Commento all’art. 10 l.r. n. 14/2019

Commento dell’art. 10 l.r. n. 14/2019: A. Analisi normativaB. Controprova: titolo richiesto per tipologia d’intervento

Analisi normativa

di Roberto Travaglini

Sommario: 1. Premessa2. La SCIA quale titolo edilizio “naturale”3. La natura giuridica della SCIA4. La tutela del terzo nella SCIA5. Il permesso di costruire “opzionale”6. Il permesso di costruire “necessario”7. Il permesso di costruire convenzionato8. Le riduzioni del contributo di costruzione 9. L’abbattimento della quota del costo di costruzione per gli interventi a favore dei disabili

1. Premessa

La materia trattata dall’art. 10 della legge regionale 14 del 2019 corrisponde, in parte – laddove si occupa del titolo abilitativo necessario per la realizzazione degli interventi di cui al Titolo III – a quella oggetto dell’art. 6 della legge regionale 14 del 2009 (“Piano Casa”) e successive modifiche, in altra parte – laddove tratta degli incentivi economici consistenti nella riduzione o nell’esonero dal contributo di costruzione – a quella disciplinata dall’art. 7 della legge da ultimo citata e, limitatamente all’esonero della quota del costo di costruzione per gli interventi a favore dei disabili, al previgente art. 11 della l.r. n. 14/2009.

2. La SCIA quale titolo edilizio “naturale”

Cominciando dal primo dei richiamati argomenti, la norma in commento individua nella segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) di cui all’art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico Edilizia), il titolo edilizio “naturale” per la realizzazione degli interventi previsti e disciplinati dagli artt. 6 (Interventi edilizi di ampliamento), 7 (Interventi di riqualificazione del tessuto edilizio), 8 (Interventi in zona agricola) e 9 (Interventi su edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica).

Si tratta della SCIA alternativa al permesso di costruire, che la richiamata disposizione del TUE correla, oltre che agli interventi puntualmente indicati nell’elencazione riportata al comma 01[1], anche a quelli che “le regioni possono individuare con legge”, assoggettandoli “al contributo di costruzione definendo criteri e parametri per la relativa determinazione”.

A differenza del ricordato art. 6 della l.r. n. 14/2019 – che con riferimento al titolo edilizio considerato “naturale” per gli interventi di quel “Piano Casa” straordinario, ovvero la denuncia di inizio attività (DIA), indicava al comma 3 la documentazione richiesta a necessario corredo della denuncia, richiamando altresì, al comma 4, gli adempimenti previsti dall’art. 90 del d.lgs. n. 81/2008 in materia di sicurezza sul lavoro – la norma in commento omette ogni indicazione sui profili formali e procedurali del titolo edilizio.

Ne consegue che la disciplina di tali profili andrà esclusivamente ricercata nei commi da 1 a 4 dell’art. 23 del d.P.R. n. 380/2001 e, ove ne ricorrano i presupposti, nei commi 1 e 2 dell’art. 23-bis (Autorizzazioni preliminari alla segnalazione certificata di inizio attività e alla comunicazione dell’inizio dei lavori) del medesimo TUE.

Va, altresì, ricordato che con Accordo 4 maggio 2017 tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, in attuazione dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 126/2016, sono stati adottati i moduli unificati e standardizzati per la presentazione delle segnalazioni, comunicazioni e istanze. In particolare, l’allegato 2 a detto accordo reca la modulistica unificata per i titoli edilizi e, quindi, anche per la SCIA, ivi compresa quella alternativa al permesso di costruire. Tali moduli non sono stati modificati dalla Regione Veneto entro il termine che le era concesso, per cui sono divenuti riferimento obbligatorio per i comuni a partire dal 30 giugno 2017.

3. La natura giuridica della SCIA

Com’è noto, dapprima con riguardo alla denuncia di inizio attività (DIA) e successivamente nei confronti della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), così come disciplinate dalla legge sul procedimento amministrativo (legge 7 agosto 1990, n. 241) e successivamente dal d.P.R. n. 380/2001 in materia edilizia, si è aperto un ampio dibattito in ordine alla loro natura giuridica, dibattito definitivamente risolto dal legislatore con l’introduzione del comma 6-ter nell’art. 19 della legge n. 241/1990, operata con l’art. 6 del d.l. n. 138/2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 148/2011.

