Commento all’art. 13 l.r. n. 14/2019

Commento all’art. 13 l.r. n. 14/2019: A. Considerazioni generali e sistematiche  – B. Analisi normativa

Considerazioni generali e sistematiche

di Enrico Gaz

Considerazioni generali e sistematiche

Trovare nella titolazione di un articolo di legge regionale l’espressione “qualità e bellezza architettonica” (riproposta anche nel successivo art. 14) suscita da un punto di vista strettamente giuridico una curiosità spontanea e un moto di acuto interesse. La normativa statale da tempo ha fatto ricorso all’utilizzo di un lessico analogo o di lemmi similari, ben oltre il perimetro della “tradizionali” leggi di settore (a partire dalla legge n. 1497 del 1939 sino al recente Codice di materia, meglio noto come “Codice Urbani” approvato con il d.lgs. n. 42/2004) deputate alla tutela del paesaggio e delle bellezze di insieme. Ne sono una testimonianza le leggi di ratifica di importanti convenzioni internazionali, dalla “convenzione UNESCO” (rectius, “convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale” di cui alla legge n. 184/1977) alla Convenzione europea del paesaggio, recepita con la legge n. 14 del 2006, sino alla Convenzione per la protezione delle Alpi, ai sensi della legge n. 50/2012. Ma troviamo traccia di una attenzione simile anche in specifici atti esecutivi assunti dalle varie Amministrazioni dello Stato, tra i quali – recentemente – merita segnalazione il cd. “Progetto Bellezz@” promosso con apposito D.P.C.M. del 17 settembre 2018.

La sicura novità della disposizione in commento risiede nella diretta presa in carico da parte del legislatore regionale di una questione di appannaggio pressoché totale del livello regolativo statale. Una novità da vagliare – come vedremo – più sul versante delle modalità di disciplina che su quello dell’oggetto considerato. Infatti, ad onor del vero, una disamina complessiva della produzione legislativa regionale italiana (sempre nell’ambito delle regioni ad autonomia ordinaria) intercettava già, qua e là, tentativi più o meno enfatici di affrontare il tema. Ad esempio, la legge regionale del Piemonte in materia di consumo del suolo afferma che “la promozione della bellezza, intesa come qualità urbanistica, del paesaggio, urbana e del costruito, è uno dei principi ispiratori delle politiche regionali e territoriali” (cfr. art. 1 della l.r. Piemonte n. 16/2018) mentre la Regione Puglia ha dedicato un intero testo normativo alle “misure di sostegno della qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio” (l.r. Puglia n. 14 del 2008), statuendo tra i propri fini il “migliorare la qualità urbana e la bellezza degli insediamenti umani” (si veda la lett. d) dell’art. 2 della legge), in continuità con il quale la Giunta regionale ha da ultimo depositato un progetto per una “legge sulla bellezza” di cui è in atto un percorso di partecipazione popolare (avviato con d.g.r. n. 164 del 30 gennaio 2019).

Una lettura attenta e smagata di questi testi induce però a connotarne la natura in termini prevalentemente “esortativi”, alla stregua di atti che pullulano di dichiarazioni di principio e di enunciazioni di massima ma che si palesano come incapaci di tradurne gli auspici in canoni di concreta operatività.

L’indubbia originalità della disposizione in esame risiede invece nel suo carattere pratico, capace di indurre effetti tanto tangibili da aumentare le premialità assegnate in via ordinaria dalle norme precedenti. La facoltà concessa ai Comuni di ridurre il contributo di costruzione per gli interventi di particolare bellezza e qualità, con possibilità financo di dimezzarlo (vedi ultimo comma), marca un significativo cambio di passo introducendo misure che entrano realmente nell’effettività delle singole iniziative, condizionandone la fattibilità e la sostenibilità economica.

