premialità sono da considerarsi alternative e non cumulabili con quelle previste dal presente Capo;
  5. h) gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC), nei piani di area e nei progetti strategici di cui alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11.

[28] Ovviamente, se ubicate all’esterno del reticolo infrastrutturale esistente.

[29] La disposizione recita: “4. Sono fatti salvi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge relativi:

  1. a) ai titoli abilitativi edilizi, comunque denominati, aventi ad oggetto interventi comportanti consumo di suolo;
  2. b) ai piani urbanistici attuativi, comunque denominati, la cui realizzazione comporta consumo di suolo.
  3. Per i procedimenti in corso di cui al comma 4 si intendono:
  4. a) nel caso dei titoli abilitativi edilizi, i procedimenti già avviati con la presentazione allo sportello unico della domanda di permesso di costruire ovvero delle comunicazioni o segnalazioni, comunque denominate, relative ai diversi titoli abilitativi, corredate dagli eventuali elaborati richiesti dalla vigente normativa;
  5. b) nel caso dei piani urbanistici attuativi, i procedimenti già avviati con la presentazione al comune della proposta corredata dagli elaborati necessari ai sensi dell’articolo 19, comma 2, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11. Sono comunque fatti salvi i piani urbanistici attuativi per i quali siano già stati approvati gli ambiti di intervento.
  6. Sono, altresì, fatti salvi gli accordi tra soggetti pubblici e privati, di cui all’articolo 6 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia già stata deliberata dalla giunta o dal consiglio comunale la dichiarazione di interesse pubblico, nonché gli accordi di programma di cui all’articolo 7 della medesima legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, relativamente ai quali entro la medesima data la conferenza decisoria abbia già perfezionato il contenuto dell’accordo”.

[30] Le considerazioni che si svolgono nel testo valgono sia per le zone di espansione previste dallo strumento conformativo prima della data di vigenza della l. reg. 14/2017, ossia il 24 giugno 2017, per le quali a tale data non fosse stato presentato un progetto di PUA, sia per le zone di espansione pianificate successivamente.

[31] Di cui al comma 7 dell’art. 18 della l. reg. 11/2004, che recita: “Decorsi cinque anni dall’entrata in vigore del piano decadono le previsioni relative alle aree di trasformazione o espansione soggette a strumenti attuativi non approvati, a nuove infrastrutture e ad aree per servizi per le quali non siano stati approvati i relativi progetti esecutivi, nonché i vincoli preordinati all’esproprio di cui all’articolo 34. In tali ipotesi si applica l’articolo 33 fino ad una nuova disciplina urbanistica delle aree, da adottarsi entro il termine di centottanta giorni dalla decadenza, con le procedure previste dai commi da 2 a 6; decorso inutilmente tale termine, si procede in via sostitutiva ai sensi dell’articolo 30”. Per un valido inquadramento si veda A. Borella, Il contenimento del consumo dei suoli attraverso le varianti “verdi” e la decadenza dei vincoli urbanistici, pp. 6 e ss., all’URL http://www.amministrativistiveneti.it/il-contenimento-del-consumo-dei-suoli-attraverso-le-varianti-verdi-e-la-decadenza-dei-vincoli-urbanistici/

[32] Il comma recita: “Per le previsioni relative alle aree di espansione soggette a strumenti attuativi non approvati, gli aventi titolo possono richiedere al comune la proroga del termine quinquennale. La proroga può essere autorizzata previo versamento di un contributo determinato in misura non superiore all’1 per cento del valore delle aree considerato ai fini dell’applicazione dell’IMU. Detto contributo è corrisposto al comune entro il 31 dicembre di ogni anno successivo alla decorrenza del termine quinquennale ed è destinato ad interventi per la rigenerazione urbana sostenibile e per la demolizione. L’omesso o parziale versamento del contributo nei termini prescritti comporta l’immediata decadenza delle previsioni oggetto di proroga e trova applicazione quanto previsto dal comma 7”.

[33] Che includono anche quelle per le quali il progetto di strumento attuativo non fosse stato proposto.