In assenza di quest’ultima disposizione si erano contrapposte due tesi: quella della DIA, ora SCIA, intesa come atto amministrativo abilitativo tacito, destinato a formarsi in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali definiti dall’ordinamento e per effetto del decorso del termine assegnato all’amministrazione per esercitare il potere inibitorio[2]; quella della DIA, ora SCIA, quale atto formalmente e soggettivamente privato, al quale la legge ricollega direttamente l’effetto di abilitare l’istante all’esercizio dell’attività[3].

Il contrasto giurisprudenziale era stato risolto dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 29 luglio 2011, n. 15, che aveva preso decisa posizione a favore della natura di atto privato della DIA, ora SCIA, prospettando a tutela del terzo che si ritenesse leso dallo svolgimento dell’altrui attività oggetto di denuncia/segnalazione, il rimedio dell’impugnazione del silenzio significativo (diniego) ad esercitare il potere inibitorio.

Come detto, l’introduzione nell’art. 19 della legge n. 241/1990 del comma 6-ter ha definitivamente chiarito che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’ art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.

4. La tutela del terzo nella SCIA

Se, quindi, anche il legislatore del 2011 ha confermato la natura di atto privato della DIA/SCIA, a tutela del terzo che si ritiene leso dallo svolgimento dell’altrui attività oggetto di denuncia/segnalazione ha, invece, delineato il solo rimedio dell’azione avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione, rimedio disciplinato dall’art. 31, commi 1, 2 e 3, del codice del processo amministrativo.

Un chiarimento definitivo in materia è stato offerto dalla recentissima pronuncia della Corte costituzionale n. 45 del 2019, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990, sollevate dal TAR Toscana con sentenza non definitiva 26 aprile 2017, n. 618[4].

Il giudice remittente aveva ipotizzato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 241/1990 nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica spettanti alla pubblica amministrazione sulla segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA).

In particolare, la lamentata assenza del termine contrasterebbe:

a) con il principio di tutela dell’affidamento – ricavabile dagli artt. 3, 11 e 117, primo comma, Cost. – del titolare della SCIA (il c.d. “segnalante”), che sarebbe esposto sine die al rischio dell’inibizione dell’attività oggetto della SCIA;

b) con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., dando luogo ad un irragionevole disparità di trattamento tra gli interventi assoggettati a SCIA e quelli assoggettati a permesso di costruire, quest’ultimi possibile oggetto della reazione del terzo solo nel termine decadenziale per l’impugnazione del titolo edilizio espresso;

c) con i principi di ragionevolezza e di buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost., per l’aggravio dell’attività amministrativa conseguente alla necessità di rivalutare, anche a notevole distanza di tempo dall’avvenuto esercizio del controllo d’ufficio, i presupposti dell’attività segnalata, con potenziale rischio di decisioni amministrative contraddittorie;

d) nuovamente con il principio di ragionevolezza, in relazione all’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost., sotto il concorrente profilo della contraddittorietà della disciplina inerente la SCIA, da un lato finalizzata a semplificare e liberalizzare le attività economiche, ma dall’altro foriera di un rischio permanente di travolgimento delle stesse attività su iniziativa del terzo.

A fronte dei richiamati rilievi, la Corte costituzionale riscostruisce la disciplina della SCIA delineata nell’art. 19 della legge 241/1990 evidenziando in primo luogo che il relativo comma 3 attribuisce alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA (termine che il comma 6-bis riduce a trenta giorni nel caso di SCIA edilizia), e dando la preferenza a quelli conformativi, mentre il comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili “in presenza delle condizioni” previste dal successivo art. 21-novies.

Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi.

Secondo la Corte costituzionale le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi nel caso di SCIA edilizia entro trenta giorni dalla relativa presentazione (comma 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies).

Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue.

Delineate le riportate conclusioni, il giudice delle leggi offre anche un’importante disamina degli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione del terzo a tutela della relativa situazione giuridica, potenzialmente vulnerata dall’attività avviata con l’altrui SCIA.

Situazione giuridica che, nell’ottica dell’interesse legittimo, potrà essere tutelata, oltre che attivando le verifiche della pubblica amministrazione a norma dell’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990, anche:

a) attivando i poteri di verifica previsti in capo alla stessa amministrazione nel caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni (art. 21, comma 1, della medesima legge);

b) sollecitandone i poteri di vigilanza e di repressione che l’ordinamento attribuisce nella specifica materia oggetto della SCIA (disciplinati, nel caso dell’edilizia, dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. n. 380/2001, come del resto espressamente stabilito dall’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241/1990);

c) agendo ai sensi dell’art. 21, comma 2-ter, della medesima legge per far valere la responsabilità del dipendente della pubblica amministrazione la cui inerzia abbia determinato quest’ultima a non esercitare efficacemente i relativi poteri di vigilanza e di inibizione dell’attività oggetto della SCIA.