Si assiste – in altre parole – ad una sorta di trasmutazione nell’approccio normativo al tema, sino ad ora relegato a contenuti di vaghezza operativa (osservatori, premi, ricerche, iniziative di studio et cetera) oppure ingabbiato entro le maglie legali dei puri procedimenti di tutela, dove la cura della bellezza e della qualità si risolve in autorizzazioni previe, atti di controllo, emissione di sanzioni, consumandosi nel perimetro di un orizzonte conservativo che difetta di promozionalità, avvitato più sulla “qualità” che c’è che sulla “qualità” che potrà essere.

Questa innovazione significativa pone problemi applicativi specifici perché ci troviamo in presenza di disposti normativi che non si limitano più ad incoraggiare la predisposizione di studi, la raccolta di dati, la formulazione di proposte, la redazione di rapporti ma che attribuiscono un vero e proprio vantaggio economico a sostegno del singolo intervento considerato.

Se, come sappiamo, l’art. 12 della legge n. 241/1990 prevede che “la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti … sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti … dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi” e secondo la giurisprudenza esso “riveste carattere di principio generale dell’ordinamento giuridico” (tra tanti, cfr. Consiglio di Stato sez. V, 23 marzo 2015, n.1552), il suo rispetto non è eludibile.

Adusi a determinazioni dell’Autorità tutoria che, in materia di paesaggio e di bellezze naturali, rassomigliano di frequente a mere clausole di stile, infarcite di una verbosità tautologica spesso fine a sé stessa e che mortifica qualsiasi seria comprensione dei contesti reali, qui possiamo cogliere l’esigenza di un autentico cambiamento di verso.

Discettare di qualità e di bellezza non potrà in alcun modo assecondare l’estro o il capriccio dei commissari del momento ma – piuttosto – dovrà tendere alla riduzione di ogni margine di arbitrarietà, oggettivizzando criteri e parametri di valutazione.

Su questo crinale delicato, di complesso bilanciamento dell’autonomia soggettiva delle libere valutazioni da compiere e di osservanza delle basilari esigenze di imparzialità dell’azione amministrativa e di trasparenza delle procedure, si potrà ricercare fruttuosamente la delineazione di una nuova cornice di riferimento nell’inquadramento degli argomenti in parola.

Abbandonando i lidi di un sistema in cui il provvedere è di matrice totalmente soggettivo-discrezionale, modellato su ponderazioni caso per caso com’è tipico degli atti soprintendentizi, sarebbe opportuna l’emersione di una adeguata formalizzazione scientifica di regole e concetti, in un dialogo proficuo tra scienza e diritto. Avvertiamo il bisogno di questa ibridazione che dia coerenza e affidabilità alle valutazioni e che, pur accettando l’ineliminabilità della discrezionalità, ponga le basi di una utile correttezza procedimentale, impostata con la predeterminazione dei canoni da contestualizzare nei singoli giudizi. L’esercizio da parte della Giunta regionale della potestà di dettare disposizioni applicative e di indirizzo, previsto all’ultimo comma dell’art. 8, potrebbe costituire la sede idonea per una indicazione in tal senso.

Al netto di queste considerazioni resta la positività di una norma con cui si rende effettivo un sistema cooperativo e multivello di promozione e di tutela della bellezza e con la quale la Regione interpreta fattivamente il mandato costituzionale dettato dall’art. 9 Cost., da attuare in una collaborazione inter-istituzionale tra i diversi piani di governo (Corte cost., sentenza n. 151 del 1986).

Inoltre, non deve sfuggire che la Regione sviluppa questo impulso incentivando una idea normativamente avanzata di “bellezza”, in fondo consentendo cittadinanza piena alle felici conclusioni della “Commissione Franceschini” (istituita con la legge n. 310/1964 e i cui risultati furono pubblicati nel 1967). Fu il lavoro di quella importante Commissione, infatti, ad adombrare una interpretazione del paesaggio che si discostava dalla visione estetizzante implicita nelle “bellezze naturali” trattate dalla legislazione del 1939 per approdare a una più ampia concezione della “bellezza” come bene testimoniale “avente valore di civiltà”.

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