[34] Cfr. in tal senso la solida dottrina che ha scrutinato la disposizione: Sergio Dal Prà, Guido Sartorato, Alessandro Calegari, Stefano Canal, Luca Donà, Edoardo Furlan, Alessandro Janna e Raffaella Rampazzo che, nel commento “I caratteri innovativi delle varianti urbanistiche di recepimento della DGRV 688 del 15 maggio 2018: la nuova urbanistica consensuale con metodo competitivo” contenuto nel Commentario “LA NUOVA URBANISTICA VENETA Guida pratica alla L.R.V. n. 14/2017 sul Consumo del Suolo” scrivono: “Tali aree, inoltre, potrebbero beneficiare in via preferenziale anche della proroga a pagamento prevista dal nuovo comma 7 bis dell’art. 18 della l.r. n. 11/2004, introdotto dal terzo comma dell’art. 23 della legge in commento, così sottraendosi per almeno un anno al meccanismo comparativo di cui sopra (…)Ancor più improbabile è ritenere che possano essere fatte oggetto di comparazione le aree la cui edificabilità è stata prorogata in ragione del pagamento del contributo previsto dal nuovo comma 7 bis dell’art. 18 della l.r. n. 11/2004”.

[35] Circolari n. 4 del 29/09/2009 (BUR n. 82 del 06/10/2009), n. 1 dell’8/11/2011 (BUR n. 89 del 29/11/2011), n. 1 del 13/11/2014 (BUR n. 111 del 20/11/2014).

[36] Puntando, evidentemente, sull’effetto derogatorio della disciplina locale determinato dalla legge. Effetto, però, che parrebbe contraddire le finalità qualitative enunciate dalla legge stessa, se applicato al dimensionamento delle opere urbanizzative primarie.

[37] Cfr. ad esempio TAR Veneto, sez. II, 14/02/2012, n. 234, richiamata da Cass. Pen., sez. III, n. 38795 del 24/09/2015 – ud. 14/05/2015 – Pres. Franco Est. Scarcella Ric. Lazzi: “In virtù del combinato disposto degli artt. 31 e 41 quinquies, ultimo comma, della legge n. 1150/1942, l’espressione “esistenza” delle opere di urbanizzazione ivi contenuta, rilevante ai fini della necessità o meno della previa redazione di un piano di lottizzazione o di altro strumento urbanistico attuativo prima del rilascio della concessione edilizia, deve essere intesa nel significato di adeguatezza delle opere ai bisogni collettivi; pertanto, tale valutazione circa la congruità del grado di urbanizzazione di un’area non può che essere effettuata alla stregua della normativa sugli “standards” urbanistici di cui al combinato disposto del D.M. n. 1444/1968 e dell’art. 17 della legge n. 765/1967. Ne discende che l’equivalenza tra pianificazione esecutiva e stato di adeguata urbanizzazione è configurabile quando si riscontri l’esistenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria almeno nelle quantità minime prescritte (cfr. Consiglio Stato sez. V, 29.4.2000, n. 2562)”.

[38] Così TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 17/12/2018, n. 7205, con interessante sviluppo argomentativo fondato su precedenti conformi, tra i quali Consiglio di Stato, sez. V, 29 febbraio 2012 n. 1177; Consiglio di Stato, sez. IV, 10 gennaio 2012 n. 26; TAR Campania Napoli, sez. II, 5 aprile 2016 n. 1662; TAR Campania Salerno, sez. I, 23 marzo 2015 n. 633; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 3 luglio 2012 n. 3140.

[39] Le aree per servizi devono avere dimensione e caratteristiche idonee alla loro funzione in conformità a quanto previsto dal provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 46, comma 1, lettera b). Qualora all’interno del PUA tali aree non siano reperibili, o lo siano parzialmente, è consentita la loro monetizzazione ovvero la compensazione ai sensi dell’articolo 37.

[40] Nel qual caso sarà applicato al titolo abilitativo la somma determinata secondo il criterio di calcolo dell’importo equivalente alle opere di urbanizzazione deliberato dal Comune.

[41] Circolari n. 4 del 29/09/2009 (BUR n.82 del 06/10/2009), n. 1 dell’8/11/2011 (BUR n. 89 del 29/11/2011), n. 1 del 13/11/2014 (BUR n.111 del 20/11/2014).