La Corte costituzionale ricorda, peraltro, come la medesima situazione giuridica del terzo debba essere riguardata anche sotto il diverso profilo del diritto soggettivo, potenzialmente leso da un’attività che si assume illecita e che ha costituito oggetto della SCIA, a fronte della quale non possono che trovare applicazione le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente anche in forma specifica.

In questa chiave e riferendoci al caso emblematico della contestazione di un intervento edificatorio oggetto di SCIA, che il terzo confinante assume non essere conforme alle regole sulle distanze (dal proprio fabbricato e/o dal confine), va considerato l’art. 872 del codice civile, il cui secondo comma dispone che “Colui che per effetto della violazione ha subito un danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente (che inizia proprio con l’art. 873, riguardante le “distanze nelle costruzioni”) o da queste richiamate” (quali sono, ad esempio, le norme sulle distanze, integratrici dell’art. 873 c.c. e contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi comunali).

La tutela inibitoria, perseguita mediante l’azione volta alla demolizione dell’opera illecita sul fondo vicino viene ritenuta imprescrittibile, in quanto assimilata all’actio negatoria servitutis[5], con l’unico, indiretto, limite temporale rappresentato dall’usucapione ventennale del diritto del confinante a mantenere la costruzione ad una distanza inferiore a quella consentita dalle norme.

La tutela risarcitoria, al contrario, è soggetta alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947 c.c. (prescrizione del diritto al risarcimento del danno), con l’avvertenza, peraltro, che l’illecito rappresentato dalla costruzione in spregio alle norme in materia di distanze va considerato “illecito permanente”, con la conseguenza che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno non decorre dalla realizzazione della costruzione, bensì dalla cessazione della permanenza, cioè dal momento in cui la costruzione viene resa legittima, ovvero per decorso del termine ventennale per l’usucapione del diritto a conservarla nelle condizioni nelle quali si trova[6].

5. Il permesso di costruire “opzionale”

Sempre all’interno del comma 1, la disposizione in commento esplicita a livello normativo quanto già riconosciuto nel precedente Piano casa a livello interpretativo con la Circolare regionale n. 1, del 13 novembre 2014, ovvero la facoltà per l’interessato di sostituire la SCIA con la richiesta di un permesso di costruire[7]. Precisazione opportuna, ma non certo indispensabile, atteso che, una volta individuato come titolo edilizio “naturale” la SCIA alternativa al permesso di costruire, quest’ultimo risulta sempre utilizzabile al posto della prima, avendo il legislatore regionale semplicemente invertito il rapporto tra titolo “base” e titolo “alternativo” delineato nell’art. 23 del d.P.R. n. 380/2001.

6. Il permesso di costruire “necessario”

Il comma 2 della disposizione in commento impone l’utilizzo del permesso di costruire per la realizzazione degli interventi disciplinati dal Titolo III della l.r. 14/2019, “qualora comportino una ricomposizione planivolumetrica che determini una modifica sostanziale con la ricostruzione del nuovo edificio su un’area di sedime completamente diversa”.

Si tratta, letteralmente, della medesima fattispecie e della corrispondente disciplina contenute nell’art. 3, comma 3, della l.r. n. 14/2009, come sostituito dall’art. 4, comma 3, della l.r. n. 32/2013 (c.d. Piano casa ter), che peraltro nell’ormai abrogata disposizione riguardava i soli interventi di demolizione e ricostruzione[8], mentre nel nuovo provvedimento è, come detto, riferita a tutti gli interventi disciplinati dal Titolo III e, quindi, apparentemente anche dall’art. 6 della l.r. n. 14/2019, relativo agli interventi edilizi di ampliamento.

Così certo non può essere, atteso che la fattispecie di cui ci si occupa era (nel vecchio “Piano Casa”) e rimane (nella nuova disposizione in commento) caratterizzata dalla “ricostruzione del nuovo edificio su un’area di sedime completamente diversa”, fenomeno incompatibile con la nozione di ampliamento dell’edificio esistente, anche laddove quest’ultimo sia interessato da un contestuale intervento di ristrutturazione edilizia[9].

Rideterminato nel modo anzidetto il perimetro applicativo della disposizione, sembra opportuno richiamare quando affermato dalla Circolare n. 1/2014 in ordine alla localizzazione dell’edificio ricostruito, che “deve mantenere un rapporto con la sua localizzazione originaria; in altri termini, la ricostruzione, pur senza vincolo di sedime, deve avvenire all’interno del lotto di pertinenza dell’edificio esistente, ubicato in ZTO propria. Nel caso non sia individuabile un lotto di pertinenza [n.d.r.: circostanza, questa, riscontrabile essenzialmente in zona agricola], potrà essere eventualmente fatto riferimento al mappale o ai mappali catastali sui quali insiste l’edificio esistente ovvero riferirsi alla situazione di fatto (recinzioni, corti pavimentate, ecc.)[10].

Oltre che nell’ipotesi di ricomposizione planivolumetrica considerata nel comma 2 dell’art. 10, il permesso di costruire è titolo edilizio “necessario” anche nella fattispecie di cui alla seconda parte dell’art. 11, comma 3, caratterizzata dal contestuale utilizzo, negli interventi di cui agli artt. 6 (ampliamento) e 7 (demolizione e ricostruzione), della capacità edificatoria residua da PRC e delle premialità riconosciute dagli articoli da ultimo richiamati.

Infatti, se da un lato la “semplice” attuazione degli interventi di cui agli artt. 6 e 7 è subordinata alla presentazione di una SCIA (ex art. 10, comma 1, della l.r. n. 14/2019), l’ampliamento – con o senza previa demolizione e ricostruzione dell’edificio preesistente – per la parte corrispondente alla capacità edificatoria residua riconosciuta dallo strumento urbanistico comunale o dalle norme sull’edificazione in zona agricola costituisce “nuova costruzione” (ex art. 3, comma 1, lett. e.1, del d.P.R. n. 380/2001) e, quindi, è subordinato a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a), del citato TUE.

Ne consegue che, nel caso di utilizzo contestuale delle concorrenti capacità edificatorie, l’intervento edilizio che ne costituisce concreta traduzione deve essere legittimato dal titolo di maggiore portata, ovvero dal permesso di costruire.

7. il permesso di costruire convenzionato

L’articolo in esame non fa alcuna menzione del permesso di costruire “convenzionato”, che pur la l.r. n. 14/2019 implicitamente considera nell’art. 3, comma 2 ed espressamente menziona nell’art. 11, comma 2.

Rinviando ai commenti dei citati articoli, ci siano comunque consentite brevi considerazioni su questo istituto, da tempo noto nella prassi amministrativa e nella legislazione di alcune regioni, ma introdotto nell’ordinamento statale soltanto con l’art. 17, comma 1, lett. q), del d.l. n. 133/2014 (c.d. “Sblocca Italia”), convertito con modificazioni dalla legge n. 164/2014, che ha aggiunto l’art. 28-bis, per l’appunto rubricato “Permesso di costruire convenzionato” al d.P.R. n. 380/2001.

La disposizione statale da ultimo richiamata esplicita, nel relativo comma 1, il presupposto irrinunciabile perché un intervento di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio possa essere legittimamente assoggettato ad un permesso di costruire convenzionato: la possibilità che le esigenze di urbanizzazione connesse all’intervento medesimo siano soddisfatte con una modalità semplificata rispetto a quella tipica dello strumento urbanistico attuativo.

Il rapporto strumentale tra permesso di costruzione convenzionato ed esigenze urbanizzative è confermato, altresì, dai possibili contenuti della convenzione che accede al permesso di costruire[11], che il comma 3 indica nella cessione di aree (lett. a) e nella realizzazione di opere di urbanizzazione (lett. b).

Da quanto sopra discende, ad avviso di chi scrive, che nel caso in cui gli interventi disciplinati dagli artt. 6 (Interventi edilizi di ampliamento), 7 (Interventi di riqualificazione del tessuto edilizio) e 8 (Interventi in zona agricola) – dovendo, a norma dell’art. 3, comma 2, soddisfare il requisito della “esistenza delle opere di urbanizzazione primaria” – richiedano il “loro adeguamento in ragione del maggior carico urbanistico connesso al previsto aumento di volume o di superficie”, tali interventi non possano essere realizzati mediante SCIA, ma debbano costituire oggetto di un permesso di costruire convenzionato ai sensi dell’art. 28-bis del d.P.R. 380/2001, laddove oggetto del convenzionamento sarà, per l’appunto, l’adeguamento delle opere di urbanizzazione mancanti.