[42] Ossia gli immobili privi ex se di interesse culturale, ma gravati da prescrizioni, atte a preservare non direttamente l’immobile stesso, ma, indirettamente, altri immobili dichiarati di interesse culturale, onde evitare che “sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”, ai sensi di quanto espressamente disposto dall’art. 45, comma 2, del d.lgs. 42/2004.

[43] Invero, alcuni Autori avevano già osservato, nella vigenza della l.r. n. 14/2009, come l’immobile gravato da vincolo indiretto avrebbe forse potuto fruire delle premialità previste, posta la sostanziale diversità tra vincolo diretto ed indiretto. In tal senso, F. Curato, Gli edifici soggetti a vincolo culturale o paesaggistico, in Guida al Piano Casa, a cura di S. Dal Prà e G. Sartorato, maggio 2015, pagg. 143 e ss.-

[44] Si veda, P. Neri, Ambito di applicazione, in Il Piano Casa della Regione veneto, Guida Operativa alla Legge regionale n. 32 del 29 novembre 2013.

[45] A. Calegari, Gli edifici situati nei centri storici o soggetti a specifiche norme di tutela, in Guida al Piano Casa, cit., pagg. 147 e ss.-

[46] Sul tema si veda: Cons. Stato, sez. VI, 17.7.2017, n. 3508, che conferma TAR Veneto, sez. II, n. 424/2015.

[47] Sia consentito il rinvio ad A. Veronese, Commento all’art. 9, comma 1, lett. e), f), g), in Il Piano Casa della Regione veneto, Guida Operativa alla Legge regionale n. 32 del 29 novembre 2013, Charta Bureau ed., 2014.

[48] Cons. Stato, sez. VI, 9.5.2016, n. 1861 (che conferma TAR Veneto, sez. II, 26.1.2015, n. 69); TAR Marche, 23.1.2017, n. 54; TAR Veneto, sez. II, 5.7.2012, n. 962 (oggetto d’appello, con esito non noto)

[49] Contra, A. Calegari, Gli edifici abusivi, in Guida al Piano Casa del Veneto, Commento organico alla legge regionale 8 luglio 2009 n. 14, 2010, pagg. 160 e ss.-

[50] Ibidem; nonché, dello stesso Autore, relazione al Convegno tenuto il 10 aprile 2019 presso il Comune di Spinea sull’art. 3 della l.r. n. 14/2019.

[51] Cons. Stato, sez. VI, 11.9.2018, n. 5319; id., 24.4.2018, n. 2496; id. 20.2.2018, n. 1087; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 1298/2018. Al riguardo, la stessa Corte costituzionale ha più volte ribadito la natura di norma fondamentale dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 e del principio di doppia conformità (n. 107/2017; n. 101/2013).

[52] Nello stesso senso, A. Dal Bello, La Corte Costituzionale sulla sanatoria degli abusi col Piano Casa, in Italiaius, 19 luglio 2017.

[53] D. Chinello, Gli edifici sorgenti in fascia di rispetto, in Guida al Piano Casa, cit., pagg. 160 e ss.-

[54] Cons. Stato, sez. VI, 17.7.2017, n. 3508, cit., che conferma TAR Veneto, sez. II, n. 424/2015.

[55] Sul tema viene ripreso lo scritto di S. Pavan e A. Veronese, La fascia di rispetto stradale fuori dai centri abitati, 30 ottobre 2017, in www.amministrativistiveneti.it.

[56] TAR Toscana, sez. III, 12 luglio 2010, n, 2449; TAR Liguria, sez. I, 13 febbraio 2012, n. 281, sentenza riformata da Cons. Stato, sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 347, ma non sul punto.

[57] Cons. Stato, sez. VI, 3 agosto 2017, n. 3889.

[58] Cons. Stato, sez. IV, 20 marzo 2017, n. 1225.

[59] Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2014, n. 3147; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 14 aprile 2016, n. 1435.

[60] Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 2013, n. 2062.

[61] TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 1435/2016, cit.-

[62] Cons. Stato, sez. VI, 3 agosto 2017, n. 3889, cit.

[63] Cons. Stato, sez. VI, n. 3889/2017, cit.

[64] Cons. Stato, sez. VI, n. 3889/2017, cit.-

[65] Cons. Stato, sez. IV, n. 1225/2017, cit.-

Posted in Commentario legge regionale n. 14/2019.