Come detto, la l.r. n. 14/2019 menziona espressamente, in un’occasione, il permesso di costruire convenzionato; lo fa nell’art. 11, comma 2, secondo cui “Qualora gli interventi di cui agli articoli 6 e 7 comportino la realizzazione di un edificio con volumetria superiore ai 2.000 metri cubi o con un[‘]altezza superiore al 50 per cento rispetto all’edificio oggetto di intervento, e non ricorra l’ipotesi di deroga al decreto ministeriale n. 1444 del 1968 di cui al comma 1, gli stessi sono sempre autorizzati previo rilascio del permesso di costruire convenzionato di cui all’articolo 28 bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, con previsioni planivolumetriche”.

Anche in ordine alla disposizione testé riprodotta ci sia consentito un breve cenno critico.

La fattispecie ivi delineata si caratterizza per le dimensioni dell’edificio risultante dagli interventi di ampliamento o di sostituzione edilizia con ampliamento: volumetria superiore ai 2.000 mq., oppure altezza superiore al 50% di quella dell’edificio ante intervento. Verificata almeno una di queste condizioni dimensionali, l’art. 11, comma 2, della l.r. n. 14/2019 ne subordina la realizzazione al previo rilascio di un permesso di costruire convenzionato, corredato da previsioni planivolumetriche.

Quanto al necessario convenzionamento, la perplessità discende dal fatto che la norma non parla affatto di “esigenze di urbanizzazione” correlate all’intervento da autorizzare, esigenze la cui presenza o meno è del tutto indipendente dalle dimensioni volumetriche o di altezza dell’edificio da realizzare e che, invece, come visto in precedenza, costituiscono il presupposto indefettibile delineato dall’art. 28-bis del d.P.R. n. 380/2001 per il permesso di costruire convenzionato.

L’impressione è che il richiamo a quest’ultimo istituto abbia una motivazione per così dire “politica” e, quindi, di dubbia tenuta sul piano strettamente giuridico: la competenza del consiglio comunale per quanto attiene all’approvazione della convenzione (o, per meglio dire, del relativo schema)[12] costituirebbe lo strumento per coinvolgere l’organo politico allargato nella valutazione dell’intervento edilizio esorbitante le soglie dimensionali indicate nell’art. 11, comma 2.

Ma se è corretta la ricostruzione del permesso di costruire convenzionato quale fattispecie complessa costituita dalla convenzione, di competenza del consiglio comunale, e dal titolo edilizio, nella specie il permesso di costruire, il cui procedimento di formazione resta disciplinato, per esplicita statuizione dell’art. 28-bis, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, dall’art. 20 del medesimo TUE, ed è, quindi, di competenza del dirigente o del responsabile dell’ufficio, non si vede come il consiglio comunale possa esulare delle obbligazioni dedotte nella convenzione ed occuparsi anche delle caratteristiche formali e dimensionali dell’intervento edilizio[13].

Un’ultima considerazione riguardo alla necessità che il permesso di costruire convenzionato di cui all’art. 11, comma 2, debba essere dotato di “previsioni planivolumetriche”.

Se si definisce planivolumetrica una rappresentazione grafica in grado di riprodurre l’oggetto tanto nella pianta, quanto nell’altezza e nei prospetti e, quindi, nel suo volume, viene spontaneo ritenere che qualsivoglia progetto edilizio, a prescindere dal titolo edilizio al quale è subordinato (CILA, SCIA o permesso di costruire, ancorché non convenzionato), debba essere rappresentato graficamente mediante previsioni planivolumetriche.

Altra cosa, neppure richiesta dall’art. 11, comma 2, è che la rappresentazione planivolumetrica riguardi non solo l’edificio oggetto dell’intervento, ma anche quelli circostanti, così da poter valutare i rapporti spazio-dimensionali ed architettonici tra le diverse costruzioni. Qui, peraltro, com’è evidente, siamo di fronte ad un vero e proprio strumento urbanistico attuativo ed è la fattispecie disciplinata dall’art. 11, comma 1, della l.r. n. 14/2019.

8. Le riduzioni del contributo di costruzione

Il comma 3 della disposizione in commento stabilisce che, ferme restando le riduzioni e gli esoneri dal contributo di costruzione previsti dall’art. 17 del d.P.R. n. 380/2001[14], per i soli interventi di ampliamento disciplinati dall’art. 6 della l.r. n. 14/2019, detto contributo, per la sola parte afferente al costo di costruzione, “è ridotto di un ulteriore 20 per cento nel caso in cui l’edificio, o l’unità immobiliare, sia destinato a prima casa di abitazione del proprietario o dell’avente titolo”.

Al contrario, la previgente disciplina del Piano casa estendeva la riduzione contributiva anche agli interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamento di cui all’art. 3 della l.r. n. 14/2009[15], lo faceva in misura assai più consistente, pari al 60%, applicandola all’intero contributo di costruzione (quota afferente agli oneri di urbanizzazione e quota afferente al costo di costruzione), eliminandola del tutto per le famiglie con numero di figli pari o superiore a tre e prevedendo, infine, esonero o riduzioni nel caso di utilizzo di fonti di energia rinnovabile con potenza non inferiore a 3kW.

Dal punto di vista interpretativo, la maggiore criticità ravvisabile nella nuova disposizione è costituita dall’aggettivo “ulteriore”, che qualifica la riduzione riconosciuta alla quota di contributo afferente al costo di costruzione qualora l’intervento consista nell’ampliamento di un edificio o di un’unità immobiliare destinata a prima casa di abitazione del proprietario o dell’avente titolo (colui che presenta la SCIA o che richiede il permesso di costruire).

Infatti, né l’articolo in commento, né altre norme della l.r. n. 14/2019 configurano altre riduzioni del contributo di costruzione, neppure limitate alla sola quota afferente al costo di costruzione.

L’unica chiave di lettura plausibile è che si sia voluto considerare il concorso tra la riduzione di cui all’art. 10, comma 3, della l.r. n. 14/2019 e la misura incentivante del contributo fissato per l’edilizia residenziale pubblica di cui all’art. 17, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001.

Da sottolineare che con l’ultimo periodo del comma 3 la nuova disposizione conferma la facoltà per i comuni, mediante deliberazione consiliare, di “stabilire un’ulteriore riduzione del contributo relativo al costo di costruzione”.

Significativo che in questa, come nella fattispecie disciplinata nella prima parte del comma 3, la riduzione riguardi esclusivamente la quota afferente al costo di costruzione, lasciando impregiudicata quella commisurata al costo delle opere di urbanizzazione.

Il comma 4 aumenta il periodo minimo entro il quale il proprietario o l’avente titolo è tenuto a stabilire e mantenere la residenza nell’edificio o nell’unità immobiliare oggetto dell’intervento di ampliamento per usufruire dell’agevolazione: si passa dai quarantadue mesi successivi all’agibilità, previsti dall’art. 7 della l.r. n. 14/2009, ai cinque anni indicati dalla norma in commento.

Nel caso in cui l’obbligo di stabilire o mantenere la residenza non venga rispettato, è previsto che il comune richieda, a titolo di penale (rectius: di sanzione amministrativa pecuniaria), il versamento dell’intero contributo altrimenti dovuto, maggiorato del 200 per cento[16].

9. L’abbattimento della quota del costo di costruzione per gli interventi a favore dei disabili

Il comma 5 dell’art. 10 della l.r. n. 14/2019 ripropone letteralmente quanto in precedenza contenuto nell’art. 11 della l.r. n. 14/2009.

In virtù di tale disposizione, la realizzazione degli interventi richiamati nel comma 1 – e, quindi, non solo l’ampliamento degli edifici esistenti, com’è per le altre misure di agevolazione contributiva contenute nei commi 3 e 4, ma anche la demolizione e ricostruzione con riqualificazione edilizia, ivi compresi gli interventi in zona agricola e sugli edifici in aree dichiarate di pericolosità idraulica o idrogeologica – se ed in quanto funzionali alla fruibilità degli edifici adibiti ad abitazione di soggetti riconosciuti invalidi con impedimento permanente alla deambulazione[17], “dà diritto alla riduzione delle somme dovute a titolo di costo di costruzione in relazione all’intervento, in misura del 100 per cento”.

Evidenziato che la norma in commento, così come quella, identica, che l’ha preceduta, dispone l’integrale soppressione della quota afferente al costo di costruzione (lasciando inalterata la quota afferente agli oneri di urbanizzazione), la stessa norma rinvia ai criteri che la Giunta regionale è chiamata a definire ai sensi dell’art. 10, comma 2, della l.r. n. 16/2007.

Si ricorda che la Giunta regionale ha provveduto a tale adempimento con la deliberazione n. 508, del 2 marzo 2010, rubricata “Approvazione del nuovo documento contenente i ‘Criteri per l’esonero dalla corresponsione del contributo commisurato al costo di costruzione in attuazione delle disposizioni di cui all’art. 10, comma 1, della LR 12/07/2007 n. 16, modificato dall’art. 12, comma 1, della LR 08.07.2009 n. 14’”.

Va, altresì, richiamata la deliberazione n. 509 del 2 marzo 2010, che ha approvato le “Prescrizioni Tecniche atte a garantire la fruizione degli edifici residenziali privati, degli edifici residenziali pubblici e degli edifici e spazi privati aperti al pubblico, redatte ai sensi dell’art. 6, comma 1, della LR 12/07/2007 n. 16”, successivamente aggiornate con la deliberazione n. 1428 del 6 settembre 2011.

Infine, si rammenta che l’eliminazione delle barriere architettoniche di cui all’art. 7, comma 1, lett. a), b) e c), della legge regionale 12 luglio 2007, n. 16, costituisce uno degli elementi di riqualificazione dell’edificio e della sua destinazione d’uso residenziale o non residenziale, ai sensi degli artt. 6, comma 3, lett. a) e 7, comma 2, lett. a), nonché delle schede “A – Ampliamento” e “A – Demolizione e ricostruzione” dell’Allegato A della l.r. n. 14/2019, norme ed allegato ai cui commenti si rinvia.

 

[1]a) gli interventi di ristrutturazione di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c);

  1. b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; […]
  2. c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.”

[2] Ex multis Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 72; Cons. Stato, sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550.

[3] Ex multis Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717; Cons. Stato, sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916.

[4] Invero, l’art. 19, comma 6-ter, è oggetto anche di un più recente provvedimento di rimessione alla Corte costituzionale, nel quale viene sollevato un diverso profilo di illegittimità Si tratta della sentenza non definitiva pronunciata dal TAR Emilia-Romagna, Parma, 22 gennaio 2019, n. 12, ove il Collegio rimettente ritiene che la citata disposizione violi gli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione sotto il profilo dell’irragionevole limitazione del diritto alla tutela giurisdizionale, in quanto i ricorrenti in un giudizio amministrativo, portatori di un interesse legittimo pretensivo, paiono subire una discriminatoria compressione delle facoltà giurisdizionali ordinariamente offerte loro dal codice del processo amministrativo.

Infatti, l’unica azione riconosciuta dal legislatore ai terzi lesi da una SCIA illegittima (azione di accertamento) non avrebbe una portata piena ed effettiva ma sarebbe a priori condizionata, secondo le regole processuali di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 104 del 2010, dal potere discrezionale che residua in capo al Comune.

[5] Cass. civ. sez. Unite, 12 giugno 2006, n. 13523; Cass. civ. sez. II, 27 febbraio 2008, n. 5134; Cass. civ. sez. II, 18 dicembre 1997, n. 12810.

[6] Cass. civ. sez. II, 14 novembre 2016, n. 23136; Cass. civ. sez. II, 30 gennaio 1990, n. 594.

[7]Invero, il riferimento normativo menzionato nella circolare 1/2014 non appariva corretto, in quanto l’art. 22, comma 7, del d.P.R. n. 380/2001, si occupa della SCIA ordinaria e non della SCIA alternativa al permesso di costruire.

[8] Come detto, la norma era contenuta nell’art. 3 della l.r. n. 14/2009, il cui comma 1 ne delimitava l’ambito di applicazione alla sostituzione ed al rinnovamento del patrimonio edilizio esistente al 31 ottobre 2013, mediante la demolizione e ricostruzione degli edifici che necessitano di essere adeguati agli attuali standard qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza. A sua volta il comma 2 indicava le caratteristiche tecniche richieste agli interventi per beneficiare dei bonus volumetrici e/o superficiari.

[9] Si consideri, infatti, che a norma dell’art. 10, comma 1, lett. b-bis), della l.r. n. 14/2009, aggiunta dall’art. 11, comma 3, della l.r. n. 32/2013, norma tuttora vigente in quanto sottratta dall’abrogazione disposta nei confronti di buona parte delle disposizioni contenute nella l.r. n. 14/2009 dall’art. 19 della l.r. n. 14/2019, “negli interventi di ristrutturazione edilizia la ricostruzione a seguito della demolizione può avvenire anche su area di sedime parzialmente diversa, purché ciò non comporti una modifica sostanziale della localizzazione dell’edificio nell’ambito del lotto di pertinenza”. Per l’analisi di tale disposizione ci sia consentito rinviare al relativo commento riportato ne Il terzo Piano casa del Veneto. Commentario alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 come modificata ed integrata dalla legge regionale 29 novembre 2013, n. 32, a cura di B. Barel, S. Bigolaro, D. Meneguzzo e R. Travaglini, Corriere del Veneto, 2013, pagg. 176 ss.

[10] La circolare n. 1/2014 prosegue considerando che “Tale tipologia di intervento dovrà quindi da un lato intervenire sulla qualità architettonica del nuovo edificio, migliorandone allo stesso tempo anche la prestazione energetica, tecnologica e di sicurezza, dall’altro dovrà necessariamente mantenere uno stretto rapporto tipologico/architettonico con l’edificio e con il contesto urbanistico/paesaggistico dell’edificio soggetto a demolizione. In coerenza con le finalità di contenimento del consumo di suolo perseguito dal piano casa attraverso il riuso e la rivitalizzazione, la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente, dovranno preferirsi le soluzioni progettuali che evitino ulteriore consumo di suolo, la parcellizzazione e la frammentazione edilizia”.

[11] Nel caso del permesso di costruire convenzionato sembra corretto parlare di una fattispecie complessa, costituita da due componenti giuridiche aventi ciascuna una propria identità: la convenzione, espressione di amministrazione consensuale, la cui funzione essenziale è disciplinare gli obblighi assunti dal privato in funzione del soddisfacimento dell’interesse pubblico; il titolo edilizio, che invece regola gli aspetti della trasformazione del territorio propriamente detta e che, rispetto al permesso di costruire ordinario, abilita non soltanto l’esecuzione delle opere edilizie di interesse privato, ma anche quelle urbanizzative di interesse pubblico.

[12]L’art. 28-bis, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 attribuisce la competenza di approvare la convenzione al consiglio comunale, consentendo, peraltro, diverse previsioni da parte della legislazione regionale. Avvalendosi di tale facoltà, hanno attribuito la competenza alla giunta comunale il Lazio (art. 1-ter l.r. n. 36/1987, integrato con le l.r. nn. 12/2016 e 7/2017), la Liguria (art. 49 l.r. n. 36/1997, modificato dalle l.r. nn. 11/2015 e 15/2018), la Lombardia (art. 14 l.r. n. 12/2005 modificato dalla l.r. n. 14/2016), il Piemonte (art. 49 l.r. 56/1977, come sostituito dalla l.r. n. 3/2013) e la Puglia (art. 5 l.r. 14/2009, come integrato con le l.r. nn. 59/2018 e 67/2018)

[13] Sul punto si richiama l’interessante sentenza del TAR Liguria, 25 gennaio 2018, n. 14, che in una vicenda relativa a un permesso di costruire convenzionato ha affermato che “la censura di incompetenza è palesemente fondata in quanto l’art. 20 del t.u. edilizia riserva al dirigente o al responsabile dell’ufficio la decisione in merito al rilascio del permesso di costruire, senza contemplare possibili ingerenze, neppure attraverso la formulazione di direttive o di indirizzi, dell’organo di governo in tale ambito procedimentale.

Fermo restando che l’avversata deliberazione di Giunta, pur autoqualificandosi come atto di indirizzo, determina in modo affatto puntuale i contenuti del titolo edificatorio, con evidente sconfinamento nel perimetro dell’attività di gestione amministrativa in materia edilizia che la legge riserva ai dirigenti degli enti locali, anche qualora comportante, come nel caso di specie, valutazioni di natura discrezionale”.

[14]Di particolare interesse, per gli interventi di ampliamento di cui all’art. 6 della l.r. n. 14/2019, sono le esenzioni totali dal contributo di costruzione che l’art. 17, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, prevede “per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153” (lett. a) e “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari” (lett. b).

[15]Per i corrispondenti interventi di riqualificazione del tessuto edilizio, attualmente disciplinati dall’art. 7 della l.r. n. 14/2019, una misura di agevolazione contributiva potrebbe trovare fondamento nell’art. 17, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380/2001, in base al quale “al fine di agevolare gli interventi di densificazione edilizia, per la ristrutturazione, il recupero e il riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore al venti per cento rispetto a quello previsto per le nuove costruzioni nei casi non interessati da varianti urbanistiche, deroghe o cambi di destinazione d’uso comportanti maggior valore rispetto alla destinazione originaria. I comuni definiscono, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, i criteri e le modalità applicative per l’applicazione della relativa riduzione”.

[16] Percentuale, quest’ultima, che la previgente disciplina del Piano casa prevedeva per i soli comuni turistici, limitando negli altri casi la maggiorazione nella misura del 50 per cento.

[17] Il riferimento all’invalidità con impedimento permanente alla deambulazione discende dall’art. 10, comma 1, della l.r. n. 16/2007, richiamato dal successivo comma 2, a sua volta menzionato nella disposizione in commento.

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